Il compagno di Cesare Pavese – relazione di Federico Galli
27 Gennaio 2019Critica letteraria
27 Gennaio 2019Ricordi
Pietro Tivelli
Classe IV° F
Scheda di analisi
LA VITA
Guicciardini, Francesco (Firenze 1483 – Arcetri, Firenze 1540), storico, uomo politico e pensatore italiano. Dopo aver compiuto studi giuridici a Pisa, nel 1506 si avviò a una brillante carriera nell’avvocatura e, nel 1512, fu nominato ambasciatore presso la corte di Ferdinando il Cattolico, in Spagna. Tornato nel 1514 a Firenze, dove intanto i Medici avevano ripreso il potere sotto la protezione degli spagnoli, nel 1516 entrò al servizio di Leone X (Giovanni de’ Medici), che lo fece governatore prima di Modena, quindi di Reggio e Parma, e infine commissario dell’esercito pontificio. Nel 1523 Clemente VII (Giulio de’ Medici), di cui godeva dell’amicizia e del favore, lo nominò presidente della Romagna. Fu in quelle circostanze, nel vigore con cui affrontò l’anarchia delle regioni sotto il suo controllo, che dimostrò grandi capacità organizzative e di comando.
Più significativa ancora fu la sua azione diplomatica nella complessa situazione prodottasi nel territorio italiano come conseguenza delle lotte per l’egemonia europea. Si adoperò infatti per creare, con un rovesciamento degli attuali schieramenti, una lega tra papato, stati italiani e Francesco I di Francia contro il reale pericolo costituito da Carlo V, che tendeva a un’assoluta supremazia imperiale sull’Italia. Ma la lega fu sconfitta, i mercenari tedeschi di Carlo V saccheggiarono Roma (1527), i Medici furono temporaneamente cacciati da Firenze, e su Guicciardini, ritiratosi nella villa del Finocchieto, piovve la condanna del Papa da un lato e, dall’altro, dei suoi concittadini, restauratori di una nuova repubblica fiorentina. I suoi beni vennero confiscati e Guicciardini si trasferì nel 1529 a Bologna e in seguito a Roma.
Recuperato il favore di Clemente VII e ripristinata la signoria medicea a Firenze, tornò nel 1534 a Firenze e assunse il ruolo di consigliere e luogotenente del duca Alessandro, ma dopo l’assassinio di questi, pur essendo fautore della successione di Cosimo de’ Medici, venne tenuto in disparte. Si ritirò allora nella sua villa di Arcetri, dove la morte lo raggiunse nel 1540 mentre lavorava alla monumentale Storia d’Italia, iniziata nel 1535. Non si sa se intendesse pubblicarla, dal momento che già altri importanti scritti (Ricordi politici e civili, 1528-1530; Considerazioni intorno ai “Discorsi” del Machiavelli sopra la prima Deca di Tito Livio, 1528; oltre alle giovanili e incompiute Storie fiorentine, 1508-1510), recuperati dopo la sua morte, erano rimasti fra le sue carte.
Guicciardini era una mente portata all’intuizione pratica più che ai grandi progetti ideologici e diffidava, anzi, delle tesi perentorie e delle teorie di principio. Privo di una dottrina organica e coerente, era convinto dell’importanza di interpretare gli eventi con duttilità, risolvendo i problemi contingenti in maniera flessibile. Tale pragmatismo era proprio anche di Niccolò Machiavelli, ma, al contrario di questi, Guicciardini non credeva che i rapporti fra gli uomini e i fatti della storia dipendessero da leggi fondamentali e assolute.
In questa dimensione si muovono i Ricordi, raccolta di circa quattrocento fra osservazioni, massime e sentenze. Sottesa a questa stessa visione della vita, e quasi pretesto per riflettere sulla complessa natura umana, è la vasta e ricca Storia d’Italia, che, pur trattando materia coincidente con l’autobiografia (gli eventi fra il 1492 e il 1534), si presenta, per lo scrupolo documentario e l’obiettiva analisi dei fatti, come una delle opere fondanti della moderna storiografia europea.
TIPOLOGIA TESTUALE
Questo libro può essere considerato un saggio autobiografico. In questo libro Guicciardini parla di sé e della sua visione della società e della politica.
RIASSUNTO E DIVISIONE INTERNA
Il libro ha una netta divisione interna in pensieri; pensieri che il Guicciardini sviluppa in periodi diversi della sua vita. In totale l’intero volume consta di 221 ricordi in ognuno dei quali l’autore espone le sue idee sulla società, la politica ed i suoi personaggi.
Possiamo inoltre notare i legami che lo scrittore ha voluto porre tra i diversi pensieri; infatti anche se i ricordi apparentemente sembrano scritti senza un ordine preciso, in realtà alcuni ideali sono ripresi più volte dal Guicciardini, che li sviluppa con varie argomentazioni.
La prima stesura dei Ricordi risale al 1512; si tratta di due quaderni autobiografici. In realtà questa non può essere considerata la vera prima redazione, poiché l’autore non diede particolare importanza all’organicità del libro; infatti si può notare come i pensieri scritti in questa prima stesura, sono semplici e slegati tra di loro. Il Guicciardini rimise mano in seguito all’opera. Più precisamente la prima vera redazione si colloca tra il 1523 e il 1525; durante questo periodo l’autore riprende alcuni ricordi, e ne aggiunge altri.
A questo lavoro segue un’altra redazione, la seconda del 1528, in cui risultano solamente tre nuovi pensieri. L’ultima redazione è del 1530, in cui il Guicciardini arriva agli attuali 221 ricordi.
In questi suoi continui tentativi di miglioramento, Francesco Guicciardini riduce i suoi pensieri a semplici frasi. L’autore infatti è quasi ossessionato dalla sinteticità dei ricordi; egli ritiene che è possibile esporre un argomento sintetizzandolo fino alla sua essenza, cosa che tenta di fare in questo suo libro.
NARRATORE
Il narratore di questi ricordi è logicamente interno, e corrisponde all’autore. Infatti, tutto si pone nell’ottica del Guicciardini che cerca di spiegare il mondo secondo le proprie opinioni.
TEMI TRATTATI
Francesco Guicciardini: Il pensiero
Anche il Guicciardini, come il Machiavelli, crede che l’uomo sia un fenomeno della natura soggetto a leggi fisse ed immutabili, ma, a differenza del grande amico, ritiene che l’uomo sia naturalmente portato più al bene che al male e se fa nella realtà più spesso il male che il bene, ciò è dovuto al fatto che le tentazioni sono tante e la coscienza umana debole, ma ancora di più al fatto che proprio facendo il male l’uomo riesce più facilmente e più spesso a realizzare il proprio tornaconto. Questo tornaconto personale, che il Guicciardini chiama “particulare”, è in effetti la molla che fa scattare tutte le azioni umane: esso il più delle volte corrisponde al benessere materiale, al potere, ma può anche nobilitarsi corrispondendo all’interesse dello Stato, alla gloria, alla fama. Per realizzare il “particulare”, sia in senso politico che in senso domestico, non è possibile rifarsi alla storia e trarre insegnamenti da fatti già accaduti per risolvere i fatti del presente, perché nella storia i fatti non si ripetono mai: anche quando una circostanza presente sembra riflettere un episodio della storia passata, in effetti la situazione attuale è ben diversa, diversi essendo gli uomini che si trovano ad affrontarla. Quindi non c’è da sperare in una scienza della politica, ma contare esclusivamente sulla propria “discrezione”, cioè una qualità innata nell’uomo, ma che solo pochi posseggono in misura rilevante, che fornisce la capacità di intuire di volta in volta la scelta da operare, la strada da percorrere, per realizzare il proprio vantaggio e difendersi dai pericoli della vita. Però se la storia non può darci leggi universali di comportamento, la nostra esperienza personale può bene affinare in noi la “discrezione”. E l’uomo deve attenersi esclusivamente al suo rapporto contingente con la realtà, perché è vana e semplice esercitazione mentale il volersi interessare di cose soprannaturali ed invisibili. E nel rispetto di questa considerazione, egli condivide col Machiavelli la necessità di badare solo alla “verità effettuale”, ma della situazione italiana contemporanea dà una valutazione diversa: per luì non è possibile fare dell’Italia di quel tempo uno stato unitario, e propende invece per una confederazione di piccoli stati, possibilmente retti a repubblica ma governati comunque da “savi”. Egli è contrario al potere temporale dei papi (anche se li servì per proprio tornaconto) e condivide col Machiavelli il desiderio di vedere l’Italia liberata dagli stranieri. Significativo a tal riguardo è il seguente pensiero del Guicciardini: “Tre cose desidero vedere innanzi della mia morte; ma dubito, ancora che io vivessi molto, non ne vedere alcuna: uno vivere di repubblica bene ordinata nella città nostra; l’Italia liberata da tutti e barbari; e liberato il mondo della tirannide di questi preti”.