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19 Marzo 2011Alcuni punti di vista di chi già lavora sul campo
Questo articolo è nato come articolo lungo: la materia è interconnessa ed avrei preferito non doverlo dividere in due uscite; ma un articolo troppo lungo stanca e disperde l’attenzione del lettore. Ho inoltre voluto in gran parte dare spazio alle parole degli altri senza sintetizzarle a mio modo.
Esso è legato all’argomento discusso in un articolo precedente “Professione educatore: quale riconoscimento giuridico? (1)” : la sua prima parte è qui perciò dedicata alla puntualizzazione dell’ANEP; sotto di essa, poi, comincerò a riferire della riunione tenutasi all’università di Bologna sul medesimo tema alla quale la stessa ANEP ha partecipato con un suo rappresentante. Personalmente, io sono stata proiettata nella discussione di cui tratto attraverso la rete di Facebook, dove c’è chi ha in parte anche giustamente richiamato l’attenzione di studenti e laureati in scienze pedagogiche sul decreto 520/98, strumentalizzando un pochino a proprio vantaggio la non immediatamente chiara posizione dell’ANEP, descritta come rappresentante dei soli educatori professionali (sanitari). Attivata dalla notizia di queste discussioni, l’ANEP pubblicava nel suo sito un documento ): nel mio primo articolo dedicato a questo argomento, però, anche io facevo notare che, se da una parte in tal documento si definisce la figura dell’educatore professionale come “unica ed indivisibile” , dall’altra parte, la citazione finale di detto articolo gettava un’ombra di confusione sulla sua reale posizione: una confusione sulla quale appunto piccole associazioni in cerca di quote associative possono fondare la loro causa. ANEP, Vicepresidente, dr.ssa Maria Rita Venturini, avvertita da me dell’uscita del mio articolo, precisa: “La nostra posizione l’abbiamo ribadita sul nostro sito e segnalata sui nostri gruppi regionali di Facebook proprio perché circolavano in rete notizie non corrispondenti al vero non solo sulla posizione dell’Associazione ma anche dal punto di vista giuridico e formativo riguardante la figura dell’educatore professionale” (vedere link sopra riportato . In sostanza, noi diciamo che ad oggi il profilo dell’educatore esiste come normato in sanità, ma ci auguriamo che esso sia definito anche in ambito sociale e sociosanitario. E’ pur vero che, per chi non conosce la storia dell’Associazione e tutto il dibattito fatto da ANEP anche attraverso vari congressi nazionali e tutta la sua storia, era possibile interpretare in maniera autonoma la nostra invece chiara posizione. Di fatto anche lo stesso suo successivo articolo crea quasi una sorta di doppia identità dell’educatore sociale e dell’educatore sanitario giustificando per il primo la competenza educativa e per il secondo la competenza riabilitativa. Per ANEP questa cosa non esiste perché le due competenze possono convergere. Ed a conferma di quanto dico, abbiamo programmato per il 13 maggio pv proprio un congresso nazionale dal titolo : “ep@disabilità: Percorsi possibili tra educazione e riabilitazione” )” . Effettivamente la dr.ssa Venturini qui coglie un punto importante, sul quale sarebbe interessante continuare una comune riflessione: il mio punto di vista è chiaramente condizionato dal campo in cui mi muovo, e da certe caratteristiche dei programmi accademici propri a scienze dell’educazione/della formazione. ANEP, Presidente, dr.ssa Martina Vitillo, intanto, rispondendo alla presentazione di una petizione per la raccolta di firme finalizzata alla partecipazione degli educatori di scienze dell’educazione ai concorsi ASL ) precisava:”Le questioni poste non sono risolvibili attraverso la firma della petizione che ci è stata inviata. Invitiamo ad approfondire le informazioni circa il percorso che ha portato a cancellare i 35 crediti di area sanitaria dal corso di laurea L19, poiché, se di responsabilità si vuole parlare, queste non possono certo essere attribuite ad ANEP, che ha voluto, chiesto ed ottenuto che si attivasse il tavolo di lavoro proprio per unificare i due percorsi e non certo per dividerli. L’ANEP ha tra i suoi scopi statutari il riconoscimento della professione di educatore come professione unica e con un unico percorso formativo: per questo associamo sia laureati in scienze dell’educazione (L19) che in educazione professionale (SNT2). Tra le tante iniziative che abbiamo in campo, aderiamo alla Rete Siped per il riconoscimento delle professioni educative” . Sempre la Vicepresidente, dr.ssa Maria Rita Venturini, inoltre, aggiunge: “In merito al DM 520/98 faccio notare che si tratta di un documento composto da tre articoli. L’art 3 mette in evidenza come dovrebbe avvenire la formazione dell’educatore professionale. Esso recita: “La formazione dell’educatore professionale avviene presso le strutture sanitarie del Servizio Sanitario Nazionale e le strutture di Assistenza Sociosanitaria degli enti pubblici individuate nei protocolli d’intesa fra le regioni e le università; le università provvedono alla formazione attraverso la facoltà di medicina e chirurgia in collegamento con le facoltà di psicologia, sociologia e scienze dell’educazione” (link all’intero decreto: http://www.normativasanitaria.it/jsp/dettaglio.jsp?id=18707&query=NUMERO%20PRV%3A%20520%20DEL%3A%2008%2010%201998%20ORDINA%20PER%3A%20dataAt) L’ANEP considera dunque questa precisazione un passaggio fondamentale sul quale fonda la sua posizione ritenendo che ci sono i presupposti giuridici del profilo per unire i due percorsi formativi. Essa è stata serenamente ribadita da Luca Balducci, rappresentante ANEP Emilia Romagna, presente alla conferenza tenuta a Bologna. Il giorno 9 marzo si è infatti tenuta a Bologna, organizzata dal gruppo studentesco “Formazione Attiva” con il patrocinio della Presidenza, una tavola rotonda presso la facoltà di scienze della formazione dell’università di Bologna dal titolo “Educatore Sociale o Educatore Professionale? Due profili per la stessa figura” , mentre qualche giorno prima, a Palermo, gli studenti siciliani ne avevano organizzata un’altra sullo stesso tema, che è appunto la divisione delle due figure di “educatore sociale” (formato dalla facoltà di scienze della formazione/dell’educazione o dell’educazione e della formazione) e di “educatore sanitario” (formato dalla facoltà di medicina), il cui risvolto più drammatico è l’esclusione degli educatori sociali dai concorsi delle ASL e quindi la loro impossibilità di lavorare nel settore sanitario pubblico. A Bologna, la posizione dell’università era rappresentata dal Preside di facoltà, Prof. Luigi Guerra, e di questa posizione riferirò nella prossima uscita; oltre agli studenti organizzatori dell’evento e rappresentati dal moderatore Valentino Paoloni, erano presenti come relatori l’educatrice Assunta Pischedda, impegnata nella promozione di un tavolo comune di discussione sul tema con alcuni docenti; Luca Balducci, rappresentante ANEP Emilia Romagna appunto; Fabio Perretta USB Cooperative sociali ed il gruppo Educatori Uniti Contro i Tagli del distretto di Casalecchio di Reno (BO). I vari verbali e gli articoli scritti su questa riunione da alcuni partecipanti e facilmente rintracciabili anche sul sito di Facebook (per esempio pagine “Pedagogia olistica” , “Educatori insieme” , “Organizzazione 2° incontro: pedagogisti, educatori e formatori” ), da cui io riporterò liberamente, con autorizzazione degli autori, alcune parti. In particolare, da “Insieme per l’educazione” della relatrice dr.ssa Assunta Pischedda, ecco la sintesi di quanto scritto sull’intervento di Luca Balducci, rappresentante ANEP Emilia Romagna, che ha fatto presente quanto l’ANEP sia interessata alla realizzazione di un profilo di educatore che comprenda sotto un unico ombrello i contenuti sanitari dell’impostazione medica e le competenze pedagogiche dell’impostazione umanistico-sociale, puntando sulla relazione operatore/utente basata sul rispetto della persona e delle sue risorse; a questo proposito, anzi, l’ANEP sente profondamente la necessità della creazione di un albo professionale che permetta di unire tutti gli educatori sotto un anelato profilo unico, tutelandoli e definendo al contempo quei confini epistemologici che renderebbero professionale e non improvvisata le sue competenze. Come anche la dr.ssa Venturini mi ricordava: “di fatto l’ANEP è nata nel 1992, quando il 520 ancora non esisteva e comunque lo stesso non parla di educatore sanitario bensi di operatore socio-sanitario, ed è nata per far riconoscere e promuovere la figura dell’educatore professionale che all’epoca come figura operava, già dagli anni 50, in vari settori: sociale, sanitario, penitenziario, ecc” . La relatrice, educatrice impegnata sul campo, dr.ssa Assunta Pischedda, ha ribadito (sintetizzo sempre dal suo testo) l’importanza fondamentale del trovare un punto di unione e di forza per ridare insieme valore simbolico, dignità culturale e politica alla figura dell’educatore: un riconoscimento che non può e non deve essere demandato alle sole battaglie degli accademici, ma che dipende in prima linea dal grado di autoconsapevolezza posseduto dagli stessi educatori nel momento stesso in cui svolgono la loro professione coscienti del valore sociale della loro opera. Tenendo in debito conto la presenza e l’esperienza che nel frattempo hanno fatto gli educatori professionali sanitari della facoltà di medicina, occorre dunque essere uniti tutti, senza guerre interne ed esclusioni: il mondo accademico, il terzo settore, il mondo delle associazioni di categoria; la politica deve essere coinvolta al di là delle idee corporativistiche; la rete deve essere presa in considerazione ed utilizzata come fonte di scambio ed informazione anche sulle nuove ricerche che guardano al benessere della persona nella sua globalità e unicità, e che puntano sulla relazione e sull’attivazione delle risorse insite nella persona. Tra gli altri relatori, Fabio Perretta della USB (Unione Sindacale di Base) ha sottolineato la pericolosità della situazione facendo esempi concreti di tagli importanti fatti a servizi di prevenzione e essenziali per i minori e per il disagio in genere, e ha perciò ribadito quanto la lotta per il riconoscimento giuridico ed operativo degli educatori sociali sia profondamente legata alla lotta per i diritti e la dignità della persona in disagio e bisognosa di aiuto. Ed anche traducendo queste osservazioni dal mio punto di vista, se il bambino a disagio nella scuola venisse preso in considerazione solo da operatori sanitari, la strada dei farmaci e della sua medicalizzazione come unica via della sua “re-integrazione sociale” non sarebbe messa in discussione più da nessuno. Ringraziando la Vicepresidente ANEP dr.ssa Maria Rita Venturini, per il cortese tempo che ha dedicato a precisare la posizione dell’Associazione, e la dr.ssa Assunta Pischedda per l’autorizzazione ad utilizzare parti del testo della sua relazione, per oggi interrompo l’articolo qui rimandando il lettore interessato alla prossima uscita. Cristina Rocchetto
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Articolo in parte riportato sul sito ufficiale dell'Anep, http://www.anep.it/nuovosito/home/dettRegioneHome.asp?ID=143, a cura di Maurizio Boarini.