Vinicio Capossela
27 Gennaio 2019A Te nostro Padre
27 Gennaio 2019
“Tutta bella sei, Maria”
Quando si vede un bambino si pensa alla madre che lo ha concepito, maturato e fatto nascere. Madre-figlio: realtà indissociabili. Quando si pensa a Gesù si pensa a Maria. Personaggio indispensabile per ogni presepio.
Su Maria si è tanto parlato, ma mai a sufficienza: ‘De Maria numquam satis’.
La Chiesa ha ritenuto bene contro alcune deviazioni dottrinali rievidenziare alcune caratteristiche e privilegi della Madonna proclamandoli dogma.
Il primo è stato quello nel quale si è difesa la realtà di Madre di Dio, Theotokos, nel concilio di Efeso (431). Il popolo cristiano esultò di gioia per la conferma di questa verità già scontata nella dottrina della Chiesa e ben radicata nell’animo del credente. Si racconta che i cristiani di Efeso aspettarono i Padri conciliari fino a sera e li accompagnarono con fiaccole per sfogare il loro entusiasmo. In seguito a questa proclamazione è avvenuta l’esplosione, starei per dire l’ufficializzazione, della devozione a Maria
L’altro dogma, l’Immacolata Concezione, è stato definito da Pio IX l’8 dicembre 1854; il terzo, Maria assunta in cielo, lo ha proclamato Pio XII il 1° novembre 1950, a coronamento dell’Anno Santo.
Sorvolo sulle questioni teologico-dottrinali. Nel contesto del presepio interessa presentare il personaggio Maria nella sua storia, nella sua personalità.
Dall’elenco genealogico riportato da Luca (3, 23-38) e dal suo racconto della nascita (2, 1-7), si deduce che anche Maria discende dalla stirpe di Davide.
Questo ci viene confermato anche dalla Tradizione. Del resto se Maria non fosse appartenuta alla stirpe davidica, era più conveniente che rimanesse a Nazareth senza imbarcarsi in un viaggio così lungo (per quel tempo) e stressante verso Bethlemme, dato che avvertiva che Gesù stava per nascere [Vai alle note] (1).
La vita della Madonna si svolse in maniera molto semplice dal punto di vista sociale.
I Vangeli come al solito sono molto scarni di notizie. Ed allora altri scrittori si sono un po’ sbizzarriti per coprire quei vuoti. I loro scritti si chiamano apocrifi. I principali che parlano della Madonna sono il Protovangelo di Giacomo, lo Pseudo-Matteo, il Vangelo della nascita di Maria, il Vangelo Arabo dell’infanzia, il ciclo sulla Dormizione della Madonna.
Alcuni sono edificanti, altri invece perfino scurrili.
La tradizione più probabile (risalente al II secolo) è che Maria nacque a Gerusalemme. Solo in un secondo tempo la sua famiglia si trasferì a Nazareth. Di questo si ha conferma anche dagli scavi effettuati in queste due località.
I nomi dei genitori, Gioacchino ed Anna, ci vengono riportati dal Protovangelo e dal Vangelo della nascita. Ci riferiscono anche la presentazione della bambina al Tempio.
La Chiesa non ha rifiutato queste tradizioni e le ha confermate anche con una festa: per i suoi genitori, il 16 agosto e per la seconda il 21 novembre.
La Madonna presumibilmente aveva 16 anni quando nacque Gesù. Ponendo la durata della vita di Gesù sui tradizionali 33 anni, Maria aveva circa 49 anni quando Gesù morì.
Cosa avvenne di Maria dopo la morte di Gesù? L’evangelista Giovanni dice che da quando Gesù morente gliela affidò come madre, lui la prese con sé nella sua casa (Gv. 19,27).
Luca dopo l’ascensione di Gesù, presenta Maria insieme ai primi credenti radunati nel cenacolo, in obbedienza all’invito di Cristo, in attesa dello Spirito Santo (At. I, 14).
Questa è l’ultima notizia ufficiale che abbiamo sulla vita di Maria. Secondo la tradizione visse ancora circa una ventina d’anni insieme all’apostolo Giovanni, presumibilmente ad Efeso.
Considerata più probabile questa tradizione, è ovvio che Giovanni prese dimora in questa città non prima che il cristianesimo vi si impiantasse. Ora il primo accenno di cristianesimo ad Efeso risale al 52, quando Paolo, dopo una breve visita in questa città, vi lasciò i coniugi Aquila e Priscilla (At. 18, 18-21). E’ possibile che il cristianesimo vi fosse entrato qualche anno prima. In questo tempo Giovanni vi avrebbe condotto la Madonna.
Molte persone chiedono informazioni sulla ‘morte’ della Madonna e sulla sua tomba. Oltre ad Efeso anche Gerusalemme rivendica una tomba di Maria.
Sorge spontanea una domanda: la Madonna è morta? Si tratta di una ‘dormitio’ o di un’transitus’? La Madonna è morta ed è stata sepolta (da qui la tomba) ed il corpo dal sepolcro fu assunto in cielo, per cui ci può essere la tomba ma non il corpo; oppure Maria non è morta ma fu trasportata direttamente in cielo forse in una estasi di amore, senza passare per la fase morte come è per tutti gli uomini?
Gli scritti apocrifi si dilungano nella descrizione romanzata. Non ne parlo perché qui si tratta di una chiarificazione di un dogma.
Non accenno alle dispute teologiche su questo argomento. La tradizione fino al XVII è praticamente unanime nel sostenere che anche la Madonna sia passata per la fase ‘morte’, come avvenne per Gesù. Solo in questi ultimi tre secoli si è levata qualche voce in favore del transitus, assunta in cielo direttamente senza morire.
Ufficialmente la Chiesa su questo punto non si è espressa ex-cathedra. Neanche Pio XII nelle conclusioni della Costituzione Apostolica, Munificentissimus Deus, (1° novembre 1950) nella quale definiva il dogma di Maria assunta in cielo in corpo ed anima, ha chiarito se passando o meno per la fase della morte, anche se si è attenuto alla dottrina tradizionale. Ecco il testo del documento: “L’augusta Madre di Dio, arcanamente unita a Gesù Cristo fin da tutta l’eternità con uno stesso decreto di predestinazione, Immacolata nella sua concezione, vergine illibata nella sua divina maternità, generosa compagna del divin Redentore, che ha riportato un pieno trionfo sul peccato e sulle sue conseguenze, alla fine, questo ha raggiunto, come supremo coronamento dei suoi privilegi, fu cioè preservata dalla corruzione del sepolcro, e, vinta la morte, come già il suo Figlio, fu innalzata in corpo e anima alla gloria del Cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli… Pertanto… a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato su Maria la sua speciale benevolenza, ad onore del suo Figlio, Re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua augusta Madre ed a gioia ed esultanza di tutta la Chiesa, per l’autorità di N.S.G.C., dei santi Apostoli Pietro e Paolo, e Nostra, pronunciamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l’Immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo” (2).
Anche il testo della Lumen Gentium, nel cap. VIII in cui parla della Madonna, non prende posizione ma ripete semplicemente la dottrina nel modo esposta da Pio XII: “L’Immacolata Vergine, preservata immune da ogni macchia di colpa originale, finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla celeste gloria in corpo e anima” (L.G. n. 59).
E’ Giovanni Paolo II ad affrontare direttamente il problema senza voler dare un verdetto ufficiale, ma esprimendosi da Papa nell’esercizio del suo magistero ordinario.
Nell’Udienza Generale di mercoledì 25 giugno 1997, affrontò la questione con le seguenti espressioni: “E’ possibile che Maria di Nazaret abbia sperimentato nella sua carne il dramma della morte? Riflettendo sul destino di Maria e sul suo rapporto con il divin Figlio, sembra legittimo rispondere affermativamente: dal momento che Gesù è morto, sarebbe difficile sostenere il contrario per la Madre… Il fatto che la Chiesa proclami Maria liberata dal peccato originale per singolare privilegio divino non porta a concludere che Ella abbia ricevuto anche l’immortalità corporale. La Madre non è superiore al Figlio, che ha assunto la morte, dandole nuovo significato e trasformandola in strumento di salvezza. Coinvolta nell’opera redentrice e associata all’offerta salvatrice di Cristo, Maria ha potuto condividere la sofferenza e la morte in vista della redenzione dell’umanità… Per essere partecipe della resurrezione di Cristo, Maria doveva condividerne anzitutto la morte… L’esperienza della morte ha arricchito la persona della Vergine: passando per la comune sorte degli uomini, Ella è in grado di esercitare con più efficacia la sua maternità spirituale verso coloro che giungono all’ora suprema della vita” (3).
“Vergine Madre, figlia del tuo Figlio ” (Dante, Paradiso, XXXIII, 1)
Una domanda che ancora a volte ritorna è se la Madonna aveva avuto altri figli oltre Gesù, in quanto nelle traduzioni del Vangelo si parla di ‘fratelli’ di Gesù.
Questa insicurezza deriva proprio dal servirsi solo delle traduzioni, senza invece riferirsi al testo originale ed al linguaggio del tempo. Proprio dalla Bibbia risulta che in Oriente venivano indicati col termine ‘fratello’ anche parenti abbastanza lontani.
Prendiamo alcuni esempi: Genesi 12,5: “Abramo prese dunque Sarai sua moglie e Lot figlio di suo fratello”. La parentela tra Abramo e Lot è dunque di zio e nipote. Ma proseguendo Genesi 13,8: “Abramo disse a Lot: Ti prego non ci sia nessuna lite tra te e me, tra i tuoi mandriani e i miei mandriani perché noi siamo fratelli”. Pur essendo zio e nipote, qui vengono chiamati fratelli, ma evidentemente non nel senso nostro occidentale.
Ancora in I Cronache 15, 5-10 si legge: “Davide radunò dei figli di Kehat: Uriel il principe con i fratelli; centoventi. Dei figli di Merari: Asaia il principe con i fratelli; duecentoventi. Dei figli di Ghershom: Gioele il principe con i fratelli; centotrenta. Dei figli di Elizafan: Shemaia il principe con i fratelli; duecento. Dei figli di Hebron: Eliel il principe con i fratelli; ottanta. Dei figli di Uzziel: Amminadab il principe con i fratelli; centododici”. E’ ovvio che non si tratta di fratelli, ma di cugini o parenti in genere.
Questo uso, di usare il termine ‘fratello’ in senso allargato è rimasto ancora in alcune zone: per esempio in Puglia ed in altre regioni italiane, lo si usa come sinonimo di ‘cugino, cugina’. Ho notato che anche in alcune tribù della Thailandia nelle scuole i compagni più piccoli chiamano quelli più grandi: fratello maggiore, sorella maggiore, pur non avendo tra loro nessun vincolo d parentela (4).
Madre e Figlio
Ogni madre fa grandi cose per il proprio figlio.
Parlando della Madonna la riflessione il più delle volte si è fermata sui suoi privilegi, ha analizzato il suo ruolo corredentivo, il suo rapporto con la Chiesa.
Raramente ha analizzato la psicologia di Maria, la sua dimensione umana.
E’ su questo che vorrei tentare di aprire uno spiraglio.
Il momento della gestazione per ogni mamma è il più romantico, anche se non privo di trepidazioni e sofferenze.
Proviamo ad immaginare come Maria visse questo suo momento. Quel Gesù che si stava formando nel suo corpo, che di settimana in settimana se lo sentiva sempre più presente… Quante carezze gli avrà dato, quante delicatezze avrà usato affinché si maturasse nel migliore dei modi… Quali dolci colloqui avrà già imbastito con lui.
Oggi la scienza ci ha svelato sempre di più l’importanza straordinaria che ha la vita intrauterina per lo sviluppo psico-fisico del bambino, quanto la mamma può incidere in questo. Pensiamo a ciò che la Madonna ha dato a Gesù mentre stava formandosi. Gesù probabilmente era molto simile a Maria nel carattere, nella personalità, quasi una copia.
Quale dispiacere avrà provato Maria nel non poter offrire a suo figlio, al momento della nascita, niente di meglio di una mangiatoia. Con quale delicatezza lo avrà toccato, vestito, lavato! Con quale gioia ma anche trepidazione lo ha messo nelle braccia dei pastori, dei magi…, quasi volesse dire: non sciupatemelo.
Ma la Madonna, al contrario delle altre mamme, non ha potuto fare progetti per il suo bambino. Ogni mamma sogna il meglio per lui, anche se poi non si realizzerà. Nessuna mamma cullando il proprio bambino conosce la sua fine, il modo con il quale morirà. Ed in questa ‘ignoranza’ intanto se lo coccola e sogna, sogna…
Maria ha dovuto rinunciare a questa poesia della maternità, non le è stato possibile fare progetti su Gesù, ma si è impegnata a rispettare quelli già pensati ab aeterno da suo padre, Dio. Lei, conoscitrice della Scrittura, sapeva, almeno nelle linee generali, la sorte che sarebbe toccata al Servo di Jahvè, suo figlio, preconizzata da Isaia (cap. 49-53). Quelle carni tenere e delicate se le immaginava già scorticate dai flagelli, livide dai numerosi colpi, abbrutite dalla polvere, dagli sputi e dalle percosse. Al momento della presentazione del bambino al Tempio, quaranta giorni dalla nascita, dovette ascoltare la drammatica profezia di Simeone: “Questo bambino sarà causa di rovina e di salvezza per molti in Israele; sarà un segno di contraddizione ed a te stessa una spada trafiggerà l’anima” (Lc. II, 34 s.).
Lei avrebbe dovuto soffrire molto a causa di quel figlio che tanto teneramente amava. Questo era il progetto del Padre per l’umanità. E lei, come figlia obbediente di quello stesso Padre, vi si sottomise.
Il sacrificio della maternità, essere madre senza assaporarne tutte le gioie, fu ricompensato dalla consapevolezza che in tal modo lei, messasi a disposizione del Padre, contribuiva alla realizzazione dell’opera redentiva.
Un episodio ci svela il significato che quel bambino aveva per lei: lo smarrimento di Gesù nel Tempio quando aveva dodici anni. Luca (II, 41 – 52) ce lo descrive così:
“I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”.
Qui si nota come la vita di Maria senza il suo Gesù non aveva più significato, non le diceva più niente. Smarrito Gesù, tutto il resto non aveva più alcun valore per lei. L’unica preoccupazione: ritrovare Gesù. Non si è data pace, ha sopportato qualunque fatica e disagio fino a quando non lo avesse ritrovato. Lei viveva per lui.
La Madonna è il prototipo del vero cristiano. Ci ha presentato un modello di vita, quasi volesse dirci: “come fate voi a vivere senza il mio Gesù, così indifferenti verso di lui? Possibile che riusciate a divertirvi lontani da lui, con tanta trascuratezza nei suoi confronti? Io non mi davo pace, non riuscivo a dormire, e voi invece… E poi pretendete di considerarvi ancora seguaci di mio Figlio? Come è possibile tutto questo? Voi impostate il cristianesimo troppo sul fatto emotivo: sentite tenerezza di fronte al bambino nel presepio, ai suoi vagiti; avvertite un senso di disapprovazione e disgusto meditando sul Crocifisso il venerdì santo. Fate propositi passeggeri, ma poi… durano quanto un fuoco di paglia. Vi ‘commuovete’, aspetto sentimentale, ma non vi ‘muovete’, aspetto operativo. Per cui, passata l’emozione delle festività natalizie o della Settimana Santa, ritornate ad offendere quel mio povero figlio come prima”.
Questa madre, appassionata per suo figlio, lo ha amato con tanto equilibrio da non soffocarlo nella sua personalità e non condizionarlo nell’orientamento della sua vita. Più lui andava avanti e si faceva strada, più lei si ritirava nell’ombra e seguiva suo figlio… dietro le quinte.
Commovente dovrebbe essere stata l’ultima notte passata con Gesù a Nazareth, prima dell’inizio della predicazione. Forse quella notte madre e figlio non hanno dormito. Gesù probabilmente avrà catechizzato Maria, presentandole nel dettaglio il progetto del Padre. La Madonna si sarà guardata quel figlio, ormai uomo, quasi con soggezione. Si sarà ricordata quando lo ha partorito a Bethlemme, quando è dovuta scappare in Egitto, quasi profuga politica, per salvare il bambino, l’angoscia dello smarrimento a Gerusalemme, l’agonia di Giuseppe da lei tanto amato, le serate passate insieme al suo Gesù, l’idillio di quella intesa di animi.
Ora tutto questo stava per finire: suo figlio doveva abbandonarla per cominciare a realizzare la sua missione, il motivo per il quale era venuto al mondo, per il quale ho aveva cresciuto dentro di sé per nove mesi, lo aveva fatto nascere, maturato ed educato. Anche lei era stata mamma di quel figlio per questo; anche lei aveva contribuito a quel distacco.
Eppure adesso che quel momento era arrivato, comincia ad avvertirne tutta l’amarezza, la sofferenza intima, la pesantezza dell’offerta di suo figlio per attuare i progetti di Dio Trinità per tutto il genere umano. Tra pochi anni anche questo figlio avvertirà il dramma di offrirsi come vittima. Ma anche in quel momento lei spiritualmente gli starà vicino e lo riprenderà per mano come quando da bambino lo conduceva al Tempio per offrirlo al Signore. Sarà ancora lei a condurlo, come vittima, non al Tempio di pietra ma sull’altare della creazione: sul Golgota affinché tutti possano orientare verso di lui il loro sguardo (“volgeranno lo sguardo su colui che hanno trafitto”, Gv. 19, 37 e Zc. 12,10), e lui dall’alto possa illuminare tutta l’umanità (“Egli era la luce che illumina ogni uomo”, Gv. I, 9)
Forse si sarà ricordata della profezia di Simeone: “Una spada ti trafiggerà l’anima”. Queste parole cominciavano ad avverarsi nel loro crudo realismo.
Le delicatezze di Maria
Una falsa concezione spiritualista fa apparire la vita interiore in una dimensione intimistica, come se curare la vita spirituale, il rapporto personale con Dio, dovesse andare a scapito delle realtà sociali, delle premure per gli altri.
La Madonna con i suoi comportamenti ci dà una grande lezione di equilibrio. Ci mostra, non con le parole, ma con l’atteggiamento concreto, con il suo vissuto quotidiano, come la chiusura all’altro, l’egoismo, non è la conseguenza della vita spirituale ma di una assenza ed atrofizzazione della medesima.
Forse l’esempio più eclatante è quando va a visitare sua cugina Elisabetta. L’episodio ci viene riferito da Luca (I, 39-56).
La Madonna aveva già ricevuto l’annuncio dell’Angelo e nel suo corpo si era verificato il concepimento verginale di Gesù. Però viene a sapere che anche sua cugina, nonostante l’età avanzata, stava aspettando un bambino e “si trovava già al sesto mese, lei che tutti ritenevano sterile”.
Maria viveva a Nazareth, mentre Elisabetta ad Ain Karim, 7 km. ad ovest di Gerusalemme e 150 da Nazareth. Il viaggio era lungo, disagiato e doveva attraversare la catena di monti da nord a sud della Palestina.
La scelta per noi più ovvia sarebbe stata quella di rimanere a Nazareth. La Madonna aveva tutti i motivi per non muoversi: l’importanza del bambino che stava gestando e del quale non poteva mettere a rischio l’esistenza pur assecondando il desiderio di aiutare la parente. Sarebbe stato… poco prudente.
Questa è l’ottica umana. Ma la Madonna era piena di Dio, viveva per Dio, si nutriva della fede in Dio. Aveva interpretato quella notizia dell’Angelo come un desiderio implicito di Dio di mettersi in viaggio per dare una mano alla cugina. Poteva chiudersi intimisticamente in se stessa, immersa in una meditazione estatica sulla predilezione divina per lei, godendosi in un materno idillio quel bambino che stava formandosi nel suo corpo.
La Madonna però non scelse secondo l’ottica umana ma agì illuminata dalla fede in Dio. Radunò i suoi effetti personali in un semplice sacco e si mise in viaggio e per ben tre mesi, fino alla nascita di Giovanni, lei, la madre di Dio, rimase a disposizione della cugina bisognosa delle sue cure, facendosi sua domestica.
Anche in altre occasioni manifestò la sua sensibilità e tenerezza, la sua preoccupazione verso gli altri. Lei osservava tutto e cercava di rendersi conto delle altrui necessità.
Sintomatico è rimasto l’episodio delle nozze di Cana (Gv. II, 1-11). Potrebbe trattarsi di un gesto banale, eppure le tenere attenzioni di Maria arrivavano anche alle sfumature.
Quella coppia di sposi, amici di Gesù e probabilmente anche suoi, non hanno calcolato bene il numero degli invitati; ad un certo punto della festa, che durava alcuni giorni, le provviste di vino erano praticamente esaurite. Sarebbe stato uno smacco per gli sposi, avrebbero fatto una gran brutta figura: il vino per le feste di allora era un elemento indispensabile. La Madonna se ne accorse, lei alla quale non sfuggiva niente, e pur di evitare agli sposi una brutta figura proprio in occasione delle loro nozze, sollecita suo figlio a compiere un miracolo. L’evangelista commenta che è il primo compiuto da Gesù. Un tatto di squisita sensibilità la dimostrò nei riguardi di Giuseppe. Lei sapeva che Gesù non era suo figlio. Eppure di fronte al figlio lo presenta sempre come padre e gli dà sempre il posto di precedenza su di lei. Sintomatico è l’episodio dello smarrimento di Gesù. Lì si evidenzia la sintonia dei due cuori ed il rispetto per Giuseppe. Rivolgendosi infatti a Gesù non dice: ‘Cosa mi hai combinato; mi hai fatto stare in pena’; ma si è rivolta a lui in questi termini: “Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo” (Lc. II, 49). Il desiderio di mettere davanti al figlio la figura di Giuseppe, suo amato sposo; la preoccupazione che il bambino vedesse in Giuseppe il punto di riferimento.
Lei lo ha sempre seguito e gli ha obbedito come una moglie affettuosa. Lo vediamo specialmente quando si è recata a Bethlemme, quando è espatriata in Egitto, quando è ritornata a Nazareth, nell’attuazione delle varie prescrizioni legali come quella di portare Gesù al tempio.
Così era fatto l’animo di Maria. E la grandezza morale di quest’animo si manifestò dopo l’uccisione di Gesù.
Anche qui per comprendere è necessario fare una composizione di luogo.
Maria aveva conosciuto gli apostoli. Insieme a Gesù li aveva tanto amati. Adesso si trova ai piedi della croce, davanti a Gesù morto, che sta per essere deposto per la sepoltura. Che le altre persone non abbiano capito suo figlio, poco male. Ma il comportamento da parte degli apostoli che avevano vissuto tre anni con lui, che avevano condiviso tutto, che erano stati messi a conoscenza della rivelazione, era difficile da accettare: uno lo ha tradito, un altro rinnegato e gli altri… sono scappati tutti dalla paura tranne Giovanni.
Dopo la sepoltura di Gesù la Madonna avrebbe voluto starsene sola a cibarsi del suo dolore, a smaltire l’emozione del dramma.
Però suo figlio prima di morire le aveva affidato un incarico: “donna ecco tuo figlio” ed a Giovanni: “figlio, ecco tua madre” (Gv. 19, 26 s.). Giovanni da quel momento la prese con sé.
Dove la portò Giovanni? Certamente per quella sera non la lasciò sola; la condusse gelosamente con se nel cenacolo dove gli altri apostoli, storditi più che mai, si erano dati appuntamento. La Madonna si lascia portare. Non pensa al suo dolore, al suo dramma. Soffoca le lacrime e comincia a svolgere la nuova missione ricevuta da sua figlio: non solo madre biologica ma anche madre spirituale; non solo madre di Gesù fisico, ma anche madre di Gesù mistico, la Chiesa.
Rimproverare gli apostoli, rinfacciare loro l’abbietto comportamento? A cosa sarebbe valso? Uno sfogo psicologico e niente più.
La Madonna era ben capace a tenere a bada le sue emozioni e sentimenti. Una sola cosa era importante adesso: far capire agli apostoli che il progetto redentivo di Dio Trinità nei riguardi dell’uomo si era compiuto. “Tutto è compiuto” (Gv. 19,30), aveva pronunciato Gesù prima di spirare.
Lei si è fatta catechista per gli apostoli. Li ha dovuti confortare, consolare, ricostruire tra loro il legame e la fiducia reciproca, distoglierli dalla tentazione del fallimento, dell’ingenuità nella quale pensavano di essere caduti, si è sforzata a non farli dubitare dell’amore misericordioso di suo figlio. Farli riflettere sulla missione che li attendeva. Ma specialmente ravvivare in loro la certezza della prossima resurrezione.
Suo figlio ha agito così non perché è stato un visionario, un fallito, ma perché è stato obbediente al Padre. Il vero vincitore è lui e lo avrebbe presto dimostrato risorgendo come aveva promesso per ben tre volte [Vai alle note] (5).
Ritroviamo la Madonna anche dopo l’ascensione di Gesù, nel cenacolo con gli apostoli e la prima comunità dei credenti, in tutto circa 120, in attesa della infusione dello Spirito Santo.
Luca, storico dei primissimi anni della Chiesa ci descrive la presenza di Maria in questa maniera lapidaria: “Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera insieme con varie donne, nominativamente Maria madre di Gesù” (At. I, 14).
L’animo di Maria
Questa donna, tanto tenera con gli altri, era molto forte e decisa con se stessa.
Già si è visto con quale forza d’animo abbia affrontato le difficoltà della vita: un parto in una grotta, la fuga in Egitto, le ingiurie e calunnie rivolte a suo figlio.
Ma forse il momento culminante è stata l’eroica fede con la quale ha affrontato la passione e morte di Gesù. Presso la croce stava la Madonna (Gv. 19, 25). Il verbo latino ‘stabat’ non significa soltanto essere presente ma stare in piedi, con dignità. Maria interiorizza tutto il suo enorme dolore senza farlo trasparire, senza andare in escandescenze.
Uno scrittore contemporaneo ha così ‘pensato’ la Madonna in quel momento:
“Tu che soffri ai piedi della croce
irta di gemme del Suo sangue,
tendi le braccia al Suo corpo
che amore e morte insieme stringe.
E’ l’ora dell’ultimo abbandono:
lo accogli nel grembo
della tua bianca veste
come in giardino aulente fiore
per una nuova primavera.
L’ululante oceano del nulla
Velò la Sua voce:
tu avvolgi nel silenzio o Maria
divini baratri di luce.
Dolce sacra pietà ,
aspro e dolente
verso in te le mie gelide paure,
le taciturne ombre degli anni:
col figlio esangue anche me accettasti
nella tua mite oasi di pianto” (6).
Lei, corredentrice, si è immolata con il figlio e nella persona del figlio ha immolato la sua stessa carne. La sua fermezza d’animo non è come quella degli stoici che sfidano il destino, ma deriva dalla consapevolezza di contribuire in maniera unica all’attuazione del progetto trinitario.
Lei fin dall’inizio aveva messo la sua vita a disposizione di Dio: Ecco la servitrice del Signore; disponga tranquillamente di me in rapporto ai suoi progetti di amore. Questo essersi messa a disposizione di Dio, l’ha portata fino ai piedi della croce, e mediante le sofferenze nella carne del figlio, anche lei è stata inchiodata sulla croce. Quella carne martoriata di suo figlio era la sua carne.
La grazia ha potuto costruire in Maria perché ha trovato in lei un terreno adatto. Non il terreno-strada della parabola (Mt. 13, 4-9 e 18-23), carattere superficiale, leggero, che pensa soltanto a ridere e scherzare, che non è capace di prendere la vita sul serio. Non il terreno sassoso, carattere incostante, pusillanime, pronto ai facili entusiasmi ma pronto anche ad avvilirsi e rinunciare all’impegno. Non il terreno spinoso, carattere che si lascia soffocare dalla materialità della vita, dai piaceri e dall’effimero. Ma terreno fertile, carattere forte e volitivo, maturo, che ha idee chiare nella vita, che conosce il progetto di Dio su di lei e mette tutto l’impegno ad attuarlo.
Questo atteggiamento meditativo è stato messo bene in luce dall’evangelista: “Maria conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc. II, 51).
Negli anni ’70 uscì un detto: “L’importante è non restare mai, neppure per un momento, soli e in silenzio. Si rischierebbe di cominciare a pensare” (7).
Oggi il mondo cerca di intontire, ubriacare i suoi adepti. L’importante è condurli alla alienazione, alla atrofizzazione del pensiero.
La Madonna si pone come sfida ed antidoto a questa falsa modernità, a questa negazione dell’umanesimo.
Frutto di questa pienezza interiore è l’inno del Magnificat (Lc. I, 46-55).
“L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome:
di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato a mani vuote i ricchi.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva promesso ai nostri padri,
ad Abramo e alla sua discendenza,
per sempre”.
Maria vi evidenzia tutta la sua spiritualità, fondata non su sentimentalismi, ma robusta, ancorata alla Sacra Scrittura e sull’equilibrato rapporto teologico tra Dio creatore e lei creatura.
Meraviglia in una ragazza di circa 16 anni tanta profondità e maturità. Il segreto sta in ciò che la Trinità aveva già compiuto in lei. L’angelo l’aveva salutata “piena di grazia”, o almeno così si riporta nella traduzione italiana. Ma il vocabolo greco kekaritomene, passivo perfetto del verbo, indica un’azione passata, il cui effetto però sussiste ancora. Andrebbe quindi tradotto: “Maria è stata resa gradita a Dio sotto l’influsso della grazia”, esprimendo così un’azione anteriore all’annuncio dell’angelo (8).
Dio Padre dall’inizio si era preparato Maria come madre di suo figlio. Il merito di tale scelta e, per conseguenza, di tale ricchezza interiore, di questa speciale predilezione, della sua maturità spirituale non era suo ma di Dio. Ed è proprio questo che Maria mette in evidenza. Riconosce la verità su se stessa; non nega l’azione divina in lei, ma non se ne assume il merito, non se ne gloria, non si vanta per questo. Nella sua umiltà, che poi è verità, rimbalza a Dio la lode e riconosce in lui l’artefice della sua bellezza spirituale: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore”.
Maria esprime un atteggiamento opposto a quello dell’uomo moderno, gonfio dei suoi successi scientifici, che attribuisce alle sue capacità quei passettini compiuti dopo secoli di tentativi e di insuccessi.
L’uomo di oggi nella sua tarata personalità esprime l’ybris, la tracotanza, l’ubriachezza credendo di aver messo ormai le mani sulla vita. Questo lo porta ad arrivare a supporre di poter fare a meno di Dio, che Dio in quest’epoca scientifica possa essere considerato un soprammobile superfluo, inutile, addirittura dannoso.
Quale distanza abissale tra queste due personalità, due filosofie e teologie della vita. La Madonna nella sua umiltà e disponibilità ha contribuito alla redenzione umana; l’uomo di oggi, tutto pieno di sé, fiducioso nei suoi piccoli successi, contribuisce invece alla sua auto-distruzione.
Soltanto due semplici citazioni: Freud e Einstein
“Il problema fondamentale del destino della specie umana a me sembra sia questo: se, e fino a che punto, l’evoluzione civile riuscirà a padroneggiare i turbamenti della vita collettiva provocati dalla pulsione aggressiva e autodistruttrice degli uomini… Gli uomini adesso hanno esteso talmente il proprio potere sulle forze naturali, che giovandosi di esse sarebbe facile sterminarsi a vicenda, fino all’ultimo uomo. Lo sanno, donde buona parte della loro presente inquietudine, infelicità, apprensione” (9).
“Arrivare ad un miglioramento della vita sociale ed individuale… In questo lavoro nessuna scienza può esserci di aiuto. Io credo anzi che l’esagerata insistenza, nella nostra istruzione, sull’atteggiamento puramente intellettuale, spesso interessato unicamente al lato pratico della vita e ai fatti, abbia portato indirettamente ad un indebolimento dei valori etici. Non mi riferisco soltanto ai pericoli ai quali il progresso tecnico ha direttamente esposto l’umanità quanto al soffocamento del reciproco rispetto umano portato da una mentalità fondata sugli ‘stati di fatto’ che è venuta a pesare come un gelo mortale sulle relazioni fra gli uomini” (10).
Pio XII da parte sua, ha messo il dito sulla piaga: “Una delle tentazioni più terribili dello sforzo scientifico contemporaneo è, senza dubbio, quella di erigere una cittadella orgogliosa, una moderna Torre di Babele, come una sfida dell’intelligenza umana alla sovranità del Creatore” (11).
La Madonna nella sua semplicità ci indica la via giusta da seguire. Perché Dio si è servito di lei per fare grandi cose? Perché ha riconosciuto l’umiltà della sua serva; perché Maria è riuscita ad esprimere la verità su se stessa: considerarsi creatura, povera di spirito, bisognosa di tutto. L’umiltà è verità. Quel bambino che stava formandosi nel suo seno, un giorno da grande dirà: “Beati i poveri in spirito” (Mt. V, 3). Il vocabolo greco è ‘ptokoi’, che equivale al nostro ‘tapino’. Solo coloro che hanno il buon senso e l’onestà di riconoscersi contingenti e quindi bisognosi di tutto si renderanno disponibili ad essere riempiti, sostenuti ed integrati da Dio; coloro invece che si riterranno autosufficienti, nella superbia del loro cuore, rimarranno nella loro povertà esistenziale.
Nelle poche righe si quest’inno è contenuta tutta un’antropologia ed una vita di religione: l’uomo di fronte a Dio.
Gli occhi dei superficiali mai avrebbero potuto vedere in quella ragazza appena divenuta madre, così semplice e povera, non degna di alcuna considerazione, in quella grotta spoglia, tanto equilibrio spirituale tanta ricchezza interiore.
Maternità spirituale
La Chiesa ha reso giustizia a questa donna.
Mai una creatura è stata tanto lodata e venerata come Maria. La sua profezia si è avverata: “tutte le generazioni mi chiameranno beata” (12).
Il Concilio Vaticano II nell’VIII cap. della Costituzione Lumen Gentium (21 novembre 1964) ha chiamato Maria ‘Madre della Chiesa’, e quindi madre di ciascun cristiano.
Anche adesso Maria, pur essendo da Gesù elevata a Regina, continua a svolgere il suo ruolo di ‘servitrice’ di Dio, ad esercitare la sua funzione materna per facilitare a Cristo suo figlio l’accesso in ogni cuore. “Questa funzione subordinata di Maria la Chiesa non dubita di riconoscerla apertamente, continuamente la sperimenta e raccomanda all’amore dei fedeli, perché, sostenuti da questo materno aiuto, siano più intimamente congiunti col Mediatore e Salvatore” (n. 62).
Dunque la Madonna si sente ed è ancora madre.
Quando un bambino è coccolato e protetto dalle braccia della mamma sta tranquillo, non si preoccupa di ciò che gli succede intorno: sta in braccio a sua mamma e questo gli basta.
Così dovrebbe essere per il cristiano riguardo alla maternità spirituale di Maria. Una canzone dice: “Niente ti turbi, niente ti spaventi”. Sei cullato da queste braccia materne. Perché agitarti? Non ti è sufficiente questa certezza?
Nella composizione lirica “Il Lamento di Danae” del poeta greco Simonide (VI sec. A.C.) mi sembra trovare questi stati d’animo. Una signora, Danae, aveva imprecato contro Giove. Allora il dio per punirla fa rinchiudere lei ed il suo figlioletto, Perseo, in una cesta lasciandola in balia delle onde del mare. Fino a quanto il mare era calmo va tutto bene. Ma ad un certo punto arriva una tremenda tempesta. Presa dalla disperazione, Danae rivolge una preghiera a Giove, dopo aver riconosciuto il suo errore, e lo scongiura di far placare il mare. Il poeta contrappone il dramma di questa mamma alla tranquillità del bambino che, ignaro di tutto ciò che succedeva, non si preoccupava di niente perché… era rassicurato dall’abbraccio caldo e amoroso di sua mamma. Come se dicesse: Sto in braccio a mamma; cosa può capitarmi di male?
Ecco il testo:
Il Lamento di Danae
“Quando nell’arca regale l’impeto del vento
e l’acqua agitata la trascinarono al largo,
Danae con sgomento, piangendo, distese amorosa
Le mani su Perseo e disse: “O figlio,
quale pena soffro! Il tuo cuore non sa;
e profondamente tu dormi
così raccolto in questa notte senza luce di cielo,
nel buio del legno serrato da chiodi di rame.
E l’onda lunga dell’acqua che passa
sul tuo capo, non odi; né il rombo
dell’aria: nella rossa
vestina di lana, giaci; reclinato
al sonno il tuo bel viso.
Se tu sapessi ciò che è da temere,
il tuo piccolo orecchio sveglieresti alla mia voce.
Ma io prego: tu riposa, o figlio, e quiete
abbia il mare; ed il male senza fine, riposi” (13).
Penso che questa immagine poetica dovrebbe rispecchiare l’atteggiamento di ogni cristiano. Atteggiamento non di sconsideratezza e incoscienza, ma conseguenza di una profonda fede: ‘Sono convinto che Maria è anche mia mamma; sono sicuro che lei mi ama teneramente e mi stringe amorosamente a sé in una stretta protettiva. Non temerò alcun male perché io sono con mia madre Maria’.
Termino questo paragrafo sul personaggio Maria trascrivendo una semplice ma significativa preghiera:
“Sotto la tua protezione ci rifugiamo,
Santa Madre di Dio.
Non disprezzare le suppliche
di noi che stiamo nella prova,
ma liberaci da ogni pericolo,
o Vergine gloriosa e benedetta”.