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27 Gennaio 2019dal Viaggio nelle scuole Italiane tra ‘800 e primi ‘900
di Libera Maria De Padova
Del desiderio di riorganizzazione della scuola statale italiana si fece interprete il fascismo, salito al potere nel 1922.
Mussolini affidò infatti l’incarico di ministro della pubblica istruzione a Giovanni Gentile, uno dei più importanti filosofi italiani dell’epoca, oltre che studioso di problemi della scuola e dell’educazione. Gentile, approfittando dei pieni poteri concessi al primo governo Mussolini, procedette in grande fretta ad approvare una serie di leggi che diedero vita ad una riforma complessiva del sistema scolastico italiano, passata alla storia come la riforma Gentile”. Perché tanta fretta per una riforma della scuola? Per due motivi: innanzitutto Mussolini era ben consapevole del ruolo fondamentale della scuola per un movimento politico che volesse ottenere e mantenere il consenso tra la popolazione; in secondo luogo, il leader fascista, sapeva che intervenire in fretta su un tema così sentito come l’istruzione avrebbe aumentato il prestigio del suo governo.
Con la riforma Gentile, l’obbligo scolastico era elevato a 14 anni d’età; tuttavia i bambini avrebbero frequentato solo per cinque anni una scuola unitaria, la scuola primaria, mentre negli anni successivi avrebbero dovuto compiere una scelta tra quattro possibilità: il ginnasio, quinquennale, che dava l’accesso al liceo classico o al liceo scientifico (per molti aspetti simile al liceo moderno); l’istituto tecnico triennale, seguito da quattro anni di istituto tecnico superiore; l’istituto magistrale di sette anni, destinato alle future maestre; la scuola complementare, al termine della quale non era possibile iscriversi ad alcun altra scuola. Si trattava di un sistema che riprendeva molti aspetti della vecchia legge Casati, anche per quanto riguarda l’accesso alla università: solo i diplomati del liceo classico avrebbero potuto frequentare tutte le facoltà universitarie, mentre ai diplomati del liceo scientifico sarebbero stato possibile accedere alle sole facoltà tecnico-scientifiche. Agli altri diplomati era invece impedita l’iscrizione all’università. Anche la riforma Gentile, dunque, come la riforma Casati, considerava il ginnasio-liceo classico, con la sua formazione centrata sulle materie letterarie, la” scuola superiore principale, rispetto alla quale tutte le altre non erano che inferiori e parziali imitazioni.
Unimportante novità rispetto al passato era costituita dal numero di esami previsti nei passaggi da un ciclo scolastico all’altro. Ad esempio, per chi andava al liceo classico, era previsto un esame di ammissione al ginnasio, un esame alla fine del secondo anno, un altro alla fine del quinto e, infine, un esame di maturità alla fine del liceo (tenuto su tutte le materie dell’ultimo anno da docenti esterni alla scuola).
Gentile, in sostanza, proponeva una scuola estremamente severa, che consentiva l’accesso ai livelli superiori dell’istruzione solo a un ristretto numero di giovani. D’altro canto Gentile, a chi lo rimproverava di causare con la sua riforma una netta diminuzione degli studenti delle scuole medie e superiori (diminuzione che in effetti ebbe luogo nei primi anni successivi alla riforma), rispondeva che questo era esattamente il suo obiettivo. Secondo Gentile, infatti, gli studi superiori dovevano essere aristocratici, nell’ottimo senso della parola: studi di pochi, dei migliori […] cui l’ingegno destina di fatto”. In altri termini, per Gentile solo i figli dell’alta borghesia e una ristrettissima minoranza dei ragazzi degli altri ceti sociali, quella più dotata per gli studi, aveva diritto a frequentare le scuole medie superiori, in particolare il ginnasio-liceo; una minoranza di figli del ceto medio poteva inoltre accedere alle altre scuole medie superiori, il liceo scientifico e gli istituti tecnici, mentre tutti gli altri (cioè la grande maggioranza della popolazione giovanile) non potevano continuare gli studi dopo il raggiungimento dei 14 anni d’età.
Un altro aspetto importante della riforma Gentile era costituito dall’introduzione nelle scuole primarie dell’insegnamento obbligatorio della religione cattolica, che diventava addirittura il fondamento e coronamento” di tutta l’istruzione primaria. Si trattava di una sostanziale novità rispetto al passato, poiché in precedenza l’insegnamento del cattolicesimo era facoltativo ed era impartito dagli stessi maestri. Con il Concordato del 1929 tra stato fascista e chiesa cattolica, il ruolo del cattolicesimo nella scuola si ampliò ulteriormente, diventando insegnamento obbligatorio anche nelle scuole medie e superiori; inoltre la sua gestione venne affidata a docenti nominati dai vescovi.
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