INGLESE
27 Gennaio 2019UNA SCUOLA, TANTI INDIRIZZI
27 Gennaio 2019Torquato Tasso
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Satiro solo
[SATIRO] Picciola è l’ape, e fa col picciol morso
pur gravi e pur moleste le ferite;
ma qual cosa è più picciola d’Amore,
se in ogni breve spazio entra, e s’asconde
5 in ogni breve spazio? or sotto a l’ombra
de le palpebre, or tra’ minuti rivi
d’un biondo crine, or dentro le pozzette
che forma un dolce riso in bella guancia;
e pur fa tanto grandi e sì mortali
10 e così immedicabili le piaghe.
Ohimè, che tutte piaga e tutte sangue
son le viscere mie; e mille spiedi
ha ne gli occhi di Silvia il crudo Amore.
Crudel Amor, Silvia crudele ed empia
15 più che le selve! Oh come a te confassi
tal nome, e quanto vide chi te ‘l pose!
Celan le selve angui, leoni ed orsi,
dentro il lor verde: e tu dentro al bel petto
nascondi odio, disdegno ed impietate,
20 fere peggior ch’angui, leoni ed orsi
ché si placano quei, questi placarsi
non possono per prego né per dono.
Ohimè, quando ti porto i fior novelli,
tu li ricusi, ritrosetta, forse
25 perché fior via più belli hai nel bel volto.
Ohimè, quando io ti porgo i vaghi pomi,
tu li rifiuti, disdegnosa, forse
perché pomi più vaghi hai nel bel seno.
Lasso, quand’io t’offrisco il dolce mele,
30 tu lo disprezzi, dispettosa, forse
perché mel via più dolce hai ne le labra.
Ma, se mia povertà non può donarti
cosa ch’in te non sia più bella e dolce,
me medesmo ti dono. Or perché iniqua
35 scherni e abborri il dono? non son io
da disprezzar, se ben me stesso vidi
nel liquido del mar, quando l’altr’ieri
taceano i venti ed ei giacea senz’onda.
Questa mia faccia di color sanguigno,
40 queste mie spalle larghe, e queste braccia
torose e nerborute, e questo petto
setoso, e queste mie velate coscie
son di virilità, di robustezza
indicio; e, se no ‘l credi, fanne prova.
45 Che vuoi tu far di questi tenerelli,
che di molle lanugine fiorite
hanno a pena le guancie? e che con arte
dispongono i capelli in ordinanza?
Femine nel sembiante e ne le forze
50 sono costoro. Or di’ ch’alcun ti segua
per le selve e pei monti, e ‘ncontra gli orsi
ed incontra i cinghiai per te combatta.
Non sono io brutto, no, né tu mi sprezzi
perché sì fatto io sia, ma solamente
55 perché povero sono. Ahi, ché le ville
seguon l’essempio de le gran cittadi!
e veramente il secol d’oro è questo,
poiché sol vince l’oro e regna l’oro.
O chiunque tu fosti, che insegnasti
60 primo a vender l’amor, sia maledetto
il tuo cener sepolto e l’ossa fredde,
e non si trovi mai pastore o ninfa
che lor dica passando: “Abbiate pace”;
ma le bagni la pioggia e mova il vento,
65 e con piè immondo la greggia il calpesti
e ‘l peregrin. Tu prima svergognasti
la nobiltà d’amor; tu le sue liete
dolcezze inamaristi. Amor venale,
amor servo de l’oro è il maggior mostro
70 ed il più abominabile e il più sozzo,
che produca la terra o ‘l mar fra l’onde.
Ma perché in van mi lagno? Usa ciascuno
quell’armi che gli ha date la natura
per sua salute: il cervo adopra il corso,
75 il leone gli artigli, ed il bavoso
cinghiale il dente; e son potenza ed armi
de la donna bellezza e leggiadria;
io, perché non per mia salute adopro
la violenza, se mi fe’ natura
80 atto a far violenza ed a rapire?
Sforzerò, rapirò quel che costei
mi niega, ingrata, in merto de l’amore;
che, per quanto un caprar testé mi ha detto,
ch’osservato ha suo stile, ella ha per uso
85 d’andar sovente a rinfrescarsi a un fonte;
e mostrato m’ha il loco. Ivi io disegno
tra i cespugli appiattarmi e tra gli arbusti,
ed aspettar fin che vi venga; e, come
veggia l’occasion, correrle addosso.
90 Qual contrasto col corso o con le braccia
potrà fare una tenera fanciulla
contra me sì veloce e sì possente?
Pianga e sospiri pure, usi ogni sforzo
di pietà , di bellezza: che, s’io posso
95 questa mano ravvoglierle nel crine,
indi non partirà, ch’io pria non tinga
l’armi mie per vendetta nel suo sangue.
SCENA SECONDA
Dafne, Tirsi
[DAFNE] Tirsi, com’io t’ho detto, io m’era accorta
ch’Aminta amava Silvia; e Dio sa quanti
buoni officii n’ho fatti, e son per farli
tanto più volontier, quant’or vi aggiungi
5 le tue preghiere; ma torrei più tosto
a domar un giuvenco, un orso, un tigre,
che a domar una semplice fanciulla:
fanciulla tanto sciocca quanto bella,
che non s’avveggia ancor come sian calde
10 l’armi di sua bellezza e come acute,
ma ridendo e piangendo uccida altrui,
e l’uccida e non sappia di ferire.
[TIRSI] Ma quale è così semplice fanciulla
che, uscita da le fascie, non apprenda
15 l’arte del parer bella e del piacere,
de l’uccider piacendo, e del sapere
qual arme fera, e qual dia morte, e quale
sani e ritorni in vita? [DAFNE] Chi è ‘l mastro
di cotant’arte? [TIRSI] Tu fingi, e mi tenti:
20 quel che insegna agli augelli il canto e ‘l volo,
a’ pesci il nuoto ed a’ montoni il cozzo,
al toro usar il corno, ed al pavone
spiegar la pompa de l’occhiute piume.
[DAFNE] Come ha nome ‘l gran mastro? [TIRSI] Dafne ha nome.
25 [DAFNE] Lingua bugiarda! [TIRSI] E perché? tu non sei
atta a tener mille fanciulle a scola?
Benché, per dir il ver, non han bisogno
di maestro: maestra è la natura,
ma la madre e la balia anco v’han parte.
30 [DAFNE] In somma, tu sei goffo insieme e tristo.
Ora, per dirti il ver, non mi risolvo
se Silvia è semplicetta come pare
a le parole, a gli atti. Ier vidi un segno
che me ne mette in dubbio. Io la trovai
35 là presso la cittade in quei gran prati
ove fra stagni giace un’isoletta,
sovra essa un lago limpido e tranquillo,
tutta pendente in atto che parea
vagheggiar se medesma, e ‘nsieme insieme
40 chieder consiglio a l’acque in qual maniera
dispor dovesse in su la fronte i crini,
e sovra i crini il velo, e sovra ‘l velo
i fior che tenea in grembo; e spesso spesso
or prendeva un lingustro, or una rosa,
45 e l’accostava al bel candido collo,
a le guancie vermiglie, e de’ colori
fea paragone; e poi, sì come lieta
de la vittoria, lampeggiava un riso
che parea che dicesse: “Io pur vi vinco,
50 né porto voi per ornamento mio,
ma porto voi sol per vergogna vostra,
perché si veggia quanto mi cedete”.
Ma, mentre ella s’ornava e vagheggiava,
rivolse gli occhi a caso, e si fu accorta
55 ch’io di lei m’era accorta, e vergognando
rizzossi tosto, e fior lasciò cadere.
In tanto io più ridea del suo rossore,
ella più s’arrossia del riso mio.
Ma, perché accolta una parte de’ crini
60 e l’altra aveva sparsa, una o due volte
con gli occhi al fonte consiglier ricorse,
e si mirò quasi di furto, pure
temendo ch’io nel suo guatar guatassi;
ed incolta si vide, e si compiacque
65 perché bella si vide ancor che incolta.
Io me n’avvidi, e tacqui. [TIRSI] Tu mi narri
quel ch’io credeva a punto. Or non m’apposi?
[DAFNE] Ben t’apponesti; ma pur odo dire
che non erano pria le pastorelle,
70 né le ninfe sì accorte; né io tale
fui in mia fanciullezza. Il mondo invecchia,
e invecchiando intristisce. [TIRSI] Forse allora
non usavan sì spesso i cittadini
ne le selve e ne i campi, né sì spesso
75 le nostre forosette aveano in uso
d’andare a la cittade. Or son mischiate
schiatte e costumi. Ma lasciam da parte
questi discorsi; or non farai ch’un giorno
Silvia contenta sia che le ragioni
80 Aminta, o solo, o almeno in tua presenza?
[DAFNE] Non so. Silvia è ritrosa fuor di modo.
[TIRSI] E costui rispettoso è fuor di modo.
[DAFNE] E’ spacciato un amante rispettoso:
consiglial pur che faccia altro mestiero,
85 poich’egli è tal. Chi imparar vuol d’amare,
disimpari il rispetto: osi, domandi,
solleciti, importuni, al fine involi;
e se questo non basta, anco rapisca.
Or non sai tu com’è fatta la donna?
90 Fugge, e fuggendo vuol che altri la giunga;
niega, e negando vuol ch’altri si toglia;
pugna, e pugnando vuol ch’altri la vinca.
Ve’, Tirsi, io parlo teco in confidenza:
non ridir ch’io ciò dica. E sovra tutto
95 non porlo in rime. Tu sai s’io s’aprei
renderti poi per versi altro che versi.
[TIRSI] Non hai cagion di sospettar ch’io dica
cosa giamai che sia contra tuo grado.
Ma ti prego, o mia Dafne, per la dolce
100 memoria di tua fresca giovanezza,
che tu m’aiti ad aitar Aminta
miserel, che si muore. [DAFNE] Oh che gentile
scongiuro ha ritrovato questo sciocco
di rammentarmi la mia giovanezza,
105 il ben passato e la presente noia!
Ma che vuoi tu ch’io faccia? [TIRSI] A te non manca
né saper, né consiglio. Basta sol che
ti disponga a voler. [DAFNE] Or su, dirotti:
debbiamo in breve andare Silvia ed io
110 al fonte che s’appella di Diana,
là dove a le dolci acque fa dolce ombra
quel platano ch’invita al fresco seggio
le ninfe cacciatrici. Ivi so certo
che tufferà le belle membra ignude.
115 [TIRSI] Ma che però? [DAFNE] Ma che però? Da poco
intenditor! s’hai senno, tanto basti.
[TIRSI] Intendo; ma non so s’egli avrà tanto
d’ardir. [DAFNE] S’ei non l’avrà, stiasi, ed aspetti
ch’altri lui cerchi. [TIRSI] Egli è ben tal che ‘l merta.
120 [DAFNE] Ma non vogliamo noi parlar alquanto
di te medesmo? Or su, Tirsi, non vuoi
tu inamorarti? sei giovane ancora,
né passi di quattr’anni il quinto lustro,
se ben sovviemmi quando eri fanciullo;
125 vuoi viver neghittoso e senza gioia?
ché sol amando uom sa che sia diletto.
[TIRSI] I diletti di Venere non lascia
l’uom che schiva l’amor, ma coglie e gusta
le dolcezze d’amor senza l’amaro.
130 [DAFNE] Insipido è quel dolce che condito
non è di qualche amaro, e tosto sazia.
[TIRSI] E’ meglio saziarsi, ch’esser sempre
famelico nel cibo e dopo ‘l cibo.
[DAFNE] Ma non, se ‘l cibo si possede e piace,
135 e gustato a gustar sempre n’invoglia.
[TIRSI] Ma chi possede sì quel che gli piace
che l’abbia sempre presso a la sua fame?
[DAFNE] Ma chi ritrova il ben, s’egli no ‘l cerca?
[TIRSI] Periglioso è cercar quel che trovato
140 trastulla sì, ma più tormenta assai
non ritrovato. Allor vedrassi amante
Tirsi mai più, ch’Amor nel seggio suo
non avrà più né pianti né sospiri.
A bastanza ho già pianto e sospirato.
145 Faccia altri la sua parte. [DAFNE] Ma non hai
già goduto a bastanza. [TIRSI] Né desio
goder, se così caro egli si compra.
[DAFNE] Sarà forza l’amar, se non fia voglia.
[TIRSI] Ma non si può sforzar chi sta lontano.
150 [DAFNE] Ma chi l’ung’è d’Amor? [TIRSI] Chi teme e fugge.
[DAFNE] E che giova fuggir da lui, c’ha l’ali?
[TIRSI] Amor nascente ha corte l’ali: a pena
può su tenerle, e non le spiega a volo.
[DAFNE] Pur non s’accorge l’uom quand’egli nasce;
155 e, quando uom se n’accorge, è grande, e vola.
[TIRSI] Non, s’altra volta nascer non l’ha visto.
[DAFNE] Vedrem, Tirsi, s’avrai la fuga e gli occhi
come tu dici. Io ti protesto, poi
che fai del corridore e del cerviero,
160 che, quando ti vedrò chieder aita,
non moverei, per aiutarti, un passo,
un dito, un detto, una palpebra sola.
[TIRSI] Crudel, daratti il cor vedermi morto?
Se vuoi pur ch’ami, ama tu me: facciamo
165 l’amor d’accordo. [DAFNE] Tu mi scherni, e forse
non merti amante così fatta: ahi quanti
n’inganna il viso colorito e liscio!
[TIRSI] Non burlo io, no; ma tu con tal protesto
non accetti il mio amor, pur come è l’uso
170 di tutte quante; ma, se non mi vuoi,
viverò senza amor. [DAFNE] Contento vivi
più che mai fossi, o Tirsi, in ozio vivi:
ché ne l’ozio l’amor sempre germoglia.
[TIRSI] O Dafne, a me quest’ozii ha fatto Dio:
175 colui che Dio qui può stimarsi; a cui
si pascon gli ampi armenti e l’ampie greggie
da l’uno a l’altro mare, e per li lieti
colti di fecondissime campagne,
e per gli alpestri dossi d’Apennino.
180 Egli mi disse, allor che suo mi fece:
“Tirsi, altri scacci i lupi e i ladri, e guardi
i miei murati ovili; altri comparta
le pene e i premii a’ miei ministri; ed altri
pasca e curi le greggi; altri conservi
185 le lane e ‘l latte, ed altri le dispensi:
tu canta, or che se’ ‘n ozio”. Ond’è ben giusto
che non gli scherzi di terreno amore,
ma canti gli avi del mio vivo e vero
non so s’io lui mi chiami Apollo o Giove,
190 ché ne l’opre e nel volto ambi somiglia,
gli avi più degni di Saturno o Celo:
agreste Musa a regal merto; e pure,
chiara o roca che suoni, ei non la sprezza.
Non canto lui, però che lui non posso
195 degnamente onorar, se non tacendo
e riverendo; ma non fian giamai
gli altari suoi senza i miei fiori, e senza
soave fumo d’odorati incensi:
ed allor questa semplice e devota
200 religion mi si torrà dal core,
che d’aria pasceransi in aria i cervi,
e che, mutando i fiumi e letto e corso,
il Perso bea la Sona, il Gallo il Tigre.
[DAFNE] Oh, tu vai alto; or su, discendi un poco
205 al proposito nostro. [TIRSI] Il punto è questo:
che tu, in andando al fonte con colei,
cerchi d’intenerirla: ed io fra tanto
procurerò ch’Aminta là ne venga.
Né la mia forse men difficil cura
210 sarà di questa tua. Or vanne. [DAFNE] Io vado,
ma il proposito nostro altro intendeva.
[TIRSI] Se ben ravviso di lontan la faccia,
Aminta è quel che di là spunta. E’ desso.
SCENA TERZA
Aminta, Tirsi
[AMINTA] Vorrò veder ciò che Tirsi avrà fatto:
e, s’avrà fatto nulla,
prima ch’io vada in nulla,
uccider vo’ me stesso inanzi a gli occhi
5 de la crudel fanciulla.
A lei, cui tanto piace
la piaga del mio core,
colpo de’ suoi begli occhi,
altrettanto piacer devrà per certo
10 la piaga del mio petto,
colpo de la mia mano.
[TIRSI] Nove, Aminta, t’annuncio di conforto:
lascia omai questo tanto lamentarti.
[AMINTA] Ohimè, che di’? che porte?
15 O la vita o la morte?
[TIRSI] Porto salute e vita, s’ardirai
di farti loro incontra; ma fa d’uopo
d’esser un uom, Aminta, un uom ardito.
[AMINTA] Qual ardir mi bisogna, e ‘ncontra a cui?
20 [TIRSI] Se la tua donna fosse in mezz’un bosco,
che, cinto intorno d’altissime rupi,
desse albergo a le tigri ed a’ leoni,
v’andresti tu? [AMINTA] V’andrei sicuro e baldo
più che di festa villanella al ballo.
25 [TIRSI] E s’ella fosse tra ladroni ed armi,
v’andresti tu? [AMINTA] V’andrei più lieto e pronto
che l’assetato cervo a la fontana.
[TIRSI] Bisogna a maggior prova ardir più grande.
[AMINTA] Andrò per mezzo i rapidi torrenti,
30 quando la neve si discioglie e gonfi
li manda al mare; andrò per mezzo ‘l foco
e ne l’inferno, quando ella vi sia,
s’esser può inferno ov’è cosa sì bella.
Orsù, scuoprimi il tutto. [TIRSI] Odi. [AMINTA] Di’ tosto.
35 [TIRSI] Silvia t’attende a un fonte, ignuda e sola.
Ardirai tu d’andarvi? [AMINTA] Oh, che mi dici?
Silvia m’attende ignuda e sola? [TIRSI] Sola,
se non quanto v’è Dafne, ch’è per noi.
[AMINTA] Ignuda ella m’aspetta? [TIRSI] Ignuda: ma…
40 [AMINTA] Ohimè, che “ma”? Tu taci; tu m’uccidi.
[TIRSI] Ma non sa già che tu v’abbi d’andare.
[AMINTA] Dura conclusion, che tutte attosca
le dolcezze passate. Or, con qual arte,
crudel, tu mi tormenti?
45 Poco dunque ti pare
che infelice io sia,
che a crescer vieni la miseria mia?
[TIRSI] S’a mio senno farai, sarai felice.
[AMINTA] E che consigli? [TIRSI] Che tu prenda quello
50 che la fortuna amica t’appresenta.
[AMINTA] Tolga Dio che mai faccia
cosa che le dispiaccia;
cosa io non feci mai che le spiacesse,
fuor che l’amarla: e questo a me fu forza,
55 forza di sua bellezza, e non mia colpa.
Non sarà dunque ver ch’in quanto io posso,
non cerchi compiacerla. [TIRSI] Ormai rispondi:
se fosse in tuo poter di non amarla,
lasciaresti d’amarla, per piacerle?
60 [AMINTA] Né questo mi consente Amor ch’io dica,
né ch’imagini pur d’aver già mai
a lasciar il suo amor, bench’io potessi.
[TIRSI] Dunque tu l’ameresti al suo dispetto,
quando potessi far di non amarla.
65 [AMINTA] Al suo dispetto no, ma l’amerei.
[TIRSI] Dunque fuor di sua voglia. [AMINTA] Sì per certo.
[TIRSI] Perché dunque non osi oltra sua voglia
prenderne quel che, se ben grava in prima,
al fin, al fin le sarà caro e dolce
70 che l’abbi preso? [AMINTA] Ahi, Tirsi, Amor risponda
per me; ché quanto a mezz’il cor mi parla,
non so ridir. Tu troppo scaltro sei
già per lungo uso a ragionar d’amore:
a me lega la lingua
75 quel che mi lega il core.
[TIRSI] Dunque andar non vogliamo? [AMINTA] Andare io voglio,
ma non dove tu stimi. [TIRSI] E dove? [AMINTA] A morte,
s’altro in mio pro’ non hai fatto che quanto
ora mi narri. [TIRSI] E poco parti questo?
80 Credi tu dunque, sciocco, che mai Dafne
consigliasse l’andar, se non vedesse
in parte il cor di Silvia? E forse ch’ella
il sa, né però vuol ch’altri risappia
ch’ella ciò sappia. Or, se ‘l consenso espresso
85 cerchi di lei, non vedi che tu cerchi
quel che più le dispiace? Or dove è dunque
questo tuo desiderio di piacerle?
E s’ella vuol che ‘l tuo diletto sia
tuo furto o tua rapina, e non suo dono
90 né sua mercede, a te, folle, che importa
più l’un modo che l’altro? [AMINTA] E chi m’accerta
che il suo desir sia tale? [TIRSI] Oh mentecatto!
Ecco, tu chiedi pur quella certezza
ch’a lei dispiace, e dispiacer le deve
95 dirittamente, e tu cercar non déi.
Ma chi t’accerta ancor che non sia tale?
Or s’ella fosse tale, e non v’andassi?
Eguale è il dubbio e ‘l rischio. Ahi, pur è meglio
come ardito morir, che come vile.
100 Tu taci, tu sei vinto. Ora confessa
questa perdita tua, che fia cagione
di vittoria maggiore. Andianne. [AMINTA] Aspetta.
[TIRSI] Che “Aspetta”? non sai ben che ‘l tempo fugge?
[AMINTA] Deh, pensiam pria se ciò dee farsi, e come.
105 [TIRSI] Per strada penserem ciò che vi resta;
ma nulla fa chi troppe cose pensa.
[CORO] Amore, in quale scola,
da qual mastro s’apprende
la tua sì lunga e dubbia arte d’amare?
110 Chi n’insegna a spiegare
ciò che la mente intende,
mentre con l’ali tue sovra il ciel vola?
Non già la dotta Atene,
né ‘l Liceo ne ‘l dimostra;
115 non Febo in Elicona,
che sì d’Amor ragiona
come colui ch’impara:
freddo ne parla, e poco;
non ha voce di foco,
120 come a te si conviene;
non alza i suoi pensieri
a par de’ tuoi misteri.
Amor, degno maestro
sol tu sei di te stesso,
125 e sol tu sei da te medesmo espresso;
tu di legger insegni
ai più rustici ingegni
quelle mirabil cose
che con lettre amorose
130 scrivi di propria man negli occhi altrui;
tu in bei facondi detti
sciogli la lingua de’ fedeli tuoi;
e spesso (oh strana e nova
eloquenza d’Amore!)
135 spesso in un dir confuso
e ‘n parole interrotte
meglio si esprime il core,
e più par che si mova,
che non si fa con voci adorne e dotte;
140 e ‘l silenzio ancor suole
aver prieghi e parole.
Amor, leggan pur gli altri
le socratiche carte,
ch’io in due begli occhi apprenderò quest’arte;
145 e perderan le rime
de le penne più saggie
appo le mie selvaggie,
che rozza mano in rozza scorza imprime.