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di Luigi Gaudio
Occorre sviluppare la scuola del fare, al posto della scuola teorica e astratta. I dirigenti scolastici si affannano a sollecitare un approccio piu’ pratico alle discipline, cercano di sviluppare l’attivita’ laboratoriale, parlano di “learning by doing”, e di sviluppo delle competenze, accanto alle conoscenze, ma le loro parole rimangono spesso inascoltate. Attivita’ come quelle delle learning week in Regione Lombardia hanno invece dimostrato che e’ possibile un’altra scuola, accanto a quella che noi tutti abbiamo sperimentato, una scuola in cui gli alunni non sono piu’ relegati nei banchi, ma hanno degli spazi diversi da conoscere e di cui appropriarsi. Spesso proprio i ragazzi che risultano piu’ insofferenti nelle aule scolastiche, alle prese, invece, con una attivita’ pratica si appassionano e rivelano capacita’ altrimenti sopite.
Purtroppo lo scollamento tra la scuola e il mondo del lavoro e’ un’evidenza nota a tutti. Il divario e’ andato crescendo, man mano che venivano penalizzati, o ritenuti poco allettanti, corsi di studio che hanno come peculiarita’ un approccio piu’ pratico. La liceizzazione a tutti i costi ha portato con se’ conseguenze negative, sul piano occupazionale e sul piano della mancanza di motivazioni. Chi esce dal mondo della scuola non ha tutti gli strumenti, ma questo, tutto sommato, non e’ il vero problema, perche’ la scuola non ha mai avuto la pretesa di essere esaustiva in se’. Il dramma e’ che, oggi come oggi, chi esce dalla scuola non ha neanche la impostazione mentale per acquisire nuovi strumenti, non ha la voglia, e il desiderio di imparare ancora, condizione indispensabile per l’esperienza lavorativa.
Qualsiasi iniziativa che accosti nuovamente il mondo della scuola con quello del lavoro e’ da valorizzare, incentivare, e ampliare il piu’ possibile. Occorre soprattutto creare sinergie, abbattere le diffidenze reciproche, perche’ dovrebbero finire i tempi della scuola come “mondo a parte”, isola staccata dal mondo che la circonda. La legge sull’autonomia scolastica, e il regolamento attuativo, hanno ribadito con forza la necessita’ dei legami con il territorio. Allora, invece di dire, retoricamente, che solo nella scuola si puo’ assolvere all’obbligo di formazione, perche’ non ci si avvicina all’azienda, che non e’ un lupo che tutto vuole divorare , ma che ha anzi una ricchezza da proporre anche a livello formativo (il lavoro educa, spesso, da solo, chi non e’ stato educato dai professionisti dell’educazione)? Vale allora la penna di sperimentare sempre di piu’ percorsi di alternanza scuola-lavoro, apprendistato formativo con l’ausilio del personale scolastico, stage e settimane di esperienze in azienda, come nel caso di alcune learning week.
Per motivare gli studenti a un apprendimento utile a sé e agli altri, per corrispondere alle aspettative del mondo del lavoro ed inserirsi nel contempo in modo efficace nel processo di trasformazione in atto in Europa e in Italia, il territorio esige proposte innovative per quanto riguarda l’offerta di istruzione e di formazione.
Qui arriviamo ad un nodo cruciale, ad un bivio importante: nella formazione degli alunni privilegiare l’innovazione o la conservazione, la volonta’ di sperimentare nuovi percorsi, o la riproposizione di strade gia’ intraprese? E’ qui che sta l’importanza del rapporto con il territorio, altrimenti si rischia ancora di fare una scuola fine a se stessa, magari anche ricca di valori importanti, ma poco in linea con quanto sta maturando nella societa’ che la circonda. Questo implica, pero’, investimenti, che non sono solo di carattere economico, ma anche personali, quindi aggiornamento, attenzione alla realta’ in mutamento, sperimentazione didattica, ecc…