INGLESE
27 Gennaio 2019UNA SCUOLA, TANTI INDIRIZZI
27 Gennaio 2019Torquato Tasso
ATTO QUINTO
Elpino, Coro
[ELPINO] Veramente la legge con che Amore
il suo imperio governa eternamente
non è dura, né obliqua; e l’opre sue,
piene di providenza e di mistero,
5 altri a torto condanna. Oh con quant’arte,
e per che ignote strade egli conduce
l’uom ad esser beato, e fra le gioie
del suo amoroso paradiso il pone,
quando ei più crede al fondo esser de’ mali!
10 Ecco, precipitando, Aminta ascende
al colmo, al sommo d’ogni contentezza.
Oh fortunato Aminta, oh te felice
tanto più, quanto misero più fosti!
Or co ‘l tuo essempio a me lice sperare,
15 quando che sia, che quella bella ed empia,
che sotto il riso di pietà ricopre
il mortal ferro di sua feritate,
sani le piaghe mie con pietà vera,
che con finta pietate al cor mi fece.
20 [CORO] Quel che qui viene è il saggio Elpino, e parla
così d’Aminta come vivo ei fosse,
chiamandolo felice e fortunato:
dura condizione degli amanti!
Forse egli stima fortunato amante
25 chi muore, e morto al fin pietà ritrova
nel cor de la sua ninfa; e questo chiama
paradiso d’Amore, e questo spera.
Di che lieve mercé l’alato Dio
i suoi servi contenta! Elpin, tu dunque
30 in sì misero stato sei, che chiami
fortunata la morte miserabile
de l’infelice Aminta? e un simil fine
sortir vorresti? [ELPINO] Amici, state allegri,
che falso è quel romor che a voi pervenne
35 de la sua morte.
[CORO] Oh che ci narri, e quanto
ci racconsoli! E non è dunque il vero
che si precipitasse? [ELPINO] Anzi è pur vero,
ma fu felice il precipizio, e sotto
40 una dolente imagine di morte
gli recò vita e gioia. Egli or si giace
nel seno accolto de l’amata ninfa,
quanto spietata già, tanto or pietosa;
e le rasciuga da’ begli occhi il pianto
45 con la sua bocca. Io a trovar ne vado
Montano, di lei padre, ed a condurlo
colà dov’essi stanno; e solo il suo
volere è quel che manca, e che prolunga
il concorde voler d’ambidue loro.
50 [CORO] Pari è l’età, la gentilezza è pari,
e concorde il desio; e ‘l buon Montano
vago è d’aver nipoti e di munire
di sì dolce presidio la vecchiaia,
sì che farà del lor volere il suo.
55 Ma tu, deh, Elpin, narra qual dio, qual sorte
nel periglioso precipizio Aminta
abbia salvato. [ELPINO] Io son contento: udite,
udite quel che con quest’occhi ho visto.
Io era anzi il mio speco, che si giace
60 presso la valle, e quasi a piè del colle,
dove la costa face di sé grembo;
quivi con Tirsi ragionando andava
pur di colei che ne l’istessa rete
lui prima, e me dapoi, ravvolse e strinse,
65 e proponendo a la sua fuga, al suo
libero stato, il mio dolce servigio,
quando ci trasse gli occhi ad alto un grido:
e ‘l veder rovinar un uom dal sommo,
e ‘l vederlo cader sovra una macchia,
70 fu tutto un punto. Sporgea fuor del colle,
poco di sopra a noi, d’erbe e di spini
e d’altri rami strettamente giunti
e quasi in un tessuti, un fascio grande.
Quivi, prima che urtasse in altro luogo,
75 a cader venne; e bench’egli co ‘l peso
lo sfondasse, e più in giuso indi cadesse,
quasi su’ nostri piedi, quel ritegno
tanto d’impeto tolse a la caduta,
ch’ella non fu mortal; fu nondimeno
80 grave così, ch’ei giacque un’ora e piue
stordito affatto e di se stesso fuori.
Noi muti di pietate e di stupore
restammo a lo spettacolo improviso,
riconoscendo lui; ma conoscendo
85 ch’egli morto non era, e che non era
per morir forse, mitighiam l’affanno.
Allor Tirsi mi diè notizia intiera
de’ suoi secreti ed angosciosi amori.
Ma, mentre procuriam di ravvivarlo
90 con diversi argomenti, avendo in tanto
già mandato a chiamar Alfesibeo,
a cui Febo insegnò la medica arte,
allor che diede a me la cetra e ‘l plettro,
sopragiunsero insieme Dafne e Silvia,
95 che, come intesi poi, givan cercando
quel corpo che credean di vita privo.
Ma, come Silvia il riconobbe, e vide
le belle guancie tenere d’Aminta
iscolorite in sì leggiadri modi,
100 che viola non è che impallidisca
sì dolcemente, e lui languir sì fatto
che parea già negli ultimi sospiri
essalar l’alma, in guisa di baccante
gridando e percotendosi il bel petto,
105 lasciò cadersi in su ‘l giacente corpo,
e giunse viso a viso e bocca a bocca.
[CORO] Or non ritenne adunque la vergogna
lei, ch’è tanto severa e schiva tanto?
[ELPINO] La vergogna ritien debile amore:
110 ma debil freno è di potente amore.
Poi, sì come ne gli occhi avesse un fonte,
inaffiar cominciò co ‘l pianto suo
il colui freddo viso, e fu quell’acqua
di cotanta virtù, ch’egli rivenne;
115 e gli occhi aprendo, un doloroso “ohimè”
spinse dal petto interno;
ma quell'”ohimè”, ch’amaro
così dal cor partissi,
s’incontrò ne lo spirto
120 de la sua cara Silvia, e fu raccolto
da la soave bocca, e tutto quivi
subito raddolcissi.
Or chi potrebbe dir come in quel punto
rimanessero entrambi, fatto certo
125 ciascun de l’altrui vita, e fatto certo
Aminta de l’amor de la sua ninfa,
e vistosi con lei congiunto e stretto?
Chi è servo d’Amor, per sé lo stimi.
Ma non si può stimar, non che ridire.
130 [CORO] Aminta è sano sì, ch’egli sia fuori
del rischio de la vita? [ELPINO] Aminta è sano,
se non ch’alquanto pur graffiat’ha ‘l viso,
ed alquanto dirotta la persona;
ma sarà nulla, ed ei per nulla il tiene.
135 Felice lui, che sì gran segno ha dato
d’amore, e de l’amor il dolce or gusta,
a cui gli affanni scorsi ed i perigli
fanno soave e dolce condimento;
ma restate con Dio, ch’io vo’ seguire
140 il mio viaggio, e ritrovar Montano.
[CORO] Non so se il molto amaro,
che provato ha costui servendo, amando,
piangendo e disperando,
raddolcito puot’esser pienamente
145 d’alcun dolce presente;
ma, se più caro viene
e più si gusta dopo ‘l male il bene,
io non ti cheggio, Amore,
questa beatitudine maggiore;
150 bea pur gli altri in tal guisa:
me la mia ninfa accoglia
dopo brevi preghiere e servir breve;
e siano i condimenti
de le nostre dolcezze
155 non sì gravi tormenti,
ma soavi disdegni
e soavi ripulse,
risse e guerre a cui segua,
reintegrando i cori, o pace o tregua.
EPILOGO. AMOR FUGGITIVO
[VENERE] Scesa dal terzo cielo,
io che sono di lui regina e dea,
cerco il mio figlio fuggitivo Amore.
Quest’ier mentre sedea
5 nel mio grembo scherzando,
o fosse elezion o fosse errore,
con un suo strale aurato
mi punse il manco lato,
e poi fuggì da me ratto volando
10 per non esser punito;
né so dove sia gito.
Io che madre pur sono,
e son tenera e molle,
volta l’ira in pietate,
15 usat’ho poi per ritrovarlo ogn’arte.
Cerc’ho tutto il mio cielo in parte in parte,
e la sfera di Marte, e l’altre rote
e correnti ed immote;
né lá suso ne’ cieli
20 è luogo alcuno ov’ei s’asconda o celi.
Tal ch’ora tra voi discendo,
mansueti mortali,
dove so che sovente e’ fa soggiorno,
per aver da voi nova
25 se ‘l fuggitivo mio qua giù si trova.
Né già trovarlo spero
tra voi, donne leggiadre,
perché, se ben d’intorno
al volto ed a le chiome
30 spesso vi scherza e vola,
e se ben spesso fiede
le porte di pietate
ed albergo vi chiede,
non è alcuna di voi che nel suo petto
35 dar li voglia ricetto,
ove sol feritate e sdegno siede.
Ma ben trovarlo spero
ne gli uomini cortesi,
de’ qual nessun si sdegna
40 d’averlo in sua magione;
ed a voi mi rivolgo, amica schiera.
Ditemi, ov’è il mio figlio?
Chi di voi me l’insegna,
vo’ che per guiderdone
45 da queste labbra prenda
un bacio quanto posso
condirlo più soave;
ma chi me ‘l riconduce
dal volontario esiglio,.
50 altro premio n’attenda,
di cui non può maggiore
darli, la mia potenza,
se ben in don li desse
tutto ‘l regno d’Amore;
55 e per lo Stige io giuro
che ferme servarò l’alte promesse.
Ditemi, ov’è il mio figlio?
Ma non risponde alcun: ciascun si tace.
Non l’avete veduto?
60 Forse ch’egli tra voi
dimora sconosciuto,
e dagli omeri suoi
spiccato aver de’ l’ali
e deposto gli strali,
65 e la faretra ancor depost’e l’arco,
onde sempre va carco,
e gli altri arnesi alteri e trionfali.
Ma vi darò tai segni
che conoscer ai segni
70 facilmente il potrete,
ancor che di celarsi a voi s’ingegni.
Egli, ben che sia vecchio
e d’astuzia e d’etate,
picciolo è sì, ch’ancor fanciuilo sembra
75 al viso ed a le membra,
e ‘n guisa di fanciullo
sempre instabil si move,
né par che luogo trove in cui s’appaghi,
ed ha giuoco e trastullo
80 di puerili scherzi;
ma il suo scherzar è pieno
di periglio e di danno.
Facilmente s’adira,
facilmente si placa; e nel suo viso
85 vedi quasi in un punto
e le lagrime e ‘l riso.
Crespe ha le chiome e d’oro,
e ‘n quella guisa appunto
che Fortuna si pinge,
90 ha lunghi e folti in su la fronte i crini,
ma nuda ha poi la testa
a gli opposti confini.
Il color del suo volto
più che fuoco è vivace;
95 ne la fronte dimostra
una lascivia audace;
gli occhi infiammati e pieni
d’un ingannevol riso
volge sovente in biechi; e pur sott’occhio
100 quasi di furto mira,
né mai con dritto guardo i lumi gira.
Con lingua che dal latte
par che si discompagni,
dolcemente favella, ed i suoi detti
105 forma tronchi e imperfetti;
di lusinghe e di vezzi
è pieno il suo parlare,
e son le voci sue sottili e chiare.
Ha sempre in bocca il ghigno,
110 e gl’inganni e la frode
sotto quel ghigno asconde,
come tra fronde e fior angue maligno.
Questi da prima altrui
tutto cortese e umìle
115 a i sembianti ed al volto,
qual povero peregrin albergo chiede
per grazia e per mercede;
ma poi che dentro è accolto,
a poco a poco insuperbisce, e fassi
120 oltra modo insolente;
egli sol vuol le chiavi
tener de l’altrui core,
egli scacciarne fuore
gli antichi albergatori, e ‘n quella vece
125 ricever nova gente;
ei far la ragion serva
e dar legge a la mente:
cosi divien tiranno
d’ospite mansueto,
130 e persegue ed ancide
chi li s’oppone e chi li fa divieto.
Or ch’io v’ho dato i segni
e degli atti e del viso
e de’ costumi suoi,
135 s’egli è pur qui fra voi
datemi, prego, del mio figlio aviso.
Ma voi non rispondete?
Forse tenerlo ascoso a me volete?
Volete, ah folli, ah sciocchi,
140 tenere ascoso Amore?
Ma tosto uscirà fuore
da la lingua e da gli occhi
per mille, indîci aperti:
tal, io vi rendo certi,
145 ch’averrà quello a voi, ch’avvenir suole
a colui che nel seno
crede nasconder l’angue,
che co’ gridi e co ‘l sangue al fin lo scuopre.
Ma poi che qui no ‘l trovo,
150 prima ch’al ciel ritorni
andrò cercando in terra altri soggiorni.
FINE