Mia forza e canto sei tu Signore
11 Febbraio 2016Oggetto di un amore sovrabbondante
14 Febbraio 2016Davanti a me, a Suor Grazia Piantoni e a Suor Chiara Brugnoli, le ultime parole che mio fratello Don Savino Gaudio ha pronunciato un’oretta prima di morire sono state le seguenti: “è più significativo” . Si riferiva all’olio santo. Suggeriva di aspettare il pomeriggio a ricevere il sacramento dell’estrema unzione, che del resto aveva ricevuto già più volte, perché voleva che ci fosse anche il vicario episcopale Monsignor Elli, a testimonianza che la cosa a cui teneva di più era l’unità e la presenza della Chiesa.
Ma io vorrei adesso rileggere tutta l’esistenza di mio fratello sulla scorta di quelle sue ultime parole.
Significativo deriva dal latino “signum facere” . In altre parole mio fratello voleva “rendere un segno” ogni cosa, ogni fatto, ogni evento della sua esistenza.
E questo sempre.
Per esempio uno degli ultimi giorni della sua vita degli amici da Brescia gli avevano portato una zuppa, che era eccezionale per mio fratello perché preparata proprio con amore.
Quando gliel’abbiamo messa calda nel piatto, lui ha chiesto di poterla mangiare con i crostini. Gli abbiamo dato dei crostini San Carlo. Non andavano bene. E’ sempre incontentabile, ho pensato in quella occasione, e non solo. Gli abbiamo dato dei crostini di pane che erano lì pronti da giorni. Non andavano bene. Lui voleva i crostini che avevano portato i suoi amici da Brescia, e che avevano preparato con lo stesso amore della zuppa, e che, diceva lui, erano i crostini giusti da mangiare insieme con la zuppa. Con ansia e, lo ammetto, un po’ di abituale insofferenza, ho cercato disperatamente quei crostini, fino a quando li ho trovati in una scatoletta che prima avevo scartato perché sembrava una scatoletta di biscottini. Quando glieli ho dati, lui ha mangiato quella zuppa con il sorriso sulle labbra, perché quei crostini rendevano quel pasto significativo.
Il pasto poi in generale doveva essere qualcosa di significativo, in tutti gli aspetti, dalle cose materiali (ricordo soprattutto come erano significativi per lui il vino e l’olio, come ricordava sempre anche nelle sue omelie), alle persone invitate e che mangiavano con lui, persino alla sedia e al posto in cui sedersi.
I fatti che hanno scandito i passaggi essenziali della mia famiglia, come il matrimonio con Enza, il battesimo, la prima comunione e la cresima di Samuele e Miriam, proprio perché sacramenti (da sacrum facere) era più significativo festeggiarli insieme con la comunità cristiana anziché come un fatto familiare, privato, personale. E’ per questo il pranzo di nozze l’abbiamo fatto nell’asilo delle suore, tutte le altre feste nel saloncino della comunità di Cesano, tutte!
In questo modo ci ha educati ad una condivisione con la Chiesa anche delle ricorrenze più strettamente familiari.
Voleva poi che il giorno del matrimonio la gente non aspettasse la sposa fuori dalla chiesa, come si fa spesso per vedere per primi l’abito della sposa, ma voleva che la comunità aspettasse la coppia in chiesa, come per abbracciare e accogliere insieme i due sposi.
Insomma, credo che l’esistenza di Don Savino sia stata un richiamo, per chi l’ha conosciuto, ma anche solo per chi legge questi pochi ricordi, a rendere pieno di senso quello che facciamo, a scoprire come c’è un modo di fare le cose che le rende preziose.