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27 Gennaio 2019da una discussione fra C.S.Lewis e J.R.R. Tolkien
dalla tesina “La finzione artistica: veicolo di verità?” di Samuele Gaudio
Esame di Stato 2010
Per riassumere più chiaramente e sinteticamente la contrapposizione delle concezioni sull’arte precedentemente analizzate, propongo un articolo che descrive una conversazione tra Lewis e Tolkien a proposito del mito, poiché il mito è il modello della finzione artistica per i Greci, in quanto capace di rivelare verità misteriose per l’uomo.
Il 19 settembre 1931 due professori inglesi, grandi amici, durante una passeggiata serale nel cortile dell’università, intrecciarono una animata discussione su cosa fosse il mito. Si trattava di Clive Staples Lewis e John Ronald R.Tolkien. Il primo sosteneva che i miti fossero bugie ammantate d’argento, cioè storie straordinarie, ma semplicemente create, e quindi false. Tolkien si oppose con fermezza a questo giudizio, perché riteneva che i miti fossero verità che indossano vesti forgiate dall’uomo”. Essi non sono pure fantasie, ma sono l’espressione creativa della realtà, di quella parte di verità che l’uomo ha scoperto. Infatti, l’uomo può solo scoprire il mondo, a differenza di Dio che l’ha creato. L’opera d’arte è quindi una sub-creazione, una creazione in piccolo, che vuole spiegare la grande opera della realtà, o un aspetto di essa. Questo emerge chiaramente dai miti che esprimono una piccola parte della realtà, perché l’uomo non avendola creata non la conosce totalmente, ma a sprazzi ne coglie intuitivamente il senso e lo esprime attraverso il mito. In questo senso l’uomo è sub-creatore (creatore in piccolo): l’artista attraverso l’opera imita l’attività creativa di Dio.
I miti sono simboli (cioè realtà che rimandano ad un’altra realtà) ma bisogna saperli leggere per non cadere nell’errore di Lewis.
Se si accetta questa sfida di sfondare il livello letterale, come suggeriva già Dante nella Lettera a Cangrande della Scala, ci si accorge che il mito, attraverso il finto, rimanda al vero.
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