INGLESE
27 Gennaio 2019UNA SCUOLA, TANTI INDIRIZZI
27 Gennaio 2019Torquato Tasso
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Tirsi, coro
[TIRSI] Oh crudeltate estrema, oh ingrato core,
oh donna ingrata, oh tre fiate e quattro
ingratissimo sesso! E tu, natura,
negligente maestra, perché solo
5 a le donne nel volto e in quel di fuori
ponesti quanto in loro è di gentile,
di mansueto e di cortese, e tutte
l’altre parti obliasti? Ahi, miserello,
forse ha se stesso ucciso; ei non appare;
10 io l’ho cerco e ricerco omai tre ore
nel loco ov’io il lasciai e nei contorni:
né trovo lui né orme de’ suoi passi.
Ahi, che s’è certo ucciso! Io vo’ novella
chiederne a que’ pastor che colà veggio.
15 Amici, avete visto Aminta, o inteso
novella di lui forse? [CORO] Tu mi pari
così turbato: e qual cagion t’affanna?
Ond’è questo sudor, e questo ansare?
Havvi nulla di mal? fa che ‘l sappiamo.
20 [TIRSI] Temo del mal d’Aminta: avetel visto?
[CORO] Noi visto non l’abbiam dapoi che teco,
buona pezza, partì; ma che ne temi?
[TIRSI] Ch’egli non s’abbia ucciso di sua mano.
[CORO] Ucciso di sua mano? or perché questo?
25 che ne stimi cagione? [TIRSI] Odio ed Amore.
[CORO] Duo potenti inimici, insieme aggiunti,
che far non ponno? Ma parla più chiaro.
[TIRSI] L’amar troppo una ninfa, e l’esser troppo
odiato da lei. [CORO] Deh, narra il tutto;
30 questo è luogo di passo, e forse intanto
alcun verrà che nova di lui rechi:
forse arrivar potrebbe anch’egli istesso.
[TIRSI] Dirollo volontier, ché non è giusto,
che tanta ingratitudine e sì strana
35 senza l’infamia debita si resti.
Presentito avea Aminta (ed io fui lasso,
colui che riferì’lo e che ‘l condussi:
or me ne pento) che Silvia dovea
con Dafne ire a lavarsi ad una fonte.
40 Là dunque s’inviò dubbio ed incerto,
mosso non dal suo cor, ma sol dal mio
stimolar importuno; e spesso in forse
fu di tornar indietro, ed io ‘l sospinsi,
pur mal suo grado, inanzi. Or quando omai
45 c’era il fonte vicino, ecco, sentiamo
un feminil lamento; e quasi a un tempo
Dafne veggiam, che battea palma a palma;
la qual, come ci vide, alzò la voce:
“Ah, correte,” gridò “Silvia è sforzata”.
50 L’inamorato Aminta, che ciò intese,
si spiccò com’un pardo, ed io seguì’lo;
ecco miriamo a un’arbore legata
la giovinetta, ignuda come nacque,
ed a legarla fune era il suo crine:
55 il suo crine medesmo in mille nodi
a la pianta era avvolto; e ‘l suo bel cinto,
che del sen virginal fu pria custode,
di quello stupro era ministro, ed ambe
le mani al duro tronco le stringea;
60 e la pianta medesma avea prestati
legami contra lei: ch’una ritorta
d’un pieghevole ramo avea a ciascuna
de le tenere gambe. A fronte a fronte
un satiro villan noi le vedemmo,
65 che di legarla pur allor finia.
Ella quanto potea faceva schermo;
ma che potuto avrebbe a lungo andare?
Aminta, con un dardo che tenea
ne la man destra, al satiro avventossi
70 come un leone, ed io fra tanto pieno
m’avea di sassi il grembo, onde fuggissi.
Come la fuga de l’altro concesse
spazio a lui di mirare, egli rivolse
i cupidi occhi in quelle membra belle,
75 che, come suole tremolare il latte
ne’ giunchi, sì parean morbide e bianche.
E tutto ‘l vidi sfavillar nel viso;
poscia accostossi pianamente a lei
tutto modesto, e disse: “O bella Silvia,
80 perdona a queste man, se troppo ardire
è l’appressarsi a le tue dolci membra,
perché necessità dura le sforza:
necessità di scioglier questi nodi;
né questa grazia, che fortuna vuole
85 conceder loro, tuo mal grado sia”.
[CORO] Parole d’ammollir un cor di sasso.
Ma che rispose allor? [TIRSI] Nulla rispose,
ma disdegnosa e vergognosa a terra
chinava il viso, e ‘l delicato seno,
90 quanto potea torcendosi, celava.
Egli, fattosi inanzi, il biondo crine
cominciò a sviluppare, e disse in tanto:
“Già di nodi sì bei non era degno
così ruvido tronco: or, che vantaggio
95 hanno i servi d’Amor, se lor commune
è con le piante il prezioso laccio?
Pianta crudel, potesti quel bel crine
offender tu, ch’a te feo tanto onore?”
Quinci con le sue man le man le sciolse,
100 in modo tal che parea che temesse
pur di toccarle, e desiasse insieme;
si chinò poi per islegarle i piedi;
ma come Silvia in libertà le mani
si vide, disse in atto dispettoso:
105 “Pastor, non mi toccar: son di Diana;
per me stessa saprò sciogliermi i piedi”.
[CORO] Or tanto orgoglio alberga in cor di ninfa?
Ahi d’opra graziosa ingrato merto!
[TIRSI] Ei si trasse in disparte riverente,
110 non alzando pur gli occhi per mirarla,
negando a se medesmo il suo piacere,
per tôrre a lei fatica di negarlo.
Io, che m’era nascoso, e vedea il tutto
ed udia il tutto, allor fui per gridare;
115 pur mi ritenni. Or odi strana cosa.
Dopo molta fatica ella si sciolse;
e, sciolta a pena, senza dire “A Dio”,
a fuggir cominciò com’una cerva;
e pur nulla cagione avea di tema,
120 ché l’era noto il rispetto d’Aminta.
[CORO] Perché dunque fuggissi? [TIRSI] A la sua fuga
volse l’obligo aver, non a l’altrui
modesto amore. [CORO] Ed in quest’anco è ingrata.
Ma che fe’ ‘l miserello allor? che disse?
125 [TIRSI] No ‘l so, ch’io, pien di mal talento, corsi
per arrivarla e ritenerla, e ‘nvano,
ch’io la smarrii; e poi tornando dove
lasciai Aminta al fonte, no ‘l trovai;
ma presago è il mio cor di qualche male.
130 So ch’egli era disposto di morire,
prima che ciò avvenisse. [CORO] E’ uso ed arte
di ciascun ch’ama minacciarsi morte;
ma rade volte poi segue l’effetto.
[TIRSI] Dio faccia ch’ei non sia tra questi rari.
135 [CORO] Non sarà, no. [TIRSI] Io voglio irmene a l’antro
del saggio Elpino: ivi, s’è vivo, forse
sarà ridotto, ove sovente suole
raddolcir gli amarissimi martiri
al dolce suon de la sampogna chiara,
140 ch’ad udir trae dagli alti monti i sassi,
e correr fa di puro latte i fiumi,
e stillar mele da le dure scorze.
SCENA SECONDA
Aminta, Dafne, Nerina
[AMINTA] Dispietata pietate
fu la tua veramente, o Dafne, allora
che ritenesti il dardo;
però che ‘l mio morire
5 più amaro sarà, quanto più tardo.
Ed or perché m’avvolgi
per sì diverse strade e per sì varii
ragionamenti in vano? di che temi?
ch’io non m’uccida? Temi del mio bene.
10 [DAFNE] Non disperar, Aminta,
ché, s’io lei ben conosco,
sola vergogna fu, non crudeltate,
quella che mosse Silvia a fuggir via.
[AMINTA] Ohimè, che mia salute
15 sarebbe il disperare,
poiché sol la speranza
è stata mia rovina; ed anco, ahi lasso,
tenta di germogliar dentr’al mio petto,
sol perché io viva: e quale è maggior male
20 de la vita d’un misero com’io?
[DAFNE] Vivi, misero, vivi
ne la miseria tua; e questo stato
sopporta sol per divenir felice,
quando che sia. Fia premio de la speme,
25 se vivendo e sperando ti mantieni,
quel che vedesti ne la bella ignuda.
[AMINTA] Non pareva ad Amor e a mia fortuna
ch’a pien misero fossi, s’anco a pieno
non m’era dimostrato
30 quel che m’era negato.
[NERINA] Dunque a me pur convien esser sinistra
còrnice d’amarissima novella!
Oh per mai sempre misero Montano,
qual animo fia ‘l tuo quando udirai
35 de l’unica tua Silvia il duro caso?
Padre vecchio, orbo padre: ahi, non più padre!
[DAFNE] Odo una mesta voce. [AMINTA] Io odo ‘l nome
di Silvia, che gli orecchi e ‘l cor mi fere;
ma chi è che la noma? [DAFNE] Ella è Nerina,
40 ninfa gentil che tanto a Cinzia è cara,
c’ha sì begli occhi e così belle mani
e modi sì avvenenti e graziosi.
[NERINA] E pur voglio che ‘l sappi e che procuri
di ritrovar le reliquie infelici,
45 se nulla ve ne resta. Ahi Silvia, ahi dura
infelice tua sorte!
[AMINTA] Ohimè, che fia? che costei dice? [NERINA] Dafne!
[DAFNE] Che parli fra te stessa, e perché nomi
tu Silvia, e poi sospiri? [NERINA] Ahi, ch’a ragione
50 sospiro l’aspro caso! [AMINTA] Ahi, di qual caso
può ragionar costei? Io sento, io sento
che mi s’agghiaccia il core e mi si chiude
lo spirto. E’ viva?
[DAFNE] Narra, qual aspro caso è quel che dici?
55 [NERINA] O Dio, perché son io
la messaggiera? E pur convien narrarlo.
Venne Silvia al mio albergo ignuda; e quale
fosse l’occasion, saper la déi;
poi rivestita mi pregò che seco
60 ir volessi a la caccia che ordinata
era nel bosco c’ha nome da l’elci.
Io la compiacqui: andammo, e ritrovammo
molte ninfe ridotte; ed indi a poco
ecco, di non so d’onde, un lupo sbuca,
65 grande fuor di misura, e da le labra
gocciolava una bava sanguinosa;
Silvia un quadrello adatta su la corda
d’un arco ch’io le diedi, e tira e ‘l coglie
a sommo ‘l capo: ei si rinselva, ed ella,
70 vibrando un dardo, dentro ‘l bosco il segue.
[AMINTA] Oh dolente principio; ohimè, qual fine
già mi s’annuncia? [NERINA] Io con un altro dardo
seguo la traccia, ma lontana assai,
ché più tarda mi mossi. Come furo
75 dentro a la selva, più non la rividi:
ma pur per l’orme lor tanto m’avvolsi,
che giunsi nel più folto e più deserto;
quivi il dardo di Silvia in terra scorsi,
né molto indi lontano un bianco velo,
80 ch’io stessa le ravvolsi al crine; e, mentre
mi guardo intorno, vidi sette lupi
che leccavan di terra alquanto sangue
sparto intorno a cert’ossa affatto nude;
e fu mia sorte ch’io non fui veduta
85 da loro, tanto intenti erano al pasto;
tal che, piena di tema e di pietate,
indietro ritornai; e questo è quanto
posso dirvi di Silvia; ed ecco ‘l velo.
[AMINTA] Poco pàrti aver detto? Oh velo, oh sangue,
90 oh Silvia, tu se’ morta! [DAFNE] Oh miserello,
tramortito è d’affanno, e forse morto.
[NERINA] Egli rispira pure: questo fia
un breve svenimento; ecco, riviene.
[AMINTA] Dolor, che sì mi crucii,
95 ché non m’uccidi omai? tu sei pur lento!
Forse lasci l’officio a la mia mano.
Io son, io son contento
ch’ella prenda tal cura,
poi che tu la ricusi, o che non puoi.
100 Ohimè, se nulla manca
a la certezza omai,
e nulla manca al colmo
de la miseria mia,
che bado? che più aspetto? O Dafne, o Dafne,
105 a questo amaro fin tu mi salvasti,
a questo fine amaro?
Bello e dolce morir fu certo allora
che uccidere io mi volsi.
Tu me ‘l negasti, e ‘l Ciel, a cui parea
110 ch’io precorressi col morir la noia
ch’apprestata m’avea.
Or che fatt’ha l’estremo
de la sua crudeltate,
ben soffrirà ch’io moia,
115 e tu soffrir lo dei.
[DAFNE] Aspetta a la tua morte,
sin che ‘l ver meglio intenda.
[AMINTA] Ohimè, che vuoi ch’attenda?
Ohimè, che troppo ho atteso, e troppo inteso.
120 [NERINA] Deh, foss’io stata muta!
[AMINTA] Ninfa, dammi, ti prego,
quel velo ch’è di lei
solo e misero avanzo,
sì ch’egli m’accompagne
125 per questo breve spazio
e di via e di vita che mi resta,
e con la sua presenza
accresca quel martire,
ch’è ben picciol martire,
130 s’ho bisogno d’aiuto al mio morire.
[NERINA] Debbo darlo o negarlo?
La cagion perché ‘l chiedi
fa ch’io debba negarlo.
[AMINTA] Crudel, sì picciol dono
135 mi nieghi al punto estremo?
E in questo anco maligno
mi si mostra il mio fato. Io cedo, io cedo:
a te si resti; e voi restate ancora,
ch’io vo per non tornare.
140 [DAFNE] Aminta, aspetta, ascolta…
Ohimè, con quanta furia egli si parte!
[NERINA] Egli va sì veloce,
che fia vano il seguirlo; ond’è pur meglio
ch’io segua il mio viaggio; e forse è meglio
145 ch’io taccia e nulla conti
al misero Montano.
[CORO] Non bisogna la morte,
ch’a stringer nobil core
prima basta la fede, e poi l’amore.
150 Né quella che si cerca
è sì difficil fama
seguendo chi ben ama,
ch’amore è merce, e con amar si merca.
E cercando l’amor si trova spesso
155 gloria immortal appresso.