Torino di Gozzano
20 Agosto 2020Marziale e l’epigramma
20 Agosto 2020Alle soglie
I
Mio cuore, monello giocondo che ride pur anco nel pianto,
mio cuore, bambino che è tanto felice d’esistere al mondo,
pur chiuso nella tua nicchia, ti pare sentire di fuori
sovente qualcuno che picchia, che picchia…. Sono i dottori. 4
Mi picchiano in vario lor metro spiando non so quali segni,
m’auscultano con li ordegni il petto davanti e di dietro.
E senton chi sa quali tarli i vecchi saputi…. A che scopo?
Sorriderei quasi, se dopo non bisognasse pagarli…. 4
«Appena un lieve sussurro all’apice…. qui…. la clavicola….»
E con la matita ridicola disegnano un circolo azzurro.
«Nutrirsi…. non fare più versi… nessuna notte più insonne….
non più sigarette…. non donne…. tentare bei cieli più tersi: 12
Nervi…. Rapallo…. San Remo…. cacciare la malinconia;
e se permette faremo qualche radioscopia….»
II
O cuore non forse che avvisi solcarti, con grande paura,
la casa ben chiusa ed oscura, di gelidi raggi improvvisi? 16
Un fluido investe il torace, frugando il men peggio e il peggiore,
trascorre, e senza dolore disegna su sfondo di brace
e l’ossa e gli organi grami, al modo che un lampo nel fosco
disegna il profilo d’un bosco, coi minimi intrichi dei rami.20
E vedon chi sa quali tarli i vecchi saputi…. A che scopo?
Sorriderei quasi, se dopo non fosse mestieri pagarli.
III
Mio cuore, monello giocondo che ride pur anco nel pianto,
mio cuore, bambino che è tanto felice d’esistere al mondo, 24
mio cuore dubito forte – ma per te solo m’accora –
che venga quella Signora dall’uomo detta la Morte.
(Dall’uomo: chè l’acqua la pietra l’erba l’insetto l’aedo
le danno un nome, che, credo, esprima una cosa non tetra) 28
E’una Signora vestita di nulla e che non ha forma.
Protende su tutto le dita, e tutto che tocca trasforma.
Tu senti un benessere come un incubo senza dolori;
ti svegli mutato di fuori, nel volto nel pelo nel nome. 32
Ti svegli dagl’incubi innocui, diverso ti senti, lontano;
nè più ti ricordi i colloqui tenuti con guidogozzano.
Or taci nel petto corroso, mio cuore! Io resto al supplizio,
sereno come uno sposo e placido come un novizio. 36
da “I colloqui (1911)”