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2 Agosto 2015L’eredità della retorica classica – di Carlo Zacco
2 Agosto 2015
1.1 La retorica antica: le origini
Nella Magna Grecia del V secolo a.C.
Essere vs essere creduto vero. Nel 467 a.C. in Sicilia, a Siracusa, scoppia un insurrezione popolare contro gli espropri terrieri praticati ad opera dei tiranni Gelone e del suo successore Gerone; in quest’occasione i litiganti mostrarono una naturale ed istintiva capacità di far valere le proprie ragioni attaccando efficacemente l’avversario. Poco più tardi Corace e il suo allievo Tisia provvidero alla codificazione di un metodo e di una tecnica fino ad allora sperimentati soltanto empiricamente. E’ con loro che si fa nascere la Retorica. Un solo principio: il sembrare vero conta di più dell’essere vero. La retorica si contrappone all’eloquenza, virtù spontanea, per essere un sistema di regole, precetti e tecniche fondati sul contrasto tra essere ed essere creduto vero.
La psicagogica. E’ un tipo di retorica che si sviluppa contemporaneamente sempre in Sicilia e punta non ad un’adesione razionale dell’ascoltatore attraverso una dimostrazione ineccepibile, bensì ad una reazione emotiva attraverso un sapiente uso della parola. Uno dei motivi base della psicagogica è lapolitropìa, ovvero la capacità di adattare il discorso ai vari tipi di ascoltatore; la politropia è connessa al concetto di kairòs, ovvero di «opportuno».
La retorica è strettamente legata allo sviluppo della polis e della democrazia dove è necessaria per difendere le proprie ragioni e demolire quelle altrui, ed è considerata espressione della libertà di parola. Ma la retorica non era considerata solo come una pratica, bensì anche come una scienza del linguaggio, necessario per conoscere la realtà.
1.2 La retorica dei sofisti
Ad Atene nel V secolo a.C
Le prime teorie di Corace e Tisia e della scuola pitagorica furono assimilate, ad Atene, dai Sofisti.Protagora applicò il concetto di kairos non ad una questione morale, ma ad una questione forma: opportuna poteva ad esempio essere la concisione o l’abbondanza; opportuna era l’orthoèpia, ovvero la proprietà di espressione che rendeva il discorso più efficace. Ma la vera novità di Protagora fu l’antilogìa, ovvero la tecnica dell’antitesi, tecnica del contraddire.
1.3 Contri i retori Sofisti: Platone
Dialettica vs Rethorica. Platone si pose immediatamente il problema del rapporto tra retorica e Filosofia, condannandola immediatamente e risolutamente come mera tecnica persuasiva volta a distrarre l’animo con delle vuote sonorità allontanandolo dalla verità. Platone propone come unica alternativa valida la dialettica, in quanto arte del discutere basata sulla scomposizione degli argomenti in principii primi e ricerca delle categorie essenziali. Nella dialettica prevale la epistème, ovvero la scienza, la certezza della verità, a discapito della doxa, ovvero l’opinione, la mutevolezza dell’opinabile che è propria della retorica. Retorica è nel dominio della doxa, Dialettica è nel dominio dell’episteme. Alla retorica Platone toglie anche il valore di thèkne che i sofisti le attribuivano, in quanto non si preoccupa di conoscere la natura delle cose di cui parla e perché l’unica abilità che richiede è la kolakèia, ovvero l’abilità di persuasione.
La vera e la falsa Retorica. Più avanti, nel Fedro, Platone distinguerà tra vera e falsa retorica: falsa è quella che ostenta un’apparenza di verità e non cerca di apprendere ciò che è effettivamente giusto; vera è quella che invece guida l’animo verso la verità.
L’eredità di Platone. Questo atteggiamento di Platone ha avuto un influenza pesante nei millenni successivi ed anche oggi. Cioè il fatto di identificare la retorica con pratiche di imbroglio, di persuasione, di manipolazione del consenso altrui e soprattutto delle folle.
1.5 La retorica Aristotelica
La retorica, come la dialettica, è una forma di conoscenza. Entrambe sono rivolte ad oggetti che possono essere conosciuti da tutti gli uomini e non solo da una scienza specifica.
– Pìsteis: le dimostrazioni, sono gli argomenti probanti, ovvero che sono validi a dimostrare o che costituiscono prove valide a dimostrare. Possono essere àteknoi, non-tecnici, cioè già posti in partenza come dati di fatto (testimonianze, confessioni, documenti scritti), oppure pososno essere énteknoi,tecnici, ovvero che si trovano attraverso un metodo. Il teorico deve occuparsi di questi ultimi. Una pìstispuò essere costituita o da un esempio o da un entimema.
– Esempio. Nella retorica l’esempio è ciò che nella dialettica è l’induzione. Con la differenza che mentre l’induzione estrae principi generali da fatti particolari, l’esempio si basa su fatti probabili. L’esempio è la dimostrazione sulla base di molti casi simili. Gli esempi possono essere o storici o inventati (gli exemplaficta); gli esempi inventati possono essere o parabole o favole. La parabole è un paragone di una situazione con un’altra tramite un nesso evidente di analogia; nelle favole, come quello di Esopo, l’analogia deve essere altrettanto evidente.
– Entimema. Nella retorica l’entimema è ciò che nella dialettica è il sillogismo, con la differenza che mentre nel sillogismo le due premesse devono essere necessariamente vere, nell’entimema queste sono solamente probabili o accettate come vere, in ogni caso confutabili.
Tipici sono gli entimemi basati sui luoghi comuni «del più e del meno», per esempio:
«Si ergo vos, cum sitis mali, nostis dona bona dare filiis vestris, quanto magis Pater de caelo dabit Spiritum Sanctum petentibus se» (Lc 11,13)
Oppure:
«se neppure gli dei sanno tutte le cose, ancor più difficilmente le sapranno gli uomini» (Ret, II 23)
– Tòpoi. I topoi sono le premesse che costituiscono sillogismi ed entimemi. I topoi possono essere o proprio comuni. I topoi comuni hanno carattere generico tale che possono essere riferiti a più argomenti di natura diversa. I topoi propri posso essere riferiti solo ad uno specifico argomento.
Prima di ragionare sulla natura di queste premesse, il teorico ragiona sulla natura del discorso. Il discorso è costituito da tre elementi: colui che parla; ciò di cui si parla; colui a cui si parla;
Quest’ultimo, cioè l’ascoltatore, determina i tre tipi di classificazione del discorso:
1) genere deliberativo. Il discorso verte sulle categorie conveniente/sconveniente: l’ascoltatore è il membro di una assemblea politica, esprime un giudizio su azioni future; l’oratore consiglia ciò che è utile, sconsiglia ciò che è nocivo;
2) genere giudiziario. Il discorso verte su categorie giusto/sbagliato. l’ascoltatore è il giudice in un processo, esprime un giudizio su azioni passate; l’oratore accusa o difende basandosi sul giusto e l’ingiusto;
Questi due tipi di ascoltatore hanno in comune la prerogativa di poter mutare una situazione, cosa che non succede in:
3) genere epidittico. Il discorso verte sulle categorie bello/turpe; l’ascoltatore è lo spettatore, esprime un giudizio sul talento dell’oratore; l’oratore loda o biasima;
Così è la retorica come è stata analizzata e descritta da Aristotele.
La letteraturizzazione della retorica. Nei secoli successivi è stato via via posto l’accento sul genere giudiziario: chi sapeva destreggiarsi in un processo, poteva farlo anche i tutte le altre situazioni. Nello stesso tempo, mentre la retorica diveniva sempre di più disciplina canonica e cristallizzata, i generi giudiziario e deliberativo, ridotti a mera esibizione oratoria, sono stati assimilati a quello epidittico. Larethorica docens includeva nel genere epidittico praticamente tutti i tipi di discorso. La nozione di bello passò così dall’oggetto del discorso al discorso stesso, ed ebbe luogo così la letteraturizzazione della retorica.
La lexis
Nel secondo libro della Rethorica l’autore introduce altre due categorie che rendono efficace, credibile e persuasivo il discorso dell’oratore:
– èthos, ovvero la moralità, l’integrità morale dell’oratore agli occhi del pubblico;
– pàthos, le emozioni suscitate dall’oratore al pubblico;
Dato che la retorica esiste al fine di guidare il giudizio dell’ascoltatore, questi elementi contribuiscono a porre l’uditore in una certa disposizione.
Nel terzo libro, a ethos e pathos si aggiungono altre due parti:
– oikonomìa, ovvero disposizione delle parti del discorso, legata alla hèuresis, ovvero la ricerca degli argomenti in base al genere;
– hypokritikè, ovvero la tecnica di declamazione del discorso, traendo le tecniche dalla hypòkrisis,ovvero dalla recitazione teatrale.
Grammatica e ornatus. Aristotele afferma anche che queste cose sono superflue e che ci si dovrebbe occupare della sola dimostrazione dialettica; ma allo stesso tempo non si può pretendere che il pubblico svolga operazioni troppo complesse, e dunque questi aspetti estranei alla dimostrazione vanno curati. Per questo Aristotele si occupa anche di chiarezza e correttezza offrendo anche un prontuario di grammatica in modo che il discorso dia semplice da comprendere; nonché di alcuni aspetti dell’ornatuscome la metafora, considerata un modo per rendere il discorso chiaro in primo luogo, ed piacevole ed elegante per il fatto di cogliere analogie tra cose lontane: sul terreno della metafora si incontrano poesia e retorica. Altro elemento dell’ornatus particolarmente trattato è stato l’arguzia ovvero la capacità di stabilire collegamenti inusuali tra le cose, ed in modo breve e coinciso.
Teofrasto e i tre generi. Il continuatore di Aristotele fu Teofrasto, tra il IV e il III secolo a.C. Sulla base di un insegnamento di Aristotele riguardante il prèpon, ovvero il conveniente per cui si doveva cercare il modo giusto di esprimersi per ogni materia trattata, Teofrasto distingue i tre generi del discorso (sublime, medio, umile), di fondamentale importanza per la retorica successiva.
La Nuova Accademia. La scuola platonica sposterà il discorso sulla retorica da principio del vero a quello del persuasivo, fondandolo unicamente sulla doxa. Il discorso darà così tanto più persuasivo, quante più contraddizioni riuscirà a superare. Su questo terreno si muoverà Cicerone.
1.6 Dagli stoici all’esaurimento della retorica in Grecia
Zenone. E’ il fondatore della scuola stoica, e verso la fine del IV secolo approfondisce il rapporto tra dialettica e retorica. Si spiega con un gesto: la dialettica è un pugno chiuso, procedimento dal carattere serrato e conciso; la retorica una palma aperta, per il suo carattere spigliato e diffuso. Come Platone ed Aristotele in Zenone c’è l’opposizione tra braghilogia e macrologia, ma a differenza di Platone la retorica non è empiria, bensì una funzione della logica volta all’esposizione del discorso scientifico.
Ermagora di Temno. Segue il filone della tradizione Stoica e verso il II secolo a.C fa importanti considerazioni sulle retorica applicata al diritto. Come prima cosa Ermagora pratica una distinzione di ambito di competenza della retorica introducendo le categorie di Thèsis, le questioni generali, eHypothèsis le questioni particolari. I latini faranno propria questa distinzione traducendola in:
– genus infinitum, o propositum, (o questio communis o questio generalis) per le questioni riferite a classi di individui, o situazioni tipiche;
– genus definitum o causa, (o questio finita o questio specialis) per le questioni riferite ai singoli individui, luoghi, momenti;
Questa quesitone si ricollega alla distinzione aristotelica fra luoghi comuni e luoghi propri.
Come seconda cosa Ermagora introduce un’altra novità fondata sulla nozione di stasis o status causae(latino) cioè la questione su cui verte una causa. Egli distingue infatti altre due distinzioni di discorsogenera razionale, fondato sul senso comune, e genere legale basato sulle leggi.
Ampiezza e brevità furono dai successori di Ermagora incanalate in indirizzi ben definiti che presero il nome dalle rispettive scuole:
– lo stile asiano: esuberante e magniloquente; fondato sui principii dell’originalità; dell’anomalia, ciè scrivere in modo imprevedibile e sempre lontano dalla norma; si scrive seguendo l’impulso dellapassione.
– lo stile attico: conciso e lineare; fondato sui principii dell’imitazione degli autori canonici, depositari della purezza della lingua; della analogia, cioè scrivere secondo regole ben precise e codificate; si scrive secondo il principio della regolarità.
– lo stile rodio: una via di mezzo tra i due;
1.7 Oratoria e Retorica a Roma. I primi trattati in Latino
Tutta la retorica romana è una rielaborazione di quella aristotelica e post aristotelica, con alcune novità quali la disposizione della materia, la memoria, il ruolo educativo.
Prima di Cicerone. Ciò che sappiamo della retorica pre-ciceroniana lo dobbiamo alle testimonianze indirette fornite da Cicerone stesso nel Brutus: sappiamo che l’uso della retorica era a scopo propagandistico e morale; che l’oratore doveva essere uomo retto e abile nel parlare (vir bonus, dicendi peritus); e che l’esposizione doveva essere naturale, aliena dal far trasparire la tecnica soggiacente (rem tene, verba sequentur).
La Rethorica ad Herennium. Gli oratori romani avevano appreso la retorica nelle scuole greche, ma solo tra l’86 e l’82 a.C nascono i primi trattati latini di retorica. La Rethorica ad Herennium, attribuita a Cornificio, è basata sulla suddivisione di Ermagora, e concentrata sull’impegno morale e sulla funzione civile della retorica. La Rethorica ad Herennium è importante perché istituisce la nomenclatura, mutuandola da quella greca, che sarà poi per sempre adottata da tutta la trattatistica successiva. Le aggiunte saranno poche: alle quattro parti tradizionali, inventio, dispositio, elocutio e pronuntiatio, viene aggiunta una quinta, la memoria. La Rethorica ad Herinnium insieme al De inventione di Cicerone saranno gli unici due trattati di retorica su cui si fonderà tutta la tradizione medievale.
1.8 Cicerone: il trionfo dell’arte oratoria
Con Cicerone la retorica romana compie un notevolissimo salto di qualità passando dall’essere mera precettistica e costituire oggetto di disputa filosofica. Le opere più importanti di Cicerone in merito sono:
– il dialogo De Oratore: in tre libri, capolavoro;
– il Brutus: elegante profilo della retorica latina;
– l’Orator: importante per la prosa e per il ritmo;
Il dibattito era di antica data: da un lato c’era chi, come gli stoici, restringeva il dominio della retorica, intesa come empiria o tecnica, ad ambiti limitati e comunque negava la sua utilità nei confronti della ricerca filosofica. Dall’altro Cicerone prende le difese della retorica, considerandola complementare alla logica e alla dialettica.
Il De Oratore è l’opera più importante. Qui vengono contrapposte la tesi dell’interconnessione stretta trasap?re e dic?re, e quella che auspicava un restringimento del dominio dell’oratore al solo manipolo delle tecniche dell’arte verbale.
Nel 1° libro viene inscenato un dialogo tra più personaggi dalle opinioni divergenti: Crasso, il portavoce delle idee di Cicerone, sostiene che l’oratore deve avere una preparazione enciclopedica se vuole essere pienamente inserito nella realtà del suo tempo; e che in una retorica che voglia avere scopo pratico e sociale, e non essere mero esercizio scolastico, res e verba devono essere unite.
Nel 2° libro la voce dell’autore è sostenuta da M. Antonio, il quale espone le parti dell’inventio, dispositioe memoria. Più che un’applicazione scrupolosa dei precetti, secondo Antonio, è da considerarsi di gran lunga più auspicabile ingenium, cioè la naturale disposizione dell’oratore, e la diligentia, cioè la capacità di essere aderenti alle circostanze. Esordio, narrazione, argomentazione e conclusione dovevano essere concepiti tutti allo scopo di doc?re, mov?re, delect?re.
Nel 3° libro prende la parola Crasso e parla dell’elocutio e della pronuntiatio, ovvero le parti più tecnicho-precettistica della riflessione sulla retorica, ma riprendendo il concetto del primo libro sull’inscindibilità tra res e verba: il contenuto non può essere scisso dall’espressione.
1.9 La disputa sulla decadenza dell’oratoria.
Con la caduta della repubblica e il consolidarsi dell’assolutismo la retorica si ritira nelle scuole, esce dalla politica e dall’uso civile. Si afferma la declamatio, esercizio di composizione e recitazione estraneo a scopi politici. I due generi della declamatio erano la suasoria, appartenente al genere deliberativo e di carattere più semplice, la controversia, di carattere più complesso ed appartenente al genere giudiziario.
Nelle discussioni intorno alla retorica emergono le riflessioni sulla sua decadenza dovuta al venir meno della libertà politica. Sul piano teorico l’eloquenza, ovvero la capacità di esprimersi, comprende in sé ogni tipo di discorso sia poetico che prosastico, la prima è, come sosteneva Gorgia, èmmetros, sottoposta a metro, e ha come caratteristica la voluptas, lo scopo di dare piacere al singolo; la seconda è àmetros, svincolata da metro ed ha scopo sociale.