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27 Gennaio 2019A ciascuno il suo di Leonardo Sciascia
27 Gennaio 2019Lo scrittore americano (1809-1849) dedicò due racconti alla nostra tematica:
“La maschera della morte rossa ” e “Re peste “. Il primo più drammatico e inquietante, il secondo più grottesco e comico.
“La maschera della morte rossa” ha per oggetto la tragicità del destino umano (l’impossibilità di ignorare la morte) ed è quindi costruito attraverso gli elementi propri della letteratura “alta” e “tragica”.
“Re peste”, invece, è un racconto fondato sulla deformazione visionaria della realtà (noi non sappiamo se ciò che accade è vero o è piuttosto l’effetto della sbornia dei due protagonisti principali. Non c’è quindi una riflessione sulla condizione o sul destino umano, ma piuttosto un divertentissimo gioco stilistico evidente nella rappresentazione grottesca dei personaggi, fondata sull’ iperbole e la caricatura. Infatti il finale del racconto, a differenza de “La maschera della morte rossa”, è lieto: i due incauti marinai riescono a sfuggire a Re Peste e a tutto il suo nobile seguito.
“La maschera della morte rossa” incomincia, più o meno come il Decamerone, con un gruppo di giovani “sani e spensierati” che si rifugiano in un’ Abbazia, lontano dalla regione in cui sta imperversando una pestilenza. Il loro tentativo di sottrarsi al destino di contagio e di morte è però destinato a fallire quando, a mezzanotte, al culmine di una festa mascherata, compare, appunto, la maschera della morte rossa che inseguirà anche il principe Prospero, capo dell ‘allegra brigata, nelle sale dell’ Abbazia, per raggiungerlo e ucciderlo nella inquietante sala nera.
A differenza del Decameron, però, si infittiscono sin dall’ inizio elementi che contraddicono qualsiasi tentazione di svolgimento realistico, attraendo prepotentemente il lettore nella dimensione del racconto fantastico. Non è quindi possibile spiegare razionalisticamente ciò che accade ed anche la impari lotta dell’ uomo con la morte assume quelle caratteristiche di assurdità e nichilismo che hanno reso così novecentesca la narrativa di Poe.
“Re peste”: Due marinai ubriaconi, Tarpaulin e Legs (il primo grasso ed il secondo magro, forse antesignani di coppie comiche più celebri), fuggendo da una bettola per non pagare il conto della troppa birra bevuta, si rifugiano nei quartieri abbandonati e fatiscenti dell’ antica Londra. Qui in una cantina, che visitano per bere, si imbattono in uno strano banchetto. A capotavola spicca la figura di “Re Peste”, un uomo più magro di Legs, dal viso giallo come lo zafferano e dalla fronte orribilmente ed eccezionalmente alta, che fa le presentazioni:
” la nobile dama che sta seduta dinanzi a voi è la Regina Peste, nostra serenissima consorte. Gli altri personaggi che voi vedete sono tutti prìncipi del sangue e portan il segno della regale origine nei rispettivi nomi di Sua Grazia l’Arciduca Pest-Iferus, Sua Grazia il Duca Pest-Ilenzial, Sua Grazia il duca Temp-Pest e sua Altezza Serenissima l’Arciduchessa Ana-pest.”
Tarpaulin offende i convitati e per questo viene scagliato in una botte di vino, dalla quale sarà liberato da Legs. I due se la daranno poi a gambe dopo aver abbattuto lo scheletro che danzava al di sopra della tavola
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indice dell’ipertesto: La peste in Manzoni…e non solo ipertesto realizzato dalla classe IIE liceo Bramante di Magenta, a.s.1997/98
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[…] La peste in Edgar Allan Poe […]