Canto trentatreesimo del Purgatorio
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27 Gennaio 2019Alcune osservazioni sul caso Galileo
di Roberto Persico
La scossa finale avvenne il 22 giugno del 1633 nella chiesa domenicana della Minerva a Roma. Qui Galilei, lo scienziato più insigne della sua generazione, ormai settantenne, spiritualmente e fisicamente esausto dopo due mesi di quasi ininterrotti interrogatori e stesure di memoriali, e forse sotto la minaccia della tortura, firmò finalmente la «confessione» preparata dai giudici della Congregazione del Sant’Uffizio. La «confessione» eliminava ogni dubbio circa la piena appartenenza di alla Chiesa Visibile. Ma bollava come contraria alle Sacre Scritture e quindi fortemente sospetta di eresia la «falsa opinione» che il Sole fosse il centro immobile del mondo, e che la Terra non fosse il centro del mondo, e si muovesse. Sette dei dieci giudici firmarono poi un altro documento. Questo dichiarava il «penitente» reo di aver disobbedito a un’«ingiunzione» del Bellarmino di cui nessuno aveva mai sentito parlare, e che qualcuno all’ultimo momento aveva surrettiziamente infilato nell’incartamento; e condannava al carcere, per un periodo a discrezione dei giudici. Gli imponeva, altresì, l’obbligo di recitare i sette salmi penitenziali una volta alla settimana per tre anni.
Che un fatto del genere avesse potuto accadere è rimasto inesplicabile, tre secoli e mezzo più tardi, per i teologi che hanno provveduto a «riabilitare» la vittima innocente (che peraltro era stata legalmente e sacramentalmente «riconciliata», non mai condannata). Il suo accadimento fu non meno sconcertante per i contemporanei, e particolarmente per i protagonisti medesimi. La maggior parte degli esperti di teologia consultati dagli inquisitori erano stati concordi nel dichiarare che le tesi di sui rapporto fra cosmologia e Bibbia erano in armonia con quelle di sant’Agostino, di san Tommaso e di Melchior Cano. La Chiesa, dichiararono, non aveva mai accettato la fisica aristotelica e l’astronomia tolemaica se non come un mezzo per dar conto della realtà fenomenica. Aveva accettato per la stessa ragione l’astronomia copernicana quando aveva intrapreso la riforma gregoriana del calendario. E non tradiva né Lattanzio né Dante riconoscendo che né la Montagna del Purgatorio né gli Antipodi erano stati scoperti sull’altra faccia del globo.
Cosa anche più significativa, la campagna di per ottenere l’appoggio delle alte gerarchie ecclesiastiche era stata coronata da successo con l’avvento al pontificato nel 1623, col nome di Urbano VIII, del fiorentino Maffeo Barberini, cardinale di grande cultura e di mente aperta. dedicò al nuovo papa l’edizione a stampa del Saggiatore, che il Barberini aveva letto manoscritto con vivo apprezzamento. Il papa a sua volta, dopo essersi assicurato il controllo della Curia riempiendola di suoi parenti e conterranei toscani, promosse a posti importanti in campo culturale dei galileiani ortodossi. Fece liberare dal carcere napoletano il Campanella, che a Roma ricevette l’omaggio di tutti gli uomini di lettere ivi residenti e di passaggio. Nominò Giovanni Ciampoli segretario pontificio. Fece maestro dei Sacri Palazzi Niccolò Ridolfi (il «Padre Mostro», com’era chiamato per via dell’alta statura), assegnandogli pieni poteri in fatto di permessi di stampa. Diede a Benedetto Castelli una cattedra universitaria. L’elezione di questo papa, scrisse Ciampoli a , sarà causa di soddisfazione e gioia universale, specie per noi che siamo i servitori particolari di Sua Santità, e godiamo della sua benevolenza.
non poteva se non concludere che il veto di Bellarmino del 1616 era ormai lettera morta. Il «Padre Mostro», l’inquisitore, il vicario episcopale e il censore civico di Firenze concessero tutti l’imprimatur al suo Dialogo del massimi sistemi; e nel febbraio del 1632, dopo altri due anni di caute trattative intese a neutralizzare ogni possibile ostacolo a una favorevole accoglienza, fu finalmente pubblicato uno dei più grandi dialoghi filosofici dell’età postrinascimentale: in cui due nobili veneziani intelligenti e bene informati discutevano amichevolmente con un filosofo accademico sui meriti rispettivi di un universo con al centro la Terra e di uno eliocentrico.
Poi, improvvisamente, quando a Roma cominciarono a circolare le copie del Dialogo, qualcosa andò di traverso. Tre teologi con relazioni in Curia si accorsero, non a torto, che il trionfo di avrebbe vanificato tutte le analogie con il cosmo aristotelico sulle quali essi e molti loro colleghi dei vari ordini religiosi avevano fondato il loro edificio teologico. Dei tre, i due che erano gesuiti pensarono che questa era forse l’ultima occasione per vendicarsi della satira mordente di cui l’autore del Saggiatore aveva fatto oggetto un loro correligionario, e indirettamente la massima istituzione culturale dei gesuiti, il Collegio Romano.
I teologi riesumarono le deposizioni degli oscuri domenicani fiorentini che avevano provocato nel 1616 la timorosa reazione dell’Inquisizione. Convinsero il papa che lo pseudonimo «Simplicio» del Dialogo non alludeva all’omonimo aristotelico antico, ma alla «semplicità di mente» del papa medesimo; e questo, per un papa che considerava i pontefici i più saggi degli uomini, e se stesso il più saggio dei pontefici, era un affronto intollerabile. Urbano VIII diventò adesso nemico implacabile di , da lui finora ammirato senza riserve, anche se non sempre ben capito. I tre teologi e i loro fautori convinsero inoltre il papa che il Dialogo avrebbe suscitato una contesa teologica non meno aspra di quella sulla grazia, che aveva afflitto gli ultimi anni del suo predecessore Clemente VIII. Deciso a evitare a ogni costo l’incombente controversia, il papa ordinò agli inquisitori di fare tutto il necessario per bandire il Dialogo e per mettere a tacere il suo autore. Intimorì gli indesiderati fautori di quest’ultimo, che rimasero inerti: dal bibliofilo nipote del papa, il cardinale inquisitore Francesco, il quale osò soltanto inoltrare le proteste di ai colleghi e astenersi dal firmare la «penitenza» che costoro gli imposero, al giovane granduca Ferdinando Il, ancora immaturo e politicamente vulnerabile, il quale, come «sovrano naturale» di , avrebbe potuto intervenire in suo favore. Dopodiché anche gli inquisitori più restii non poterono far altro che seguire fino alla logica conclusione le loro norme procedurali.
Ma nonostante tutto, le ferite inferte a e ai suoi sostenitori appaiono a prima vista superficiali. Nessuno dei galileiani al servizio del pontefice venne licenziato. La «prigione» di a Roma fu dopo pochi giorni mutata in residenza presso l’ambasciata toscana, poi nel palazzo dell’arcivescovo di Siena, suo amico, e nel giro di un anno nella casa stessa dello scienziato ad Arcetri, appena fuori le mura di Firenze. E tutti i protagonisti si studiarono di far finta che l’infelice «caso» non fosse mai avvenuto. Ma grazie alla megalomania del papa, alla sua gratitudine verso i gesuiti che soli o quasi avevano avuto la temerità di paragonare suoi scritti poetici a quelli di Petrarca e di Chiabrera, i tre teologi furono vittoriosi al di là delle loro aspettative. Per la prima volta dal tempo di Pio V, autorità responsabili erano state rese strumento di una irresponsabile burocrazia. Per la prima volta dal tempo di Niccolò V si sera inserito un cuneo fra il mondo della cultura umanistica e almeno una istituzione ufficiale della Chiesa. Per la prima volta dalla morte di Paolo Il le schiere allora sparute ma poi sempre più numerose di coloro che sceglievano di far blocco da un lato o dall’altro del cuneo furono spinte a conficcare il cuneo sempre più a fondo. E i molti, ma poi sempre meno numerosi uomini di scienza e di fede che volevano invece rimanere da entrambi i lati si trovarono con le gambe precariamente divaricate sopra un fossato su cui disperavano di riuscir mai a gettare un ponte.
Eric Cochrane, L’Italia del Cinquecento; Roma-Bari, Laterza 1989, pp. 307-310
Lettera del Cardinal Bellarmìno, 4 aprile 1615
«Molto R.do P.re mio, ho letto volentieri l’epistola italiana e la scrittura latina che la P.V. m’ha mandato: la ringrazio dell’una e dell’altra, e confesso che sono tutte piene d’ingegno e di dottrina. Ma perché lei dimanda il mio parere, lo farò con molta brevità, perché lei hora ha poco tempo di leggere et io ho poco tempo di scrivere.
1°. Dico che mi pare che V.P. et il Sig. facciano prudentemente a contentarsi di parlare ex suppositione e non assolutamente, come io ho sempre creduto che habbia parlato il Copernico. Perché il dire, che supposto che la terra si muova et il sole stia fermo si salvano tutte l’apparenze meglio che non porre gli eccentrici e gli epicicli, è benissimo detto, e non ha pericolo nessuno; e questo basta al mathematico: ma voler affermare che realmente il sole stia nel centro del mondo, e solo si rivolti in sé stesso senza correre dall’oriente all’occidente, e che la terra stia nel terzo cielo e giri con somma velocità intorno al sole, è cosa molto pericolosa non solo d’irritare tutti i filosofi e tbeologi scholastici, ma anco di nuocere alla Santa Fede con rendere false le Scritture Sante. […]
2°. Dico che, come lei sa, il Concilio prohibisce esporre le Scritture contra il commune consenso de Santi Padri; e se la V.P. vorrà leggere non dico solo li Santi Padri, ma li commentarii moderni sopra il Genesi, sopra li Salmi, sopra l’Ecclesiaste, sopra Giosuè, troverà che tutti convengono in esporre ad litteram ch’il sole è nel cielo e gira intorno alla terra con somma velocità, e che la terra è lontanissima dal cielo e sta nel centro del mondo, immobile. Consideri hora lei, con la sua prudenza, che la Chiesa possa sopportare che si dia alle Scritture un senso contrario alli Santi Padri et a tutti li espositori greci e latini.[…]
3°. Dico che quando ci fusse vera demostratione che il sole stia nel centro del mondo e la terra nel terzo cielo, e che il sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole, allhora bisogneria andar con molta considerazione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e più tosto dire che non l’intendiamo, che dire che sia falso quello che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal dimostrazione, fin che non mi sia mostrata: né è l’istesso dimostrare che supposto ch’il sole stia nel centro e la terra nel cielo, si salvino le apparenze, e dimostrare che in verità il sole stia nel centro e la terra nel cielo; perché la prima dimostrazione credo che ci possa essere, ma della seconda ho grandissimo dubbio, et in caso di dubbio non si dee lasciare la Scrittura Santa, esposta da’ Santi Padri.[…]
in Galilei. Mito e realtà, Milano, CESED 1996, p.230-1
Una volta sistemata la questione con il decreto del 5 marzo, rimase ancora tre mesi a Roma. «Ma», scrisse l’ambasciatore di Toscana, «egli ha un cuore fisso di scaponire i frati, et combattere con chi egli non può se non perdere: però un poco prima o poi V.SS.rie sentiranno costà che sarà cascato in qualche stravagante precipizio»
Alla fine il duca, allarmato, fece tornare indietro il suo protetto.
Per sette anni non pubblicò nulla. Tuttavia la sua ossessione lo divorava, ossessione tanto più crudele che non poteva renderne partecipe nessuno. Indubbiamente borbottava contro «l’ignoranza, la malizia e l’empietà dei suoi avversari vittoriosi», tuttavia doveva sapere, senza confessarselo, che la causa della sua disfatta, in realtà, veniva dal fatto che era stato incapace di fornire la prova richiesta.
E’ questo che, secondo me, spiega che si sia lasciato prendere dalla sua falsa teoria delle maree. Aveva improvvisato quell’arma segreta in un momento di disperazione; tornata la calma, invece di vederne il sofisma e di dimenticarla, come ci si sarebbe potuti aspettare, vi si attaccò ed essa divenne un’idea fissa, come i solidi perfetti di Keplero.[…]
Leggermente modificata, la teoria delle maree di si presenta nel seguente modo. Prendiamo un punto sulla superficie del globo, ad esempio Venezia. Esiste un duplice movimento: la rotazione diurna sull’asse terrestre e la rivoluzione annuale del globo intorno al Sole. Di notte i due movimenti si sommano, di giorno si contrastano.
Da ciò viene che Venezia e tutta la terra ferma si sposta più velocemente di notte che di giorno; di conseguenza l’acqua, che viene sorpassata di notte, supera la terra nella giornata. Ed è per questo che le acque si ammucchiano in marea alta ogni ventiquattro ore, sempre verso mezzogiorno. Il fatto che a Venezia ci sono due maree invece di una è privo di importanza, è dovuto a svariate cause secondarie quali la configurazione del mare, la sua profondità e così via.
La falsità del ragionamento è evidente: il movimento può essere definito solo rispetto a un punto di riferimento. Se il movimento è relativo all’asse terrestre, tutte le parti della superficie del globo, siano esse solide o liquide, si spostano alla stessa velocità giorno e notte e non ci sono maree. Se il movimento è relativo alle stelle fisse, bisogna aggiungere il movimento annuale – stesso risultato. Ci potrebbe essere differenza di impulso, che proietta il mare avanti o indietro, solo se la Terra subisse lo shock di una forza esterna, ad esempio di una collisione con un altro pianeta. Tuttavia rotazione del globo e rivoluzione annuale sono entrambi dei movimenti uniformi e il cui impulso è identico per la terra e per l’acqua; e il loro sommarsi non cambia nulla. L’errore del ragionamento di viene dal fatto che prende per punto di riferimento del movimento dell’acqua l’asse terrestre e come punto di riferimento per il movimento dei continenti le stelle fisse. In altri termini introduce clandestinamente e inconsciamente il parallasse che gli manca. Si cercherebbe invano un effetto del movimento annuale della Terra rispetto alle stelle fisse. lo scopre nelle maree facendo intervenire le stelle fisse in un problema in cui non hanno nulla a che vedere.
Si giudicherà il potere di questa ossessione pensando che , pioniere degli studi sulla relatività del movimento, non si accorse mai dell’errore elementare del suo ragionamento; diciassette anni dopo aver immaginato la sua arma segreta vedeva ancora seriamente in essa la prova decisiva del movimento della Terra ed è così che la presentò nel suo Dialogo dei massimi sistemi. Ebbe addirittura l’intenzione d’intitolare l’opera Dialogo sul flusso e riflusso delle maree.
Arthur Koestler, I sonnambuli, Milano, Jaca Book 1982, p.
Per quanto riguarda le prove del moto annuale della Terra attorno al Sole, il primo fenomeno che deponeva seriamente in suo favore fu l’aberrazione della luce, rilevato dall’astronomo inglese James Bradley nel 1725: egli collegò gli sfasamenti osservati durante passaggi successivi della stella g Draconis nel campo del telescopio con il moto della Terra lungo la sua orbita e con il fatto che la velocità di propagazione della luce è finita. Si trattava di un effetto che tuttavia «copriva» ancora la misura della parallasse stellare, ritenuta, a ragione, la prova cruciale del moto di rivoluzione: bisognò attendere fino al 1838 quando il tedesco Wilhelm F. Bessel determinò in 0,30″ lo spostamento apparente della stella 61 Cygni, attribuendolo allo spostamento reale della Terra lungo la sua orbita. Il moto diurno del pianeta fu dimostrato ancora più tardi, nel 1851, quando il francese Leon Foucault mise in evidenza Io spostamento del piano di oscillazione di un grandioso pendolo sospeso alla cupola del Pantheon di Parigi: poiché il piano di oscillazione di un pendolo libero di muoversi non muta, l’astronomo concluse che la rotazione osservata era da attribuirsi in realtà a quella, in direzione opposta, della Terra intorno al proprio asse.
Luciano Benassi, Galilei. La leggenda del ‘martire della scienza moderna”, in
AA.VV. Processi alla Chiesa, Piemme, Casale M. 1994, p. 34
Presenterò il conflitto fra e la Chiesa come un conflitto di tradizioni e cercherò di mostrare che la tradizione rappresentata dalla Chiesa aveva predecessori importanti nell’antichità e ha sostenitori progressisti oggi. […]
Le tradizioni che ho in mente sono tradizioni che riguardano il ruolo degli esperti nella società. In alcuni miei precedenti lavori ho descritto due di queste tradizioni. Una considera gli esperti come l’autorità ultima per quel che concerne l’uso e l’interpretazione delle idee e delle procedure prodotte dagli esperti stessi, l’altra subordina i pronunciamenti degli esperti al giudizio di una corte superiore che può consistere o di superesperti – questa era la concezione di Platone – o di tutti i cittadini – questa sembra essere la soluzione raccomandata da Protagora. Il mio suggerimento è che il conflitto fra e la Chiesa fu analogo al conflitto fra quelle che ho descritto come la prima e la seconda concezione (o tradizione). era un esperto in un dominio particolare che comprendeva la matematica e l’astronomia. Nella classificazione del tempo era un matematico e un filosofo. Asseriva che le questioni astronomiche dovrebbero essere lasciate interamente agli astronomi. Solo quei pochi che meritano di esser separati dalla plebe” erano qualificati a comprendere il senso dei passi della Bibbia che trattano di questioni astronomiche, come scrisse nella sua lettera a Castelli del 14 dicembre 1613 [21 dicembre nell’edizione U.T.E.T, voI. 1, p. 527; (N d. T)] (Copernico prima di lui e Spinoza dopo di lui usarono un linguaggio simile; è un vecchio discorso, come mostra Hanns-Dieter Voitgländer, Der Philosoph und die Vielen, Wiesbaden 1980: è presente già nell’antichità). pretendeva come molti che le conoscenze degli astronomi venissero rese parte della conoscenza pubblica esattamente nella forma in cui erano sorte in astronomia. non rivendicava solo la libertà di pubblicare i suoi risultati, voleva imporli agli altri. Sotto questo aspetto era altrettanto dogmatico e totalitario di molti moderni profeti della scienza, e anche altrettanto disinformato. Dava semplicemente per scontato che metodi particolari e molto limitati usati dagli astronomi (e da quei fisici che li seguivano) costituissero il modo corretto di avere accesso alla Verità e alla Realtà. era un perfetto rappresentante di quella che ho chiamato la prima concezione o tradizione.
La posizione della Chiesa, d’altra parte, era molto vicina alla seconda concezione (nella versione platonica non in quella protagorea). La conoscenza astronomica, secondo la Chiesa, era significativa e interessante, e veniva perseguita attivamente da alcuni suoi membri Ma i modelli prodotti dagli astronomi per rendere conto, ad esempio, delle traiettorie dei pianeti, non avevano necessariamente una relazione diretta con la realtà. Nascevano da scopi particolari e limitati e tutto quello che si poteva dire, perciò, era che funzionavano bene per questi scopi, ossia per la predizione.
Esattamente questa tesi viene sostenuta nella prima parte di una celebre lettera che il Cardinale Bellarmino, maestro di contenzioso presso il Collegio Romano, scrisse a Paolo Antonio Foscarini, un monaco carmelitano di Napoli, che aveva indagato sulla realtà del sistema copernicano. La lettera viene citata spesso, e ancora più spesso viene criticata confrontando le asserzioni in essa contenute con certi principi astratti che si presume governino la pratica della scienza. Ma appare sotto una luce molto diversa quando viene confrontata con questa pratica stessa, come vedremo. Secondo me si tratta di un testo molto saggio e che contiene suggerimenti sensati riguardo alla posizione delle scienze nella nostra cultura.
Scrive Bellarmino:
Dico che mi pare che V.P. et il Sig.r facciano prudentemente a contentarsi di parlare ex suppositione e non assolutamente […] Perché il dire che supposto che la terra si muova et il sole stia fermo si salvano tutte 1 apparenze meglio che con porre gli eccentrici et epicicli, è benissimo detto, e non ha pericolo nessuno; e questo basta al mathematico: ma volere affermare che realmente il sole stia nel centro del mondo, e solo si rivolti in se stesso senza correre dall’oriente all’occidente, e che la terra stia sul 3° cielo e giri con somma velocità intorno al sole, è cosa pericolosa non solo d’irritare tutti i filosofi e theologi scolastici, ma anco di nuocere alla Santa Fede con rendere false le Scritture Sante.
Per usare termini moderni: gli astronomi si muovono su un terreno sicuro quando affermano che un modello presenta dei vantaggi dal punto di vista predittivo rispetto a un altro modello, ma si cacciano nei guai quando asseriscono che perciò il modello costituisce un’immagine fedele della realtà. O, più in generale: il fatto che un modello funzioni non mostra, in sé, che la realtà è strutturata come il modello. Questa idea sensata è un ingrediente elementare della pratica scientifica. […]
La Chiesa non solo usava la Bibbia come condizione al contorno della verità e della realtà, cercava anche di imporla mediante misure amministrative. Bellarmino è molto chiaro su questo punto:
Dico che, come Lei sa, il concilio proibisce esporre le Scritture contro il comune consenso de Santi Padri.
E’ qui che il lettore moderno, e soprattutto l’epistemologo liberale che è familiare con alcuni desiderata astratti ma non ha mai visto la scienza da vicino, probabilmente allargherà le braccia disperato. A suo modo di vedere la conoscenza non ha nulla a che fare con l’amministrazione e il suo cuore è tutto dalla parte del povero che dovette sopportare simili insensatezze. Ma non è affatto certo che un moderno avrebbe vita più facile. […]
Il nostro moderno scoprirà anche che le argomentazioni solo di rado sono sufficienti a fare accettare un’idea e a ottenere finanziamenti per essa. L’idea deve adattarsi all’ideologia dell’istituto che si suppone debba assorbirla e deve essere conforme al modo di condurre la ricerca all’interno di questo istituto. E non ci sono individui ai quali egli possa spiegare i suoi suggerimenti e che possa educare al suo modo di pensare, ci sono comitati anonimi, che sono spesso pieni di incompetenti che considerano la loro ignoranza come una misura delle cose. Come può una persona intelligente avere successo in circostanze simili? E’ molto difficile. cercò di combinare filosofia, astronomia, matematica e una varietà di materie la cui migliore classificazione è nell’ambito dell’ingegneria, in un nuovo singolo punto di vista che comportava anche un nuovo atteggiamento nei confronti delle Sacre Scritture. Gli venne detto di mantenersi nell’ambito della matematica. Un fisico o un chimico moderni che cercassero di riformare i sistemi di nutrizione e la medicina si troverebbero di fronte a restrizioni simili. Uno scienziato moderno che pubblica i suoi risultati su un quotidiano o concede interviste pubbliche prima di essersi sottoposto all’esame del comitato editoriale di una rivista professionale o di gruppi dotati di una autorità comparabile commette un peccato mortale, che lo trasforma per un lungo periodo in un reietto.
Si deve ammettere che il controllo non è così rigido come era ai tempi di , e non così universale; ma questo è il risultato di un atteggiamento meno rigido verso certi crimini (i ladri, ad esempio, non vengono più impiccati o mutilati) e non di un cambiamento di atteggiamento nei confronti della natura dei crimini stessi. Le restrizioni amministrative che pesano su uno scienziato moderno sono certamente confrontabili a quelle esistenti al tempo di . Ma mentre le vecchie restrizioni che emanavano dalla Chiesa si presentavano nella forma di regole esplicite, come le regole del Concilio di Trento, le restrizioni moderne sono spesso implicite, non completamente espresse in tutti i dettagli. Ci sono molti suggerimenti e molte insinuazioni, ma non c’è un codice esplicito che possa essere consultato e, magari, criticato e migliorato. Ancora una volta la procedura della Chiesa era più diretta, più onesta e certamente più razionale.
Adesso viene un punto molto importante: queste limitazioni dirette e razionali che venivano imposte alla ricerca non erano inamovibili. Questo è quello che Bellarmino dice con molta chiarezza nell’ultima parte della sua lettera:
Dico che quando ci fusse vera demonstratione che il sole stia nel centro del mondo e la terra nel 3° cielo, allhora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare Le Scritture che paiono contrarie, e più tosto dire che non l’intendiamo, che dire che sia falso quello che si dimostra.
La dottrina della Chiesa, dice qui Bellarmino, è una condizione al contorno per l’interpretazione dei risultati scientifici. Ma non è una condizione assoluta. La ricerca può cambiarla. Tuttavia, continua Bellarmino:
Ma io non crederò che ci sia tal demonstratione, fin che non mi sia mostrata; né è l’istesso dimostrare che supposto ch’il sole stia nel centro e la terra nel cielo, si salvino le apparenze, e dimostrare che in verità il sole stia nel centro e la terra nel cielo; perché la prima demonstratione credo che ci possa essere, ma della seconda ho grandissimo dubbio, et in caso di dubbio non si dee lasciare Le Scritture Sante, esposte de Santi Padri.
L’idea espressa nell’ultima frase è oggi accettata da tutti i presidi delle scuole superiori e persino da alcuni presidi universitari: mai introdurre una nuova base per l’istruzione finché non si è certi che sia almeno altrettanto buona di quella vecchia. E’ anche un’idea ragionevole. Ci consiglia di rendere l’istruzione di base indipendente dalle mode e dalle temporanee aberrazioni. L’istruzione non consiste solo di idee. Consiste di libri di testo, di abilità, di strumenti per le dimostrazioni, laboratori, film, diapositive, corsi per insegnanti, programmi per computer, problemi, esami, ecc. Se viene realizzata con giudizio può includere anche mode, aberrazioni e punti di vista alternativi e perciò illuminare il processo della ricerca scientifica; tuttavia, sarebbe molto poco saggio ristrutturarla da cima a fondo ogni volta che appare all’orizzonte un’idea nuova e fantasiosa. Per di più, non si s’aprebbe come procedere; esistono sempre molte mode, aberrazioni, idee audaci”, suggerimenti che sono in conflitto fra loro. La Chiesa tenne conto di questo. Esigeva forti argomenti prima di prendere in considerazione la possibilità di modificare una porzione importante della conoscenza.
Ma non può darsi che Bellarmino volesse prendere tempo? Che volesse resistere di fronte a un’evidenza empirica contraria e inequivoca? O, peggio ancora, che non fosse informato dell’evidenza che esisteva allora? Questa questione tecnica, sfortunatamente, è diventata la questione per molti di coloro che si sono occupati di questo episodio. Affronterò il problema ponendo una domanda diversa: quale sarebbe stato il giudizio degli scienziati e dei filosofi della scienza moderni se fossero stati trasferiti all’inizio del diciassettesimo secolo e fosse stata loro rivolta la domanda che fu rivolta a Bellarmino, cioè: qual è la tua opinione su Copernico?
La risposta è che persone diverse avrebbero detto cose diverse. La scienza, come qualunque altra impresa, conosce seguaci di una linea dura” e conosce anche individui più tolleranti. Vi sono scienziati che intravedono il successo di una teoria da piccoli segni, ve ne sono altri che esigono prove più sostanziali. Vi sono scienziati che si accontentano della semplicità e dell’armonia intellettuale, ve ne sono altri che vogliono un solido sostegno empirico. Vi sono scienziati che si spaventano delle incoerenze in una teoria o fra una teoria e gli esperimenti e ve ne sono altri che considerano queste incoerenze come qualcosa che si accompagna al progresso in modo naturale. Michelson e Rutherford non accettarono mai pienamente la relatività, Poincaré, Lorentz ed Ehrenfest cominciarono ad avere dei dubbi dopo gli esperimenti di Kaufmann, mentre Planck e Einstein, convinti dalla sua simmetria interna, erano più tenaci. Sommerfeld ebbe grande successo nel rendere la vecchia teoria dei quanti una teoria apparentemente insuperabile così come era stata la meccanica classica mentre Bohr, nonostante tutti questi successi, pensava che Sommerfeld fosse sulla strada sbagliata. Pauling si divertiva a confondere i suoi colleghi con congetture tratte da semplici modelli mentre i suoi colleghi preferivano analizzare i risultati intricati delle fotografie a raggi X.
Chi può sapere che cosa avrebbe detto ciascuno di loro se fosse stato riportato indietro nel tempo, dietro la scrivania di Bellarmino? […]
si rendeva conto del problema, perché mai, altrimenti, avrebbe dato tanto peso alla sua prova decisiva”, la teoria delle maree? Inoltre, gli elementi di meccanica che egli riuscì a elaborare nel corso della sua vita erano del tutto inadeguati a fornire una dinamica del sistema planetario nella descrizione che ne dava Copernico. Anche se potevano giustificare i circoli, rendevano del tutto insensati gli epicicli, che ancora erano necessari per ottenere predizioni corrette, ed erano inapplicabili alle leggi di Keplero che respingeva senza una ragione particolare. Una soluzione accettabile giunse in seguito, con Newton, e persino Newton dovette ricorrere all’intervento divino per tenere in ordine il sistema planetario. Inoltre, le idee di sulla relatività dei moti erano incoerenti. Qualche volta affermava la relatività di tutti i moti, in altre occasioni accettava l’impeto che assume un sistema di riferimento fisso. […] Einstein, con il suo disprezzo per la verifica di piccoli effetti” e con la sua misteriosa abilità di intuire futuri splendori nella confusione del presente avrebbe probabilmente preso le parti di Copernico, ma molti altri fisici avrebbero allargato le braccia disperati. Il giudizio di Bellarmino, dunque, costituisce un punto di vista del tutto accettabile. […]
Con ciò concludo la mia breve discussione della forma che due antiche tradizioni avevano assunto al tempo di . Le tradizioni riguardavano il ruolo della scienza nella società.
Secondo la prima tradizione, la società deve adattarsi alla conoscenza nella forma in cui questa viene presentata dagli scienziati. Questa tradizione venne difesa da .
Per la seconda tradizione, la conoscenza scientifica è troppo specializzata e connessa ad una visione del mondo troppo ristretta per essere assorbita dalla società così com’è. Deve essere esaminata, deve essere giudicata da un punto di vista più ampio che include i problemi umani e il flusso di valori che parte da essi, e le sue pretese di realtà devono essere modificate in modo da essere rese compatibili con questi valori. Per esempio: la sofferenza, i sentimenti di amicizia, la paura, la felicità, e il bisogno di salvezza, intesi in termini secolari o in termini trascendenti, giocano un ruolo importante nella vita degli uomini. Sono realtà di base. Dunque la pretesa da parte di alcuni fisici delle particelle elementari di aver trovato i costituenti ultimi di ogni cosa deve essere respinta e sostituita da una posizione più strumentalista”: le loro teorie non riguardano la realtà, riguardano la possibilità di fare predizioni in una realtà determinata indipendentemente dai loro sforzi. Al tempo di questa seconda tradizione era la tradizione difesa dalla Chiesa. […]
Il guaio è che la crescente competizione all’interno dell’establishment scientifico e la crescente attenzione che viene dedicata ai pronunciamenti degli scienziati, tendono a incoraggiare l’egocentrismo, la presunzione e il disprezzo per la gente – per la plebe”, come diceva – che non riesce a seguire le contorsioni di certe menti da Nobel. […] Ma la scienza fa parte di unità più ampie: fa parte di una città, di una regione, di intere nazioni. […] Una democrazia non può semplicemente chinare il capo di fronte alle asserzioni degli scienziati e dei filosofi, deve prendere in esame queste asserzioni, specialmente quando riguardano questioni fondamentali; per esempio, deve prendere in esame le pretese di oggettività”. In altre parole, deve addentrarsi in un’analisi filosofica delle pretese scientifiche proprio come deve addentrarsi in un’analisi finanziaria dei budget nazionali e locali. E addentrandosi in questa analisi dovrà affidarsi non solo alle verità oggettive, ma al modo in cui queste verità appaiono ai suoi membri cioè dovrà affidarsi ai giudizi soggettivi di questi membri. […]
Gli esseri umani hanno bisogno di un ambiente che sia abbastanza stabile e dia significato alle loro esistenze. La critica incessante che si presume caratterizzi la vita degli scienziati può essere parte di una vita soddisfacente, non può essere la sua base. (Certamente non può essere una base per l’amore o per l’amicizia). Dunque, gli scienziati possono contribuire alla cultura, ma non possono fornirle un fondamento; e, vincolati e accecati come sono dai loro pregiudizi esperti”, certamente non possono essere autorizzati a decidere, senza controllo da parte degli altri cittadini, quale fondamento i cittadini dovrebbero accettare.
Le Chiese hanno molte ragioni per sostenere un simile punto di vista e usarlo per criticare risultati scientifici particolari come anche il ruolo della scienza nella nostra cultura. Dovrebbero superare la loro cautela (o è paura?) e ridare vita all’equilibrata saggezza di Roberto Bellarmino, proprio come gli scienziati costantemente traggono forza dalle opinioni di Democrito, Platone, Aristotele e del loro presuntuoso Patrono San .
Paul Feyerabend, e la tirannia della verità, in
id., Addio alla ragione, Roma, Armando 1990, pp.246-259, passim