In ricordo di Giuseppe Passalacqua – di don Savino
27 Aprile 2016In ricordo di don Danilo Muzzin – di Don Savino
29 Aprile 2016
Una storia durata 10 anni, dentro la quale un uomo dicendo “SI” a Cristo, ha reso presente e quotidiana la parabola del Buon Pastore, concretizzandola attraverso il suo volto, le sue sensazioni, il suo operato, i suoi drammi e le sue gioie; in sintesi donando tutto se stesso giorno dopo giorno per la ricerca della Salvezza.
Siamo andati a trovare Don Savino Gaudio novello parroco della Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù in Cormano. L’intenzione inizialmente era quella di intervistarlo per rivisitare insieme i dieci anni della Sua permanenza presso la nostra Comunità. Ci siamo resi conto però, che il metodo “classico” (a domanda-risposta), sarebbe risultato troppo frammentario.
Abbiamo così preferito sederci accanto a Lui, armandoci di quaderno e penna per “sintetizzare” la Sua affascinante avventura.
Leggiamola insieme.
«Il primo impatto con la Parrocchia San Giovanni Battista di Cesano Boscone, mi vide subito coinvolto in tutte le espressioni della Comunità. Capii immediatamente che c’era una domanda, una attesa. Partii “dall’abbecedario” se mi permettete questo vocabolo atipico, per ricercare un modo più consono di pregare e di cantare le lodi. Nacque così il coro dei bambini. All’oratorio femminile decisi invece di incominciare ad insegnare il modo di leggere le Sacre Scritture in Chiesa.
Con don Fidelmo fu immediata la preoccupazione di condividere insieme la responsabilità educativa con i ragazzi. Quindi, anche se ero stato mandato per assistere l’oratorio femminile, giudicammo (con Don Fidelmo n.d.r.) che sarebbe stato più opportuno riunire i ragazzi e le ragazze sotto una guida che esprimevano in comunione. Un’altra attesa che acuiva in particolar modo il mio desiderio di missionarietà era la liturgia educativa degli anziani nell’aver cura di loro e che si esprimeva nel desiderio di compagnia esplicata attraverso visite costanti e calorose.
Ma l’attesa e la domanda più forte è stata quella del mondo giovanile. Esplose subito una ricerca di che cosa ci stava dietro a quella promessa e a quell’incontro che aveva suscitato, per cui da una situazione di giovani dispersi ed isolati, si creò un punto di riferimento che li fece sentire come accolti.
Da qui, la mia decisione di passare dall’insegnamento religioso alle medie inferiori di via Bramante, a quello delle superiori dell’Omnicomprensivo di Corsico. Sapevo che avrei incontrato un ambiente diverso, come un’altra parrocchia da evangelizzare.
Sentii subito l’esigenza che dovevo tentare di rispondere in maniera anche stabile, al bisogno di necessità,, di significato, cioè di Cristo, che il mondo giovanile di allora poneva; così il sogno e la speranza di poter incidere nella trama sociale di tutta la zona si tradusse in una apertura verso la Chiesa e verso l’uomo, l’una era legata all’altro e viceversa.
Si tentò sin dall’inizio, nonostante qualche incomprensione ed alcuni equivoci, di penetrare il mondo sociale, politico e culturale.
E’ da questa intuizione che nacquero il Centro Culturale “Città Viva” ed una visione culturale della fede che si generò in una presenza nel politico (elezioni del 1980). Più mi interessavo dei problemi sociali e più aumentava in me il desiderio di vivere bene la parrocchia; più vivevo bene la parrocchia e più cresceva la cognizione che tutto non poteva finire in una bolla di sapone.
Fu allora, grazie a questo tentativo di unità, che il periodo della malattia di don Carlo non lo intesi come una parentesi, anche se dovetti dedicarmi in modo particolare alle funzioni di amministratore parrocchiale, come indicava il decreto della Curia. Questo mi costrinse ad allontanarmi dall’oratorio e fu grazie alla inflessibile generosità del mio grande amico don Fidelmo che si assunse tutto l’onere educativo dell’oratorio che la sofferenza per il distacco si lenì.
Ma, come sempre nella storia di ciascuno di noi, Dio toglie per concedere ancora di più: ci tolse don Carlo che fu per me un padre buono, per darci don Lino che oltre a padre mi fu fin dall’inizio grande amico e fratello. Fu in quel periodo che con grande entusiasmo ricominciammo insieme in quell’avventura che con il passare del tempo è diventata sempre meno un sogno e sempre più realtà di una Comunità parrocchiale, assomigliante proprio ad una grande famiglia con tanti figli, ciascuno con il suo volto e dove la ricchezza è data proprio dalla loro diversità.
Ho imparato tante cose da don Lino, ma questa sicuramente mi sembra la più favolosa e cioè: capacità di gioire della diversità, senza la pretesa di livellare, senza confondere l’unità con l’unitarietà e senza equivocare l’unione con l’unanimismo. Fu proprio don Lino a stimare ed a valorizzare quel modo di vivere il Cristianesimo che mi aveva dato entusiasmo sin dagli anni del seminario; quel “modo” che si identifica nel carisma di Comunione e Liberazione.
“Il più grande desiderio di Gesù che siano una cosa sola perché il mondo veda e creda” è stato in questi anni lo stesso nostro progetto.
Nella mia vita ho sempre cercato di essere attento a tutto ciò che mi capitava e da qui ho cercato di “cavare fuori” la voce di Dio. Alcuni giorni fa ho letto dal breviario questo passo ricavato dal libro “L’IMITAZIONE DI CRISTO” dove è descritta la “cosa” che più mi sta a cuore, cioè GESÙ CRISTO. “O felice l’ora in cui Gesù dalle lacrime chiama anche noi alla gioia. Quanto siamo aridi e duri di cuore senza Gesù!
Quanto sciocchi e vani siamo, quando desideriamo qualcosa che non è Dio! Non è questo un danno maggiore che se perdessimo tutto il mondo? E che cosa il mondo può darci senza Gesù?
Essere senza Gesù è un inferno amaro, essere con lui è un dolce paradiso. Nessun nemico mai potrebbe farti alcun male, se tu avessi sempre vicino Gesù. Chi trova Gesù, trova un grande tesoro, anzi il più grande tra tutti i tesori. E chi perde Gesù, perde più assai di tutto il mondo.
Chi vive senza Gesù è il più povero degli esseri umani, mentre chi lo trova può ben dirsi il più ricco. Grande arte è il saper stare con Gesù e grande accortezza è il saperselo serbare”».
Pubblicato su “In Cammino” novembre 1988