Mario Capurso
27 Gennaio 2019Atto di citazione
27 Gennaio 2019del professor Franco Caristo
Chi si accosta alla lettura del Purgatorio – che resta per il lettore non specialista un’esperienza fascinosa e un percorso affascinante – nota con immediata impressione le tante diversità rispetto alla cantica precedente: non solo strutturali – la montagna che si staglia dal mare già rappresenta simbolicamente uno dei temi fondamentali costitutivi del Purgatorio, ovvero lascensione del peccatore verso il Paradiso celeste, ultima meta per il cristiano, che passa attraverso lespiazione e il recupero della originaria purezza – ma anche tonale, poetica, topografica, dialogica, paesaggistica, relazionale, oltre che morale. Nel Purgatorio scopriamo anzitutto il personaggio/poeta Dante, viandante meno incerto, meno icastico, meno disposto al risentimento,meno legato alla dimensione individualistica e perciò meno conflittuale con le anime, più razionale e umile, come si addice al discepolo che ha chiari gli scopi del suo viaggio e segue senza atteggiamenti sconvenienti il maestro ( Virgilio ).
Ritengo perciò che siamo in presenza di una dimensione e disposizione morale e di uno stile poetico nuovi, laddove l’atmosfera e il paesaggio sono i primi indicatori del passaggio tra i due regni – l’alba, il sole che sorge dal mare rosseggiante, il rito dellabluzione, la piccoletta barca dell’angelo che conduce le anime sulla spiaggia, la preghiera delle anime obbedienti e umili ( a differenza dei dannati trasportati da Caron dimonio ) – e sono elementi sostanziali che si riverberano sullo stato d’animo del pellegrino Dante che comunque, al di là di una inevitabile affettuosità terrena che dimostra verso le anime purgatoriali, non giustifica i peccatori e non arretra rispetto al suo codice morale ed etico che ha già definito nell’Inferno.
Il III canto è, a mio parere, la sintesi di tutti i piani narratologici che trovano una consona organizzazione nella Cantica e diventeranno vere e proprie matrici narrative dentro cui si snoda il racconto post eventum del viaggio compiuto in 7 giorni dal poeta. Il canto interseca in tal modo il piano descrittivo – narrativo, il piano argomentativo- dottrinario, il piano lirico – evocativo, il piano polemico, il piano morale : ma l’unità del canto, pur nella molteplicità degli elementi che lo compongono, è fuori discussione, ed è data certamente dalla funzione dello stesso Dante che personaggio vivo tra anime di morti, diventa protagonista del racconto ( se pure condividendo il ruolo con Manfredi ).
L’inizio del canto, nella scena della dispersione delle anime nella campagna” è strettamente correlato alla fine del II canto, laddove Dante descrive l’improvvisa apparizione di Catone che sollecita le anime, ferme ad ascoltare Casella, ad avviarsi verso il monte del Purgatorio per la purificazione.
Dante avverte il peso di quell’invito e si avvicina a Virgilio ( che nello snodo del canto assume la funzione di contrappunto rispetto alla dichiarata posizione dottrinaria di Dante sul mistero che governa i piani di Dio ) che gli appare preso dal rimorso per aver indugiato nell’ascoltare la canzone di Casella ( allegoria della dimensione terrena che scandisce inevitabilmente il tempo del Purgatorio ). Mentre il sole si alza sull’orizzonte ( la notazione paesaggistica è importantissima perché diventa simbolo di uno stato d’animo rinnovato, più fiducioso – a differenza del buio infernale – ) Dante si guarda intorno tornando a riflettere sul viaggio e sul luogo in cui si trova e vede riflessa a terra la propria ombra, per questo si spaventa e crede di essere stato abbandonato da Virgilio che lo rimprovera benevolmente e in un pacato monologo gli chiarisce uno dei primi dubbi che il poeta fiorentino gli espone: perché le anime pur senza corpo soffrono pene che richiedono un corpo? ( vv.13 -31 ). La scena narrata attraverso ritmi narrativi lenti – l’endecasillabo è estremamente frammentato – condensa i due piani: quello descrittivo e quello dottrinario. L’intervento del maestro Virgilio è risoluto da magister scholae delle Universitas e riguarda uno dei problemi più discussi della dottrina della chiesa: limperscrutabilità delle decisioni di Dio che non implicano atteggiamenti razionalistici ma fideistici ( la fede smantella ogni ipotesi di approccio razionale ai fenomeni e alle vicende che la scienza umana provvisoriamente non riesce a comprendere ) . Il verso State contenti umana gente al quia ( v. 36) è la sintesi di questa subalternità della ragione rispetto alla fede e lo stesso Virgilio ( simbolo della conoscenza ) manifesta chiaramente i limiti e le incertezze per tutta l’ascesa alla vetta del monte, tanto che quella sicurezza dimostrata nell’Inferno comincia a vacillare ( Or chi sa da qual man la costa sale v.51 ), riaffermata dall immagine romantica di un Virgilio dubbioso, che non può avere consiglio da se medesimo, e tiene il viso basso e si interroga su quale strada prendere per salire il monte del Purgatorio, segno indubitabile della sofferta accettazione della limitatezza della conoscenza umana che mi sembra essere uno dei motivi conduttori del canto.
Improvvisa, mentre i due pellegrini sono fermi, appare un schiera di anime che procede lentamente verso i due poeti, anime che, alla vista di Dante vivo perché proietta la sua ombra in terra, si ammassano spaventate lungo la parete rocciosa ( si strinser tutti ai duri massi de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti vv. 60-61): sono esse ad indicare la via da prendere. L’incontro con la prima schiera di anime – gli scomunicati – costrette a camminare continuamente a passi lenti attorno alle pendici del monte, la rappresentazione iconografica attraverso la similitudine delle pecorelle mansuete e timidette“, l’incedere lento di quella mandra fortunata”, il tono allocutivo cortese di Virgilio ( O ben finiti, o già spiriti eletti..” v. 72 ) sono senza dubbio la spia di un altro elemento tematico del canto: l’umiltà cristiana ( la relazione semantica tra la mansuetudine delle pecorelle, pregnante nella simbologia cristiana, e gli scomunicati che non ebbero umiltà in vita è il dato più significativo nella prospettiva morale di Dante, il quale lascia intendere come anche nel Purgatorio domini la legge del contrappasso; su un piano più generale voglio far notare anche il valore palesemente polemico dei versi 72 -87; non vi è dubbio infatti che Dante nel suo integralismo evangelico- religioso intenda qui condannare certa chiesa contemporanea nella sua dimensione temporalistica e mondana, articolata in un sistema di potere che ha tradito lo spirito del cristianesimo primitivo ; d’altra parte la vicinanza di Dante al francescanesimo conferma proprio una scelta morale e religiosa scomoda, provocatoria e anticonformista rispetto allo spirito dei tempi ).
Umile è Dante pellegrino e discepolo, pacato e cortese è Virgilio, umili sono le anime degli scomunicati, umile si mostrerà Manfredi : l’umiltà resta per il poeta fiorentino la prima virtù per il cristiano ( in opposizione anche alla cultura e alla mentalità classico-pagana laddove prevalevano altre virtù ) che riesce a sconvolgere consolidati ruoli sociali e cristallizzate posizioni individuali ( Francesco d’Assisi resta l’insegnamento più efficace ) . Ma chi pratica l’umiltà, se il male prevale sul bene, se le città italiane sono continuamente in briga tra loro, se larrivismo e la sete dei guadagni della borghesia hanno distrutto l’ordine sociale e civile ?
Così quelle anime rimasero impietrite quando vider rotta la luce in terra dal mio destro canto, si che l’ombra era da me a la grotta (vv.89-90 ) e, dopo aver indicato con il dorso della mano il cammino da prendere, una di esse dice a Dante : chiunque tu se, così andando volgi l viso: pon mente se di là mi vedesti unque” (vv 101-102). Il poeta si ferma e lo guarda attentamente : non lo riconosce ( umilmente disdetto d’averlo mai visto ) così l’anima dichiara di essere Manfredi, figlio di Federico II, ucciso da Carlo d’Angiò nella battaglia di Benevento nel 1266 che pone fine al dominio svevo in Italia.
I versi 105 -145 raccontano l’incontro con quest’anima scomunicata – quindi emarginata dalla comunione con la Chiesa, fatto grave se considerato all’interno della società medievale – e in una alternanza di parti evocative, descrittive, storiche, liriche, polemiche, dottrinali, – proposte al lettore con la dovuta pacatezza e senza le asprezze lessicali della prima cantica – Dante rimarca ulteriormente la sua posizione di intellettuale cristiano non dogmatico, non ipocrita, autonomo nei suoi giudizi morali. Manfredi di fatto descritto come un demonio dalla propaganda guelfa – ma qui il personaggio diventa exemplum in ossequio alla regola dell’arte come strumentum aedificationis– è l’alter ego di Dante, colui che attraverso il racconto della propria travagliata e deprecata vicenda esistenziale ( il disaccordo politico con il papa, la scomunica, la morte , l’assenza di sepoltura cristiana, la dispersione delle ossa per volontà di Clemente IV e per azione del vescovo Pignatelli di Cosenza ) afferma un principio cardine della teologia : la misericordia di Dio che imperscrutabile nei suoi fini ( ritorna il tema del mistero circa l’intervento di Dio nella storia degli uomini ) agisce verso chiunque si penta della propria scellerata condotta, perdonando anche il peggiore dei peccatori ( Manfredi dice : ” orribili furono li peccati miei” ) : al Dio biblico punitore fa largo il Dio giusto e misericordioso.
Ma nelle stesse parole di Manfredi è scoperta la polemica di Dante contro la presunzione della Chiesa che è pronta a sanzionare il peccatore con la maledizione” basata molto spesso su ragioni terrene e politiche ( come nel caso di Manfredi); è evidente allora che tale giudizio e il conseguente castigo ( la scomunica ) sono spesso arbitrari e nascono da odio personale e da una errata interpretazione delle scritture. Dante così rivaluta il personaggio di Manfredi e lo consegna alla memoria dei lettori immerso in un’aura di sublime compostezza regale, seducente nella sua nostalgia per la terra, per la figlia, per la sua stessa memoria da difendere, ( rivela a la mia buona Costanza come mhai visto e anche esto divieto” ) nell’attesa della espiazione e dell’ascesa in Paradiso.