poesia di natale 2017
7 Novembre 2017Concorso Dirigenti scolastici 2017: validi gli anni preruolo nelle paritarie
25 Novembre 2017Drammaturgia: Fabrizio Sinisi
regia: Paolo Bignamini
con Mario Ceie Federica D’Angelo
scene e aiuto regia: Francesca Barattini
assistente: Gianmarco Bizzarri
organizzazione e produzione: Carlo Grassi
consulenza scientifica: Gian Piero Piretto
progetto: Gabriele Allevi e Paolo Bignamini
coproduzione: ScenApertae Teatro de Gli Incamminati / deSidera Teatro Festival
regia: Paolo Bignamini
con Mario Ceie Federica D’Angelo
scene e aiuto regia: Francesca Barattini
assistente: Gianmarco Bizzarri
organizzazione e produzione: Carlo Grassi
consulenza scientifica: Gian Piero Piretto
progetto: Gabriele Allevi e Paolo Bignamini
coproduzione: ScenApertae Teatro de Gli Incamminati / deSidera Teatro Festival
“Sapessi com’è strano sentirsi innamorati a Milano” . E’ la voce di Memo Remigi ad accompagnare il pubblico milanese mentre prende posto tra le file dello Spazio Banterle, coinvolgendolo fin da subito in un clima di confidenza e ambigua simpatia. Con una scelta dall’efficacia immediata, il regista Paolo Bignamini decide di spostare la scena dalla fredda Russia sovietica del romanzo di Bulgakov alla vivacità del panorama milanese: la storia si fa più vicina, il discorso più diretto. Anche la scelta di una scenografia strettamente essenziale – occupata da un’elegante poltrona dalla quale Voland pronuncia la sua diabolica omelia e pochi altri elementi, tutti fondamentali – è evidentemente concepita come aiuto alla concentrazione e all’ascolto.
Fin da subito si coglie la portata immensa della questione, la posta in gioco è altissima: chi dirige la vita umana? Dio esiste? E il diavolo? E cosa comporta la risposta affermativa o negativa a questa domanda? Questo impegnativo impianto d’indagine speculativa, insito già nelle pagine del romanzo e fortemente sottolineato dalla drammaturgia di Fabrizio Sinisi, è ora sorretto nello spettacolo di Bignamini da una solida struttura teatrale. La figura di Voland, magistralmente interpretata da un ottimo Mario Cei, riesce infatti a intessere un rapporto vivo con il pubblico, grazie ad apostrofi e interrogativi brucianti, sfondando la quarta parete che già la vicinanza fisica tra la platea e l’umile palco del Banterle contribuisce ad assottigliare.
Anche laddove la dinamica dialogica tra i molteplici personaggi interpretati dai due attori si fa meno trasparente – complicata dal rapido sovrapporsi dei piani narrativi – la continua oscillazione tra la maschera e il mascherato appare però sostenuta dagli interpreti con piena padronanza: il pubblico è alternativamente coinvolto e distanziato dalla vicenda – con salti dalla prima alla terza persona – così da potersi emozionare, senza tuttavia perdere la distanza che rende possibile un giudizio. Vediamo Margherita, ci coinvolge nella sua solitudine, ma ci ricorda anche che la sua vita non è reale, ma una storia che deve servire a noi. Allora ci guardiamo e vediamo la nostra di solitudine, senza poter fare a meno di desiderare anche noi di ringiovanire con quel magico unguento che toglie ogni maschera e ridona purezza.