IL TEMPO
27 Gennaio 2019L’infinito in Luzi
27 Gennaio 2019
Dalla disattenzione verso il mondo oggettivo si passa al primato della coscienza e ai suoi traumi/angosce/crisi che esprimono una decadenza propria della civiltà contemporanea, un mondo di cui la coscienza stessa (quasi come un filtro) vuole essere specchio.
Il romanzo italiano mostra una particolare lucidità nell’analisi della vita borghese, cittadina, del ceto impiegatizio, mentre la problematica industriale e sociale è assente: arriverà in Italia dopo la I Guerra mondiale (Borghese, Rubè 1921; Bernari, I tre operai 1934). Non c’è ancora infatti una rappresentazione della società in tutti i suoi aspetti: la problematica operaia era invece già presente in Francia e in Inghilterra nell’800.
a) crisi della civiltà
Dominano le apparenze, le carte / la burocrazia, gli affari, le macchine.
Denuncia dell’alienazione dell’uomo, che diventa la sua condizione ordinaria, quotidiana, esistenziale.
Vedi Alfonso Nitti, corrispondente nella banca Maller in Una vita, 1892 [le carte];
Vedi Serafino Gubbio, cineoperatore in Quaderni di Gubbio operatore, uscito nel 1916 in volume.
b) crisi dell’individuo
· il piano del dover essere â-º superomismo dannunziano [si tenta una dilatazione delle proprie potenzialità in
ogni direzione, fino ad arrivare all’immersione panica nella natura].
Claudio Cantelmo, in Le vergini delle rocce, deve ascendere, superarsi secondo l’imperativo sii quale devi essere”. Vedi il dialogo con Alessandro Cantelmo, antenato di Claudio, chiaramente impostato tra un superiore e un inferiore. Nessuna indicazione data a Claudio viene realizzata: c’è il permanere di una situazione provvisoria.
· fuga dall’essere: fuga dai condizionamenti che impediscono alla libertà di essere sconfinata (passato, esperienze, rapporti con gli altri..). Vedi Adriano Meis in Il fu Mattia Pascal; Vitangelo Moscarda in Uno, nessuno, centomila che ha davanti a sé le due possibilità della prigione della forma e della taccia di pazzia. L’ultimo capitolo Non conclude” vede come soluzione estrema la necessità di rinunciare alla coscienza, reificandosi (farsi come ‘cosa)
· riscatto dell’essere: dietro le apparenze della salute (efficientismo, dinamismo), la società umana è malata. L’estraneità allo struggle for life non è corollario dell’inettitudine ma simbolo di saggezza [vedi La coscienza di Zeno].
Svevo recupera il modello-contenitore ‘romanzo per effettuare un’indagine storica ed esistenziale, chiaramente visibile nell’ultimo romanzo. L’indagine di Zeno, da soggettiva, coinvolge alla fine la vita in sé, in cui l’uomo è stato messo dentro per errore” [® Montale: la mia poesia ha per oggetto la condizione di vita dell’uomo” – intervista del 1951. Lo stesso Montale recupera e diffonde il contributo di Svevo dedicandogli un omaggio, nel 1925, su l’Esame”]. Nell’autore triestino si ravvisa una forte tensione conoscitiva: il personaggio Zeno cerca un accesso alla verità, alla conoscenza di sé, non si nutre di illusioni. Pertanto si giunge ad una relativizzazione delle scienze sistematiche – deterministiche che pretendono di esaurire la verità sull’uomo [la psicanalisi, scienza ‘dogmatica, è priva di potere conoscitivo; il determinismo darwiniano postula una fallace equazione fra l’esteriorità dell’uomo e la sua reale natura].
É risulta che l’uomo è un essere incompiuto, contraddittorio, imperfetto: ma ciò è un potenziale al miglioramento, al progresso. Il futuro appartiene agli uomini ‘senza qualità, che sono ancora ‘in germe. Il malcontento, il dolore sono sigillo dell’umanità[1], nutrono le passioni, i desideri che danno sapore all’esistenza. La malattia è la condizione normale dell’uomo, è condizione di vita (si è vivi se si è ‘malati): l’uomo si vede mancante, ambiguo, mutevole, conflittuale, ma ciò muove a una forte tensione conoscitiva; da una sincera coscienza della problematicità della vita stessa.
[1] Vedi la Lettera a Jahier del 27 dicembre 1927: E perché voler curare la nostra malattia? Davvero dobbiamo togliere all’umanità quello ch’essa ha di meglio? Io credo sicuramente che il vero successo che mi ha dato la pace è consistito in questa convinzione. Noi siamo una vivente protesta contro la ridicola concezione del superuomo come ci è stata gabellata (soprattutto a noi italiani)” (I.Svevo, Opera omnia, I: Epistolario, a cura di B.Maier, Milano, Dall’Oglio, 1966, pp. 859-860. Utile la lettura di G.Langella, Italo Svevo, Morano Editore, Napoli 1992, pp. 138-171).