Mario Capurso
27 Gennaio 2019Atto di citazione
27 Gennaio 2019biografia di uno sradicato
di Franco Caristo
Nella mia infanzia, fino a nove anni, al mio paese sono stato felice. Il paese mi pareva grande, mi pareva tutto il mondo. Non riuscivo neppure a concepire che di là dei monti esistesse un’umanità io non posso vivere lontano dal mio paese e d’altra parte uno scrittore esule va sempre perduto ” [1]. In questa notazione memoriale di Quasi una vita, ( diario la cui stesura fu iniziata a Berlino nel 1929 e pubblicato solo nel 1950 ) generata evidentemente da uno scatto di indomabile nostalgia , si può cogliere , in nuce, la marcatura di Alvaro ( nato a San Luca un paese aspromontano dello Jonio nel 1895 e morto a Roma 1956), che è poi quella tipica dell’intellettuale meridionale fuoriuscito : ossia da una parte la dolente consapevolezza delle proprie radici, la malattia dell’animo che i greci chiamavano pathos dall’altra antiteticamente e romanticamente la costante tensione verso loltre , concretizzato nell’abbandono delle proprie radici e nella fuga – per necessità o per volontà – che apre orizzonti imprevedibili e talvolta anche minacciosi, soprattutto per un intellettuale meridionale .
L’ossimoro esistenziale , – stabilità – precarietà – dunque, connota profondamente e durevolmente la figura di Alvaro il quale, ancora fanciullo, dopo aver portato a termine le scuole primarie a San Luca, viene mandato dal padre, che vede nel piccolo Corrado un poeta in pectore, a studiare nel collegio dei Gesuiti a Mondragone. C’è, indubbiamente, in questa volontà paterna lo spirito di rivalsa di chi avverte la sua condizione di minorità sociale e cerca il riscatto.
Di suo padre lo scrittore calabrese dirà più tardi nei suoi diari che per poeta intendeva un uomo che è mescolato in tutte le cose, che lusinga i potenti e ne ottiene i favori, che canta le guerre e la forza, un individuo cioè che ha sempre ragione e che è dalla parte del più forte “[2]. Ingenuità di padre e immagine lontanissima e opposta allAlvaro uomo e scrittore .
Il punto di vista borghese del padre – in una civiltà contadina rigida e immodificabile – merita tuttavia un indugio perché acquista rilevanza anche sociologica e va letto all’interno delle strutture socio – economiche e ideologiche di una arretrata Calabria del primo novecento, come tentativo di assegnare valore non solo alla terra o alle cose – si pensi per questo a quanto dice lArgirò in Gente in Aspromonte : ho perduto il mio bene. I buoi che avevo in custodia dal signor Filippo Mezzatesta sono precipitati giù nel burrone. E finita. Questa è la rovina della casa mia [3] – ma anche alla cultura, che potrebbe ridisegnare positivamente lo status sociale del proprio figlio – si pensi anche a quanto lArgirò investirà sull’ultimo figliolo Benedetto che sarà mandato in seminario a studiare da prete, che è tutto dire, poiché è intelligente e se lo facciamo studiare diventerà un granduomo se riesco a fare di lui un prete staremo bene tutti, anche lui [4] .
L’esperienza collegiale si rivelerà traumatica sotto il profilo psicologico e culturale. Difatti il Calabrese viene preso in giro dai compagni della Roma bene che lo trattano con indifferenza e distacco, mentre lasfittica chiusura gesuitica verso l’alterità culturale , che impedisce ai ragazzi curiosi di inoltrarsi in territori letterari proibiti determina l’allontanamento dal seminario di Alvaro scoperto a leggere Verga, Carducci, D’Annunzio .[5]
In Calabria, a San Luca, Alvaro ritrova gli amici dai piedi scalzi e dai visi scontenti ” ma per completare gli studi frequenta dapprima il collegio di Amelia in Umbria e poi il liceo ” Galluppi di Catanzaro, dove consegue la licenza liceale, diventando un habitueé della Biblioteca Comunale nella quale trova da leggere moltissima letteratura italiana, soprattutto verista, ed europea. Ma un’attenzione particolare egli dedica al suo conterraneo Tommaso Campanella, del quale dice che appartiene al ceppo popolare degli apostoli in cui quel che conta è letica, l’essenza dell’uomo”.
Popolo, etica, uomo, appunto, diventeranno rispettivamente le costanti della sua arte, il tessuto connettivo che omogeneizza scritture apparentemente diverse, per registri e contenuti, elemento trasversale della sua risentita e pensosa Weltanschauung , insomma, una sorta di interiore basso continuo” che accompagna lo scrittore per tutta la vita. Ma, tornando al periodo catanzarese, ancora studente, Alvaro tiene una fortunata conferenza su D’Annunzio; ciò, mi pare, va evidentemente colto come indizio di una iniziale positiva disposizione verso lenfatico mondo pseudo verista del poeta pescarese. Laccostamento tuttavia sarà di breve durata proprio considerando il forte sostrato morale alvariano estraneo senza dubbio allImaginifico. [6]
Ha 17 anni quando invece pubblica il suo primo lavoro ( 1912 ) : Polsi nell’arte, nella leggenda, nella storia [7] . Sessanta pagine di storia su Polsi, luogo solitario nel cuore dellAspromonte e meta di pellegrinaggio per i calabresi, pagine che segnano l’inizio della carriera artistica del sanluchese ma soprattutto anticipano il modus scribendi di Alvaro, quella maniera, cioè , di dare anima alle cose, alla natura, alla montagna, ai torrenti, di riscriverli in tonalità liriche e musicali, tantè che proprio in questo libello emergono già coagulati calabresità e poesia ( di ciò intus ).
Ma la Calabria appare già lontana quando nel 1915, a 20 anni , entra come allievo ufficiale nell’Accademia di Modena ed esce sottotenente di fanteria pronto a lanciarsi nell’avventura bellica. L’evento in se appare naturale: è il giovane che serve la patria. Qui però importa rilevare, en passant, la posizione di Alvaro in rapporto sia all’ideologia bellicista delle correnti politico – culturali nazionaliste del primo ‘900 ( lingenuo consenso – interventista ) sia il risvolto umano e letterario dell’esperienza della guerra ( la disillusione immediata propria dell’uomo e dell’intellettuale Alvaro ) sia le ragioni psicologiche che hanno motivato la scelta ( lo stato d’animo di un giovane del sud che nella guerra intravede francescanamente e utopisticamente l’occasione per linverarsi sul piano della storia dei suoi ideali) . Ebbene il romanzo Ventanni ( 1930 ) [8] scopertamente autobiografico, racconta proprio l’esperienza di un giovane intellettuale calabrese di 19 anni, Luca Fabio che parte volontario per la guerra. Dallentusiastica adesione fino alla disincantata riflessione sulla inutilità della guerra il piano dell’inventio e quello storico si intersecano e ne esce fuori un Alvaro uomo – soldato sconfitto dalla catastrofe vissuta .
Una sorta di discesa ad inferos che aveva già lasciato profonda traccia nello scrittore che pubblicò, ancora convalescente, Poesie grigioverdi ( 1917 ). Chiusa l’esperienza della guerra, Alvaro inizia le collaborazioni ai giornali ( subito al Resto del Carlino ) che gli consentono di viaggiare in Europa e sposa nel 1918 Laura Babini, fedele compagna e collaboratrice.[9]
Nel 1920 si laurea in Lettere e filosofia a Milano, laddove lavora per qualche tempo al Corriere della sera diretto da Luigi Albertini. Ma la vicinanza del giornale alla politica di Mussolini spinge Alvaro ad abbandonare il quotidiano. Ed allora nel 21 passa al Mondo di Giovanni Amendola diventando corrispondente da Parigi. Intanto nel confuso dopoguerra in Italia (lacuirsi dei conflitti sociali, l’occupazione delle fabbriche, la settimana rossa, le jacqueries a fronte della scarsa capacità della classe politica di proporre un programma riformista ) si corrodono le vecchie strutture dello stato liberale, travolte dallo squadrismo fascista e liquidate dalla marcia su Roma del 28 ottobre del 1922 . Mussolini prende il potere e inizia la fascistizzazione dello stato. La reazione degli intellettuali italiani è ambigua : a fronte del Manifesto degli intellettuali del fascismo redatto da Giovanni Gentile nel 1925 e firmato da molti uomini di cultura, Benedetto Croce pubblica il Manifesto degli intellettuali antifascisti sempre nel 1925 riuscendo a coagulare intorno alla sua religione per la
libertà lintellighenzia più progressista e liberale. Alvaro è uno dei firmatari del Manifesto crociano, coerente intellettuale che non nasconde il suo antifascismo, sicché viene perseguitato dal regime tanto da dover abbandonare l’attività giornalistica .
La pubblicazione del romanzo L’uomo nel labirinto
(1926 ) con chiare allusioni anche alla nascente dittatura gli procura non pochi nemici e il divieto di vendita [10] mentre le intimidazioni lo inducono al silenzio e a dedicarsi solo alla letteratura che assume ora per lui il senso di un impegno totale, che coinvolge la sua responsabilità anche morale di scrittore italiano ed europeo ” [11].
Alvaro diventa amico di Bontempelli e collabora alla rivista ‘900 dalla quale avrà modo di apprendere la lezione narrativa dei grandi scrittori europei e internazionali del tempo. Nel biennio 1929 -31 cadono due episodi che vedono involontario protagonista il riservato scrittore calabrese. Nel 29 per la raccolta di racconti Lamata alla finestra” la critica gli assegna il premio Fiera Letteraria” ma Mussolini pretende che il nome dello scrittore calabrese sia sostituito [12] ( lo stesso Curzio Malaparte condirettore della rivista si indigna e con lui altri letterati ) .
L’uomo Alvaro appare sconfortato a causa dell’intervento di Mussolini che vede nello scrittore un elemento pericoloso e anche per l’ostilità evidente di molti intellettuali fascistizzati. Dopo essere rientrato da Berlino [13] laddove intanto aveva frequentato gli ambienti culturali più progressisti e affinato la sua cultura ( nella capitale tedesca ripara nel 1927 e resta fino al 1929 ), pubblica nel 1930 Gente in Aspromonte [14] , che fa emergere, di là della retorica fascista, una Calabria primitiva, metafora anche del fallimento del progressismo di regime. Il clamore suscitato, tuttavia, costringe Mussolini ad apprezzare l’opera dello scrittore calabrese . Conviene indugiare, a questo punto, sul rapporto tra Alvaro e il fascismo se non altro che per fare chiarezza su un aspetto della biografia alvariana del quale si è molto discusso e per il quale molta critica militante ha
preso le distanze dallo scrittore, ponendolo ai margini rispetto ad altri scrittori coevi ( Moravia, Bernari, Vittorini, Levi ecc) e gettando un’ombra sulla sua moralità. Di questo se ne duole lo stesso Alvaro quando scrive dopo il 1931 mi videro in compagnie singolari, grandi signori allora in voga e che tenevano le chiavi del potere o ne conoscevano le porte segrete. Si sussurrò dei miei rapporti misteriosi e che io fossi una spia era successo che era uscito Gente in Aspromonte e Mussolini esortò l’ambasciatore del Brasile a leggerlo [15].
In realtà, però , il suo atto di fede antifascista è datato 1921.. e la sua ideologia antitotalitaria venne riaffermata con la firma degli antifascisti al Manifesto redatto da Giovanni Gentile e venne ribadita sei anni dopo, quando fu costretto a lasciare La Stampa in seguito agli attacchi verbali e alle minacce degli intemperanti..” [16] .
E se anche nel 1934 pubblicò, è vero, Terra nuova che sembrò una esaltazione della politica rurale operata dal regime, Alvaro ebbe a dire a proposito del presunto cedimento rimproveratogli da alcuni amici ero antifascista per temperamento, per cultura, per indole, per inclinazione, per natura” Una sorta di dissimulazione onesta, di doppiezza pirandelliana, certo, in un tempo in cui la viltà era di rigore ed era necessario per lui conservarsi uno spazio per poter esercitare il mestiere di letterato [17].
Stanco nel fisico e nello spirito, amareggiato dalle polemiche intorno alla sua persona, Alvaro decide di compiere,come inviato della Stampa” , un viaggio in Turchia [18]. E il marzo de 1931.
Torna, dunque, l’ansia del viaggio, quella forza centripeta che lo allontana dalla sua Calabria e lo porta nella Turchia primitiva e dignitosa, un viaggio che è per Alvaro come un ritorno ai confini di un mondo naturale del proprio spirito ( G. Ferrata ) .
Nel1934 sempre per conto della Stampa” si reca nella Russia un Paese dove tutto è provvisorio [19],un Paese dove al di là di sperate palingenesi rivoluzionarie, l’arcangelo che liberi l’uomo dal lavoro duro non è venuto e non verrà mai e le rivoluzioni che promettono il paradiso sono inebrianti per pochi giorni” [20].
Tornato in Italia nel 1935 in pieno fascismo e con la guerra dEtiopia alle porte, Alvaro scopre ancor più profondo il senso della solitudine dell’uomo nell’Europa dei totalitarismi. Mussolini ha saputo monopolizzare il mondo culturale italiano e molti intellettuali hanno già capitolato. Il suo antifascismo è tiepido ma sicuro e quand’anche nel 1939 viene chiamato a Il Popolo di Roma , Alvaro non ha tessera, né è iscritto al Fascio, ciò nonostante nel 1940 gli viene attribuito il Premio dell’Accademia d’Italia.
E mentre l’Italia fascista è in guerra, lo scrittore torna a San Luca per i funerali del padre ( 1941 ). E sarà l’ultima volta che vedrà il suo paese. La caduta di Mussolini e l’occupazione tedesca lo costringono a rifugiarsi a Chieti dove vive sotto falso nome e impartendo lezioni private. Finita la guerra, Alvaro, come preso da rimorso per ingenue contaminazioni con il regime e per rompere il suo isolamento fisico, produce il suo impegno di intellettuale a fianco di altri intellettuali come Jovine e Bigiaretti con i quali fonda il Sindacato nazionale degli scrittori, assumendo la direzione di alcuni giornali ( Il Risorgimento di Napoli ), dedicandosi intensamente alla letteratura e collaborando come sceneggiatore per il cinema .
Gli ultimi anni della sua vita li vive tra Roma e Vallerano, un paesino del viterbese, dove ha acquistato una casa in campagna frequentata da pochi amici . Nel 1950 esce Quasi una vita , una raccolta di appunti che copre il ventennio dal 1927 al 1947 e che gli faranno vincere il Premio Strega ( 1951 ) .
Nel 1954 è arpionato dalla fatale malattia che lo condurrà alla morte all’età di 61 anni. Era l’11 giugno del 1956.
1) C. Alvaro, Quasi una vita, Milano, Bompiani, p. 62
[2] C.Alvaro, L’età breve, Milano , Bompiani, 1963
[3] C. Alvaro, Gente in Aspromontecit. p. 29
4 Ibidem, p.78
[5] L’esperienza del collegio verrà sublimata e raccontata nel romanzo: L’età breve, pubblicato nel 1946, opera scopertamente autobiografica e critica verso la corruzione dilagante nei collegi gesuitici . Il protagonista del romanzo, Rinaldo, coincide con l’alter ego dello scrittore.
[6] Sulla moralità come limite insiste Carlo Bo quando dell’arte di Alvaro dice che è sempre trattenuta da un sottinteso morale che rallenta tutte le operazioni dell’invenzione Cfr: C.Bo in La Fiera letteraria” , (4 gennaio 1951 ) . Che sia un limite la moralità nell’arte ? [6]
16 P. Crupi definisce l’opera un libro – gioiello . P. Crupi: Storia cit. p.53
[8] E un ennesimo romanzo sulle conseguenze emozionali e ideologiche della guerra rivissuta post eventum , perciò distanziata dalla memoria ed osservata dallo scrittore non come evento storico ma come exemplum di una condizione di abbrutimento dell’uomo. D’altra parte Alvaro non è solo come poeta della prima grande guerra. Per un esempio si pensi all Allegria di naufragi (1919) di Ungaretti o all’altro calabrese Francesco Perri che raccontò la sofferenza della guerra nei versi di Rapsodia di Caporetto (1919 )
[9] una donna che con me ha avuto molta pazienza e che ha retto ai colpi di tante traversie” in C.Alvaro, Ultimo diario, Milano, Bompiani, 1983, p. 217
[10] Leditore Alpes, che allora pubblicò il romanzo, ricevette un telegramma da tale Ciarlantini del quale informò lo scrittore ODIERNA POLEMICA FIERA LETTERARIA IMPERO PRESTEREBBESI ALVARO FARE DICHIARAZIONI SCAGIONANTESI ANTIFASCISMO CIO NON AVVENENDO ASSICURAZIONI BONTEMPELLI CIRCA REALI INTENZIONIDI ALVARO RISULTEREBBERO INGANNEVOLI E DOVREI VIETARE VENDITA ROMANZO E PUBBLICITA
[11] F. Virdia, C.Alvaro, in Dizionario biografico degli italiani, Roma. Ist.della Encicl. Ital, II,1960, p 583
[12] Scrive G.Vigorelli : Umiliati e pentiti di aver peccato di zelo e di servilismo chiedendo a Mussolini un consenso e provocandone un divieto” , in G. Vigorelli, Vita difficile di C. Alvaro, in Il Tempo“, 28 giugno 1956
[13] A Berlino lo scrittore si sente come un errore grave in un compito di scuola
[14] Il manoscritto viene pubblicato da Ugo Ojetti su due numeri di Pegaso nel 1930
[15] C. Alvaro, Ultimo diario, Bompiani, Milano, pp. 218 -2198
[16] Cfr: M. Del Gaudio, L’uomo e il suo specchio: una rilettura alvariana, in AA.VV. Alvaro, uomo mediterraneocit.. pp. 91 -92 . Scrive ancora Del Gaudio : Il ritorno in patria da Berlino (1929) ebbe un prezzo da pagare sollecitato da Sillani a chiarire la sua posizione, Alvaro non accettò
provocazioniisolandosi con Bontempelli, Barilli, Cecchi, Saba, Bacchelli, Angioletti e Montale ”
[17] Sui rapporti tra Alvaro e il fascismo è rilevante la viva testimonianza dello scrittore calabrese Mario La Cava il quale in una intervista del 1985 a Stefano de Fiores così si esprimeva : Per ciò che riguarda il fascismo, lui ( Alvaro ) era antifascista , con me abbiamo sempre parlato di antifascismo. Però per vivere lui spuntava l’attrito per quanto riguarda le Paludi pontine lui faceva il giornalista per vivere e il giornalista non lo poteva fare se non accettando gli argomenti ” S. De Fiores, La Cava parla di Alvaro , in AA.VV. , Alvaro, uomo mediterraneocit..p.168
[18] Lirismo e realismo connotano le prose di viaggio, dalle quali emerge un Alvaro attento osservatore delle cose più umili e delle fatiche degli uomini . Si veda : C. Alvaro, Viaggio in Turchia, Treves, Treccani, 1931
[19] C. Alvaro, Viaggio in Russia, Sansoni, Firenze, 1943
[20] ibidem, p. 119-120
Prof. Franco Caristo