Boccaccio – Decameron – Ser Ciappelletto – Giornata Prima – Novella Prima
Ser
Cepparello con una falsa confessione inganna un santo frate e muorsi; e,
essendo stato un pessimo uomo in vita, è morto reputato per santo e
chiamato san Ciappelletto.
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Stabilite
le regole del gioco, Pampinea viene nominata reina della prima
giornata;
– questa
chiede a Panfilo di raccontare la prima novella. E questi comincia
dicendo così:
–
siccome ogni cosa deve cominciare nel nome di Colui che è creatore di
tutte le cose, cioè Dio, Panfilo decide di raccontare una novella nella
quale viene dimostrata la benignità di Dio, il quale guarda più alla
purezza di colui che prega che non alla sua ignoranza.
Introduzione della vicenda
Musciatto Franzesi. Inizia introducendo uno dei protagonisti della
vicenda: siamo a Parigi, dove vive Ser Musciatto Franzesi: questi
è un ricchissimo cavaliere francese, che si trova nella condizione di
dover lasciare la Francia all’improvviso al seguito di Carlo Senzaterra,
fratello del Re di Francia Filippo il Bello, per recarsi in Toscana,
dove erano stati chiamati da Papa Bonifacio VIII;
–
Musciatto Franzesi si trova dunque a dover affidare tutti i suoi affari
a diverse persone, e per ogni affare trova la persona giusta che se ne
possa occupare;
– gli
rimane soltanto un cruccio: cioè a chi affidare l’incarico di riscuotere
i debiti che aveva presso i Borgognoni;
– questi
infatti erano uomini «riottosi, e di mala condizione e misleali».
– Dopo
aver meditato a lungo, gli venne in mente un certo ser Cepperello
da Prato, il quale soggiornava spesso a Parigi;
– si
chiamava appunto Cepperello, ma i francesi lo chiamavano Ciappelletto:
– poiché
era piccolo di statura, e vestiva in modo molto elegante; e siccome i
francesi non sapevano cosa significasse Cepperello,
pensando che il diminutivo potesse derivare da «cappello», lo chiamavano
appunto Ciappelleto, Chapelet, a causa della sua bassa statura;
|
–
affermazione misteriosa, per ora, si capirà solo alla fine della
novella;
– in
realtà Cepperello doveva essere il diminutivo di Ciapo,
derivato da Jacopo;
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2)
Ritratto di Ciappelletto
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Era
questo Ciappelletto di questa vita: egli, essendo notaio, avea
grandissima vergogna quando uno de’ suoi strumenti, come che pochi ne
facesse, fosse altro che falso trovato; de’ quali tanti avrebbe fatti di
quanti fosse stato richesto, e quegli più volentieri in dono che alcuno
altro grandemente salariato. Testimonianze false con sommo
diletto diceva, richesto e non richesto; e dandosi a quei tempi in
Francia a’ saramenti grandissima fede, non curandosi fargli falsi, tante
quistioni malvagiamente vincea a quante a giurare di dire il vero
sopra la sua fede era chiamato. Aveva oltre modo piacere, e forte vi
studiava, in commettere tra amici e parenti e qualunque altra persona
mali e inimicizie e scandali, de’ quali quanto maggiori mali vedeva
seguire tanto più d’allegrezza prendea. Invitato a uno omicidio o
a qualunque altra rea cosa, senza negarlo mai, volonterosamente
v’andava, e più volte a fedire e a uccidere uomini con le proprie mani
si ritrovò volentieri. Bestemmiatore di Dio e de’ Santi era
grandissimo, e per ogni piccola cosa, sì come colui che più che alcuno
altro era iracundo. A chiesa non usava giammai, e i
sacramenti di quella tutti come vil cosa con abominevoli parole
scherniva;
e così in
contrario le taverne e gli altri disonesti luoghi visitava
volentieri e usavagli. Delle femine era così vago come sono i
cani de’ bastoni; del contrario più che alcuno altro tristo uomo si
dilettava. Imbolato avrebbe e rubato con quella coscienza che
un santo uomo offerrebbe . Gulosissimo e bevitor grande,
tanto che alcuna volta sconciamente gli facea noia. Giucatore e
mettitore di malvagi dadi era solenne. Perché mi distendo io
in tante parole? egli era il piggiore uomo forse che mai nascesse.
La cui malizia lungo tempo sostenne la potenzia e lo stato di messer
Musciatto, per cui molte volte e dalle private persone, alle quali assai
sovente faceva iniuria, e dalla corte, a cui tuttavia la facea, fu
riguardato.
|
–
preferiva fare atti giuridici falsi gratis, che autentici dietro
pagamento;
–
diceva false testimonianze, e per questo vinceva molti processi;
–
suscitava inimicizie e discordie tra amici e parenti;
–
uccideva uomini con le proprie stesse mani;
–
bestemmiava Dio e i santi;
– non
andava mai in chiesa e scherniva i sacramenti:
in
compenso frequentava taverne;
– amava
le donne come i cani amano le bastonate, e preferiva gli uomini;
– era
ladro;
–
Giocava, beveva: insomma, era il peggior uomo della terra.
– Messer
Musciatto aveva già fatto ricorso alla malizia di Ciappelletto per i
propri interessi, e per questo lo aveva sempre protetto;
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Musciatto e Ciappelletto. Quindi, Musciatto si convince che
Ciappelletto sia la persona più adatta per riscuotere i suoi crediti
presso i borgognoni, e lo fa chiamare;
– gli
affida questo compito, e in cambio gli promette di fargli avere il
favore del Re di Francia, e di dargli una parte di ciò che avrebbe
riscosso;
–
Ciappelletto in quel momento era disoccupato, e in cattive condizioni
economiche, e perciò accetta con piacere;
–
perciò: Ciappelletto si fa dare la procura (poiché
evidentemente si trattava di tasse da riscuotere), e si reca in
Borgogna, dove quasi nessuno lo conosceva;
– una
volta giunto là, contrariamente alla sua natura, inizia a riscuotere il
denaro usando le buone maniere, e riservandosi di usare le cattive in
caso di necessità;
Ciappelletto si ammala. In Borgogna, Ciappelletto viene ospitato da
due fratelli fiorentini, che di lavoro facevano i prestatori di denaro a
usura, e accettarono di ospitare ser Ciappelletto per rispetto di
Musciatto.
– A un
certo punto, però, Ciappelletto si ammala.
– I due
fratelli fanno venire medici e servitori affinché egli possa
riacquistare la salute, ma niente: lui, sia per l’età avanzata, sia per
essere vissuto disordinatamente tutta la vita, peggiora di giorno in
giorno;
– e
viene a trovarsi sul punto di morire.
Preoccupazione dei fratelli. A questo i fratelli fiorentini si
mostrano alquanto preoccupati:
– se lo
avessero mandato fuori casa infermo, avrebbero attirato il biasimo dei
vicini per questa cattiva azione;
– se
invece lo avessero tenuto in casa fino alla morte, sicuramente sarebbe
morto senza sacramenti, con ulteriore scandalo;
– se poi
si fosse confessato, peggio che mai: il sacerdote non avrebbe mai
perdonato un uomo così dissoluto, e lo avrebbe fatto seppellire in terra
sconsacrata.
– Se ciò
fosse avvenuto, con questa scusa nessuno avrebbe più pagato i propri
debiti ai fratelli usurai; e magari qualcuno avrebbe anche attentato
allo loro stessa vita.
– Che
fare?
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Ser
Ciappelletto, il quale, come dicemmo, presso giacea là dove costoro così
ragionavano, avendo l’udire sottile, sì come le più volte veggiamo aver
gl’infermi, udì ciò che costoro di lui dicevano; li quali egli si fece
chiamare e disse loro: “Io non voglio che voi d’alcuna cosa di me
dubitiate né abbiate paura di ricevere per me alcun danno. Io ho inteso
ciò che di me ragionato avete e son certissimo che così n’averrebbe come
voi dite, dove così andasse la bisogna come avvisate: ma ella andrà
altramenti. Io ho, vivendo, tante ingiurie fatte a Domenedio, che, per
farnegli io una ora in su la mia morte, né più né meno ne farà; e per
ciò procacciate di farmi venire un santo e valente frate, il più che
aver potete, se alcun ce n’è; e lasciate fare a me, ché
fermamente io acconcerò i fatti vostri e’ miei in maniera che starà bene
e che dovrete esser contenti.”
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Quindi:
Ciappelletto sente il discorso dei due fratelli;
–
comprende la situazione, e non vuole che che i due siano danneggiati
dalla sua presenza;
– chiede
di fargli portare un «santo e valente frate…se alcun ce n’è»;
– e gli
dice di non preoccuparsi;
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I due
fratelli, come che molta speranza non prendessono di
questo, nondimeno se n’andarono a una religione di frati e
domandarono alcuno santo e savio uomo che udisse la confessione d’un
lombardo che in casa loro era infermo; e fu lor dato un frate
antico di santa e di buona vita e gran maestro
in Iscrittura e molto venerabile uomo, nel quale tutti i
cittadini grandissima e speziale divozione aveano, e lui menarono. Il
quale, giunto nella camera dove ser Ciappelletto giacea e allato
postoglisi a sedere, prima benignamente il cominciò a confortare, e
appresso il domandò quanto tempo era che egli altra volta confessato si
fosse.
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–
come che: concessivo: benché;
–
religione: confraternita;
–
lombardo: dell’Italia settentrionale;
–
antico: anziano;
–
caratteri del frate: opposti a Ciappelletto: di buona vita; maestro
in scrittura; molto venerabile; molto stimato;
|
La
falsa confessione
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Al quale
ser Ciappelletto, che mai confessato non s’era, rispose: ”
Padre mio, la mia usanza suole essere di confessarsi ogni settimana
almeno una volta, senza che assai sono di quelle che io mi confesso più;
è il vero che, poi che io infermai, che son passati da otto dì, io non
mi confessai tanta è stata la noia che la infermità m’ha data.”
Disse
allora il frate: “Figliuol mio, bene hai fatto, e così si
vuol fare per innanzi; e veggio che, poi sì spesso ti confessi, poca
fatica avrò d’udire o di dimandare.”
|
–
Premessa: a causa della malattia non si confessa da otto
giorni, mentre è solito confessarsi ogni settimana, e anche più;
–
frate: tanto meglio: farò meno fatica dato che ti confessi così
spesso;
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>
inizia il rovesciamento
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Disse
ser Ciappelletto: “Messer lo frate, non dite così: io non mi
confessai mai tante volte né sì spesso, che io sempre non mi volessi
confessare generalmente di tutti i miei peccati che io mi ricordassi dal
dì che io nacqui infino a quello che confessato mi sono; e per ciò
vi priego, padre mio buono, che così puntalmente d’ogni cosa mi
domandiate come se mai confessato non mi fossi; e non mi riguardate
perché io infermo sia, ché io amo molto meglio di dispiacere a queste
mie carni che, faccendo agio loro, io facessi cosa che potesse essere
perdizione dell‘anima mia, la quale il mio Salvatore ricomperò
col suo prezioso sangue.”
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–
Ciappelletto rimprovera il frate;
–
dice che ogni volta fa una confessione generale di tutti i peccati che
ha commesso nella vita;
– lo
prega di fargli l’esame di coscienza, come se non si fosse
mai confessato;
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Queste
parole piacquero molto al santo uomo e parvongli argomento di bene
disposta mente: e poi che a ser Ciappelletto ebbe molto commendato
questa sua usanza, il cominciò a domandare se egli mai in lussuria con
alcuna femina peccato avesse.
Al quale
ser Ciappelletto sospirando rispose: “Padre mio, di questa parte mi
vergogno io di dirvene il vero temendo di non peccare in vanagloria.”
Al quale
il santo frate disse: “Di’ sicuramente, ché il vero dicendo né in
confessione né in altro atto si peccò giammai.”
Disse
allora ser Ciappelletto: “Poiché voi di questo mi fate sicuro, e io il
vi dirò: io son così vergine come io usci’ del corpo della mamma mia.”
“Oh,
benedetto sia tu da Dio!” disse il frate “come bene hai fatto! e,
faccendolo, hai tanto più meritato, quanto, volendo, avevi più
d’arbitrio di fare il contrario che non abbiam noi e qualunque altri son
quegli che sotto alcuna regola son constretti.”
|
–
Primo peccato: lussuria.
–
il frate domanda se è mai stato con una donna;
–
Ciappelletto teme di peccare di vanagloria rispondendo alla domanda;
– il
frate: dicendo il vero non si è mai commesso peccato:
– e
Ciappelletto, in effetti Ciappelletto dice il vero: non è
mai stato con una donna!
– il
frate: sei anche meglio dei frati! poiché noi lo facciamo di mestiere,
tu invece per libera scelta
>
continua il rovesciamento.
|
E
appresso questo il domandò se nel peccato della gola aveva a Dio
dispiaciuto. Al quale, sospirando forte, ser Ciappelletto rispose di
sì e molte volte; per ciò che, con ciò fosse cosa che egli, oltre
alli digiuni delle quaresime che nell’anno si fanno dalle divote
persone, ogni settimana almeno tre dì fosse uso di digiunare in pane e
in acqua, con quello diletto e con quello appetito l’acqua bevuta
aveva, e spezialmente quando avesse alcuna fatica durata o adorando
o andando in pellegrinaggio, che fanno i gran bevitori il vino; e molte
volte aveva disiderato d’avere cotali insalatuzze d’erbucce, come
le donne fanno quando vanno in villa, e alcuna volta gli era paruto
migliore il mangiare che non pareva a lui che dovesse parere a chi
digiuna per divozione, come digiunava egli.
Al quale
il frate disse: “Figliuol mio, questi peccati sono naturali e sono assai
leggieri, e per ciò io non voglio che tu ne gravi più la coscienza tua
che bisogni. A ogni uomo avviene, quantunque santissimo sia, il parergli
dopo lungo digiuno buono il manicare e dopo la fatica il bere.”
“Oh!”
disse ser Ciappelletto “padre mio, non mi dite questo per confortarmi:
ben sapete che io so che le cose che al servigio di Dio si fanno, si
deono fare tutte nettamente e senza alcuna ruggine d’animo: e chiunque
altramenti fa, pecca.”
Il frate
contentissimo disse: “E io son contento che così ti cappia nell’animo e
piacemi forte la tua pura e buona conscienza in ciò. Ma dimmi: in
avarizia hai tu peccato disiderando più che il convenevole o tenendo
quello che tu tener non dovesti?”
Al quale
ser Ciappelletto disse: “Padre mio, io non vorrei che voi guardasti
perché io sia in casa di questi usurieri: io non ci ho a far nulla,
anzi ci era venuto per dovergli ammonire e gastigare e torgli da
questo abominevole guadagno; e credo mi sarebbe venuto fatto, se Idio
non m’avesse così visitato. Ma voi dovete sapere che mio padre mi lasciò
ricco uomo, del cui avere, come egli fu morto, diedi la maggior parte
per Dio; e poi, per sostentar la vita mia e per potere aiutare i poveri
di Cristo, ho fatte mie piccole mercatantie e in quelle ho disiderato di
guadagnare. E sempre co’ poveri di Dio, quello che guadagnato ho, ho
partito per mezzo, la mia metà convertendo ne’ miei bisogni, l’altra
metà dando loro: e di ciò m’ha sì bene il mio Creatore aiutato, che
io ho sempre di bene in meglio fatti i fatti miei.”
“Bene hai
fatto:” disse il frate “ma come ti se’ tu spesso adirato?”
“Oh!”
disse ser Ciappelletto “cotesto vi dico io bene che io ho molto
spesso fatto; e chi se ne potrebbe tenere, veggendo tutto il dì
gli uomini fare le sconce cose, non servare i comandamenti di Dio,
non temere i suoi giudicii? Egli sono state assai volte il dì che io
vorrei più tosto essere stato morto che vivo, veggendo i giovani andar
dietro alle vanità e udendogli giurare e spergiurare, andare alle
taverne, non visitar le chiese e seguir più tosto le vie del mondo che
quella di Dio.”
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Secondo peccato: gola;
–
Ciappelletto dice di aver peccato molte volte:
– dopo
aver digiunato beve avidamente acqua;
– prova
desiderio per «certe insalatuzze d’erbucce»;
– il
frate gli dice che sono peccati perdonabili;
–
Ciappelletto lo riprende: il frate dovrebbe sapere che bisogna
presentarsi da Dio con animo puro;
> altro
rovesciamento
Terzo peccato: avarizia
–
Ciappelletto: se è in casa dei due usurai, è per convertirli;
– Dà
metà di quello che ha in elemosina;
Quarto peccato: ira
–
Ciappelletto: sì, si è arrabbiato tante volte vedendo gli uomini fare il
male;
|
Disse
allora il frate: “Figliuol mio, cotesta è buona ira, né io per me
te ne s’aprei penitenza imporre; ma per alcun caso avrebbeti l’ira
potuto inducere a fare alcuno omicidio o a dire villania a persona o
a fare alcuna altra ingiuria?”
A cui ser
Ciappelletto rispose: “Oimè, messere, o voi mi parete uomo di Dio: come
dite voi coteste parole? o s’io avessi avuto pure un pensieruzzo di
fare qualunque s’è l’una delle cose che voi dite, credete voi che io
creda che Idio m’avesse tanto sostenuto? Coteste son cose da farle
gli scherani e i rei uomini, de’ quali qualunque ora io n’ho mai veduto
alcuno, sempre ho detto: «Va, che Idio ti converta».”
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– Frate:
questa è buona ira!
– l’ira
ti ha portato a commettere omicidi o ingiurie?
–
Ciappelletto: ma come può pensare che Dio mi abbia tenuto in vita, se lo
avessi fatto?
> altro
rovesciamento
|
Allora
disse il frate: “Or mi di’, figliuol mio, che benedetto sie tu da Dio:
hai tu mai testimonianza niuna falsa detta contra alcuno o
detto male d’altrui o tolte dell’altrui cose senza piacere di colui
di cui sono?”
“Mai
messer sì, ” rispose ser Ciappelletto “che io ho detto male d’altrui;
per ciò che io ebbi già un mio vicino che, al maggior torto del
mondo, non faceva altro che batter la moglie, sì che io dissi
una volta male di lui alli parenti della moglie, sì gran pietà mi
venne di quella cattivella, la quale egli, ogni volta che bevuto avea
troppo, conciava come Dio vel dica.”
|
Quinto peccato: hai detto falsa testimonianza?
–
Ciappelletto: sì, un mio vicino picchiava sempre la moglie, e io ne ho
parlato male ai parenti di lei;
|
Disse
allora il frate: “Or bene, tu mi di’ che se’ stato mercatante:
ingannasti tu mai persona così come fanno i mercatanti?”
“Gnaffé,
” disse ser Ciappelletto “messer sì, ma io non so chi egli si fu: se non
che, uno avendomi recati denari che egli mi doveva dare di panno che io
gli avea venduto e io messigli in una mia cassa senza annoverare, ivi
bene a un mese trovai ch’egli erano quatro piccioli più che esser non
doveano; per che, non rivedendo colui e avendogli serbati bene uno anno
per rendergliele, io gli diedi per l’amor di Dio.”
Disse il
frate: “Cotesta fu piccola cosa, e facesti bene a farne quello che ne
facesti.”
E, oltre
a questo, il domandò il santo frate di molte altre cose, delle
quali di tutte rispose a questo modo; e volendo egli già procedere alla
absoluzione, disse ser Ciappelletto: “Messere, io ho ancora alcun
peccato che io non v’ho detto.”
|
Sesto peccato: hai mai ingannato qualcuno, essendo mercante?
– gnaffè:
in fede mia;
–
Ciappelletto: sì, una volta uno per sbaglia mi aveva dato quattro
piccioli in più; io li ho tenuti un anno, e poi li ho dati in elemosina;
|
Il frate
il domandò quale; e egli disse: “Io mi ricordo che io feci al fante
mio, un sabato dopo nona, spazzare la casa e non ebbi alla
santa domenica quella reverenza che io dovea.”
“Oh!”
disse il frate “figliuol mio, cotesta è leggier cosa.”
“Non, ”
disse ser Ciappelletto “non dite leggier cosa, ché la domenica è troppo
da onorare, però che in così fatto dì risuscitò da morte a vita il
nostro Signore.”
Disse
allora il frate: “O, altro hai tu fatto?”
“Messer
sì, ” rispose ser Ciappelletto “ché io, non avvedendomene, sputai una
volta nella chiesa di Dio.”
Il frate
cominciò a sorridere e disse: “Figliuol mio, cotesta non è cosa da
curarsene: noi, che siamo religiosi, tutto il dì vi sputiamo.”
Disse
allora ser Ciappelletto: “E voi fate gran villania, per ciò che
niuna cosa si convien tener netta come il santo tempio, nel quale si
rende sacrificio a Dio.”
E in
brieve de’ così fatti ne gli disse molti; e ultimamente cominciò a
sospirare e appresso a piagner forte, come colui che il sapeva troppo
ben fare quando volea.
Disse il
santo frate: “Figliuol mio, che hai tu?”
Rispose
ser Ciappelletto: “Oimè, messere, ché un peccato m’è rimaso, del
quale io non mi confessai mai, sì gran vergogna ho di doverlo dire;
e ogni volta che io me ne ricordo piango come voi vedete, e parmi esser
molto certo che Idio mai non avrà misericordia di me per questo
peccato.”
|
Dichiarazioni spontanee
– una
volta non ho rispettato il giorno del riposo domenicale facendo lavorare
il mio fante;
– una
volta ho sputato in chiesa;
>
rovesciamento!
– ultimo
più grande peccato, mai confessato.
|
Allora il
santo frate disse: “Va via, figliuolo, che è ciò che tu di’? Se tutti i
peccati che furon mai fatti da tutti gli uomini, o che si debbon fare da
tutti gli uomini mentre che il mondo durerà, fosser tutti in uno uom
solo, e egli ne fosse pentuto e contrito come io veggio te, si è
tanta la benignità e la misericordia di Dio, che, confessandogli egli,
gliele perdonerebbe liberamente: e per ciò dillo sicuramente.”
Disse
allora ser Ciappelletto sempre piagnendo forte: “Oimè, padre mio,
il mio è troppo gran peccato, e appena posso credere, se i vostri
prieghi non ci si adoperano, che egli mi debba mai da Dio esser
perdonato.”
A cui il
frate disse: “Dillo sicuramente, ché io ti prometto di pregare Idio per
te.”
|
–
|
Ser
Ciappelletto pur piagnea e nol dicea, e il frate pure il confortava a
dire; ma poi che ser Ciappelletto piagnendo ebbe un grandissimo pezzo
tenuto il frate così sospeso, e egli gittò un gran sospiro e disse:
“Padre mio, poscia che voi mi promettete di pregare Idio per me, e io il
vi dirò: sappiate che, quando io era piccolino, io bestemmiai una
volta la mamma mia.” E così detto rincominciò a piagner forte.
Disse il
frate: “O figliuol mio, or parti questo così gran peccato? o gli
uomini bestemmiano tutto il giorno Idio, e sì perdona Egli volentieri a
chi si pente d’averlo bestemmiato; e tu non credi che Egli perdoni a te
questo? Non piagner, confortati, ché fermamente, se tu fossi
stato un di quegli che il posero in croce, avendo la contrizione che io
ti veggio, sì ti perdonerebbe Egli.”
Disse
allora ser Ciappelletto: “Oimè, padre mio, che dite voi? la mamma mia
dolce, che mi portò in corpo nove mesi il dì e la notte e portommi in
collo più di cento volte! troppo feci male a bestemmiarla e troppo è
gran peccato; e se voi non pregate Idio per me, egli non mi serà
perdonato.”
Veggendo
il frate non essere altro restato a dire a ser Ciappelletto, gli fece
l’absoluzione e diedegli la sua benedizione, avendolo per santissimo
uomo, sì come colui che pienamente credeva esser vero ciò che ser
Ciappelletto avea detto: e chi sarebbe colui che nol credesse, veggendo
uno uomo in caso di morte dir così?
E poi,
dopo tutto questo, gli disse: “Ser Ciappelletto, con l’aiuto di Dio voi
sarete tosto sano; ma se pure avvenisse che Idio la vostra benedetta e
ben disposta anima chiamasse a sé, piacevi egli che ‘l vostro corpo sia
sepellito al nostro luogo?”
|
– una
volta ho ingiuriato mia madre;
Frate: ti
pare questo un gran peccato? gli uomini bestemmiano tutto il giorno Dio
per ogni minima cosa!
–
ennesimo rovesciamento:
–
Fine confessione.
– il
frate chiede a Ciappelletto se vuole essere
seppellito presso il loro cimitero!!
|
Al quale
ser Ciappelletto rispose: “Messer sì, anzi non vorrei io essere altrove,
poscia che voi m’avete promesso di pregare Idio per me: senza che io ho
avuta sempre spezial divozione al vostro Ordine. E per ciò vi priego
che, come voi al vostro luogo sarete, facciate che a me vegna quel
veracissimo corpo di Cristo il quale voi la mattina sopra l’altare
consecrate; per ciò che, come che io degno non ne sia, io intendo con la
vostra licenzia di prenderlo, e appresso la santa e ultima unzione,
acciò che io, se vivuto son come peccatore, almeno muoia come
cristiano.”
Il santo
uomo disse che molto gli piacea e che egli diceva bene, e farebbe che di
presente gli sarebbe apportato; e così fu.
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Li due
fratelli, li quali dubitavan forte non ser Ciappelletto gl’ingannasse,
s’eran posti appresso a un tavolato, il quale la camera dove ser
Ciappelletto giaceva dividea da un’altra, e ascoltando leggiermente
udivano e intendevano ciò che ser Ciappelletto al frate diceva; e aveano
alcuna volta sì gran voglia di ridere, udendo le cose le quali
egli confessava d’aver fatte, che quasi scoppiavano: e fra sé talora
dicevano: “Che uomo è costui, il quale né vecchiezza né infermità
né paura di morte, alla qual si vede vicino, né ancora di Dio, dinanzi
al giudicio del quale di qui a picciola ora s’aspetta di dovere essere,
dalla sua malvagità l’hanno potuto rimuovere, né far che egli così non
voglia morire come egli è vivuto?” . Ma pur vedendo che sì aveva detto
che egli sarebbe a sepoltura ricevuto in chiesa, niente del rimaso si
curarono.
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i due
fratelli: sono sul punto di scoppiare a ridere, e provano ammirazione
per lui.
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Ser Ciappelletto poco appresso si comunicò: e
peggiorando senza modo ebbe l’ultima unzione e poco passato vespro, quel dì
stesso che la buona confessione fatta avea, si morì. Per la qual cosa li due
fratelli, ordinato di quello di lui medesimo come egli fosse onorevolemente
sepellito e mandatolo a dire al luogo de’ frati, e che essi vi venissero la sera
a far la vigilia secondo l’usanza e la mattina per lo corpo, ogni cosa a ciò
oportuna dispuosero.
Il santo frate che confessato l’avea, udendo che egli era
trapassato, fu insieme col priore del luogo; e fatto sonare a capitolo, alli
frati ragunati in quello mostrò ser Ciappelletto essere stato santo uomo,
secondo che per la sua confessione conceputo avea; e sperando per lui Domenedio
dovere molti miracoli dimostrare, persuadette loro che con grandissima
reverenzia e divozione quello corpo si dovesse ricevere. Alla qual cosa il
priore e gli altri frati creduli s’acordarono: e la sera, andati tutti là dove
il corpo di ser Ciappelletto giaceva, sopr’esso fecero una grande e solenne
vigilia; e la mattina, tutti vestiti co’ camisci e co’ pieviali, con li libri in
mano e con le croci innanzi cantando andaron per questo corpo e con grandissima
festa e solennità il recarono alla lor chiesa, seguendo quasi tutto il popolo
della città, uomini e donne. E nella chiesa postolo, il santo frate, che
confessato l’avea, salito in sul pergamo di lui cominciò e della sua vita, de’
suoi digiuni, della sua virginità, della sua simplicità e innocenzia e santità
maravigliose cose a predicare, tra l’altre cose narrando quello che ser
Ciappelletto per lo suo maggior peccato piangendo gli avea confessato, e come
esso appena gli avea potuto metter nel capo che Idio gliele dovesse perdonare,
da questo volgendosi a riprendere il popolo che ascoltava, dicendo: “E voi,
maladetti da Dio, per ogni fuscello di paglia che vi si volge tra’ piedi
bestemmiate Idio e la Madre e tutta la corte di Paradiso.”
E oltre a queste, molte altre cose disse della sua lealtà e
della sua purità: e in brieve con le sue parole, alle quali era dalla gente
della contrada data intera fede, sì il mise nel capo e nella divozion di tutti
coloro che v’erano, che, poi che fornito fu l’uficio, con la maggior calca del
mondo da tutti fu andato a basciargli i piedi e le mani, e tutti i panni gli
furono indosso stracciati, tenendosi beato chi pure un poco di quegli potesse
avere: e convenne che tutto il giorno così fosse tenuto, acciò che da tutti
potesse essere veduto e visitato. Poi, la vegnente notte, in una arca di marmo
sepellito fu onorevolemente in una cappella: e a mano a mano il dì seguente vi
cominciarono le genti a andare e a accender lumi e a adorarlo, e per conseguente
a botarsi e a appicarvi le imagini della cera secondo la promession fatta. E in
tanto crebbe la fama della sua santità e divozione a lui, che quasi niuno era
che in alcuna avversità fosse, che a altro santo che a lui si botasse, e
chiamaronlo e chiamano san Ciappelletto; e affermano molti miracoli Idio aver
mostrati per lui e mostrare tutto giorno a chi divotamente si raccomanda a lui.
Così adunque visse e morì ser Cepparello da Prato e santo
divenne come avete udito. Il quale negar non voglio esser possibile lui esser
beato nella presenza di Dio, per ciò che, come che la sua vita fosse scellerata
e malvagia, egli poté in su lo stremo aver sì fatta contrizione, che per
avventura Idio ebbe misericordia di lui e nel suo regno il ricevette: ma per ciò
che questo n’è occulto, secondo quello che ne può apparire ragiono, e dico
costui più tosto dovere essere nelle mani del diavolo in perdizione che in
Paradiso. E se così è, grandissima si può la benignità di Dio cognoscere verso
noi, la quale non al nostro errore ma alla purità della fé riguardando, così
faccendo noi nostro mezzano un suo nemico, amico credendolo, ci essaudisce, come
se a uno veramente santo per mezzano della sua grazia ricorressimo. E per ciò,
acciò che noi per la sua grazia nelle presenti avversità e in questa compagnia
così lieta siamo sani e salvi servati, lodando il suo nome nel quale cominciata
l’abbiamo, Lui in reverenza avendo, ne’ nostri bisogni gli ci raccomanderemo
sicurissimi d’essere uditi. –
E qui si tacque.
Interpretazioni di Ser Ciappelletto
Il
rovesciamento. La chiave interpretativa per questa novella è il meccanismo
del rovesciamento:
– Ciappelletto
è un uomo di piccola statura, pulito ed elegante, ma è in realtà
malvagio;
– è un
notaio, che dovrebbe garantire la correttezza degli atti giuridici, e
invece li falsifica;
– è un uomo
malvagio ma alla fine viene santificato;
– il frate è un
sant’uomo ma alla fine viene ripreso da Ciappelletto;
– la
confessione ribalta in positivo tutti gli aspetti negativi mostrati nel
«ritratto» di Panfilo;
– alla fine
l’empio bestemmiatore diviene strumento per la misericordia di Dio.
Ma che cos’è
vuol dire questa novella? Gli studiosi hanno dato varie interpretazioni di
questa novella:
– è una
satira contro la Chiesa, e la facilità con cui proclama Santi per il
proprio interesse;
– contro
l’ignoranza dei monaci;
– e ancora:
contro l’ingenuità del popolo credulone;
– contro
l’avidità della classe mercantile;
–
Ciappelletto. Lo stesso Ciappelletto può essere visto come un «eroe»
della truffa, che si compiace dei propri inganni a costo di dannarsi per sempre;
– può essere
visto, anche, come un eroe della classe mercantile: che è disposto a tutto pur
di non gettare discredito sui mercanti italiani in Francia;
Il potere della parola. Che cosa vuole dire, dunque, Boccaccio, con
questa novella? Al di là di tutto questo, certamente, Boccaccio vuole far
iniziare la sua centuria con una novella che mostra il potere infinito della
parola, capace di creare mondi inesistenti, e addirittura di condizionare la
volontà di Dio stesso.