La battaglia di Maratona
1 Agosto 2022L’ascesa di Napoleone Console
1 Agosto 2022Ho trovato molte analogie fra questo libro e “Il Destino si chiama Clotilde” di Giovannino Guareschi, storie di anime apparentemente destinate a non avere niente in comune, che poi scoprono inaspettatamente una affinità profonda.
Personaggi:
Don Simone Celzani, 31 anni, (Lino Capolicchio nel film)
orfano di entrambi i genitori. Per diversi anni ha studiato in seminario, dal quale ha ritenuto certi modi preteschi che sono all’origine del suo soprannome.
Maria Pedani, 27 anni (Senta Berger: nel film) «larga di spalle e stretta di cintura», modellata come una statua, che spirava da tutto il corpo la salute e la forza, e che sarebbe stata bellissima se non avesse avuto un nasino non finito e un’espressione di viso e un’andatura un po’ troppo virili
Elena Zibelli (Adriana Asti nel film) aveva trentasei anni ed era anche nel fisico l’opposto della sua amica. Alta essa pure; ma magra, e stretta di spalle; un viso bellino, ma troppo piccolo, e già appassito. Le amarezze della sua vita di ragazza, per cui non era nata, le avevano messe due pieghe aspre negli angoli della bocca, e un che di torbido negli occhi che rivelava un’anima malcontenta.
Antonino Faà Di Bruno: commendator Celzani, lo zio di Simone, che gli fa da segretario
Renzo Marignano: Ingegner Ginoni, il padre di Alfredo
Benjamin Lev: Alfredo Ginoni, l’altro spasimante di Maria Pedani, antagonista di Simone
studente ventunenne
Aldo Massasso: Armando (maestro Fassi) inquilino del palazzo, anch’egli patito di ginnastica, ma con vedute diverse da quelle della maestra Pedani (corpo libero invece che attrezzi e manubri).
Il cavalier Padalocchi: inquilino del palazzo. Un vecchio professor di lettere, vedovo e pensionato, un linguista terribile, dicevano, ma di maniere compitissime; il quale s’accompagnava qualche volta con la Pedani su per la scala, parlandole dei suoi malanni.
Il cavalier Pruzzi: direttore della scuola in cui insegna la maestra Pedani e amico del commendator Celzani. Il segretario Celzani si rivolge a lui per avere informazioni sulla Pedani a causa di certe dicerie sul suo conto, ma è inizialmente reticente; successivamente gli comunica che queste nascono da travisamenti della realtà.
Leggi e commenta il seguente brano di questo romanzo breve:
Da «Amore e ginnastica e altri racconti» di Edmondo De Amicis (a cura di Giorgio De Rienzo, Milano, Rizzoli, 1986, pp. 41-45):
«Il segretario Celzani passava di pochi anni la trentina; ma aveva la compostezza d’aspetto e di modi d’un uomo di cinquanta, una figura di notaio da commedia o di precettore di casa patrizia clericale. Rimasto orfano da ragazzo, era stato raccolto da uno zio materno, parroco di villaggio, che l’aveva tirato su in sagrestia e poi messo in seminario per farlo prete; ma, morto il parroco, lasciandogli un po’ di peculio, l’aveva tolto di seminario e preso in casa sua lo zio Celzani, vedovo senza figliuoli, per fargli fare da segretario e da fattore di campagna: ufficio in cui egli metteva una probità e uno zelo veramente esemplari. Andava in chiesa, frequentava dei preti, e di prete gli eran rimaste certe mosse e certi atteggiamenti, come quello di tener spesso una mano nell’altra serrate sul petto, l’avversione ai baffi e alla barba e l’abitudine di vestir tutto di scuro; ma non era bigotto, e si vantava senza mentire d’essere patriota e liberale. Ciò nonostante, a cagione della sua apparenza, tutti gl’inquilini della casa lo chiamavano da anni, per celia, Don Celzani. E pure trovando in lui un’ombra leggiera di ridicolo, lo stimavano e gli volevano bene, poiché era cortese e servizievole, timidamente rispettoso con tutti, e sempre eguale; non avendo, quando la sua pazienza era messa alla più dura prova, altra esclamazione più risentita di quella di: “Dio grande!”, ch’egli metteva fuori alzando gli occhi al cielo e allargando le braccia, in atto d’invocazione. Ma v’era un lato della sua natura che nessuno conosceva. Sotto quello aspetto composto di prete travestito si celava un temperamento fisico vivacissimo, una forte sensualità contenuta, non per ipocrisia, ma in parte per timidezza, in parte per sentimento di decoro, e dissimulata per lo più da un’aria di profonda meditazione A veder per la strada quell’uomo vestito di nero, un po’ curvo, coi capelli scuri spioventi, col viso liscio, con due occhi così piccoli che quando sorrideva non si vedevan più, con un naso lungo e sottile di asceta, con un’andatura come s’egli studiasse di farsi piccolo, e sempre con lo sguardo rivolto a terra, a dieci passi davanti a sé, nessuno avrebbe mai pensato che non sfuggisse alla sua vista né un piedino scoperto sul montatoio d’una carrozza, né una fotografia libera in una vetrina, né una coppia tortoreggiante sotto un portone, né alcuna cosa od immagine che potesse eccitare i sensi. Un osservatore non avrebbe potuto riconoscere il suo temperamento che dalla grande bocca mobile, che pareva formata da due serpentelli vermigli, e da certe ondate di sangue che, al passar di certi pensieri, gli coloravano per un momento il collo e la faccia. Certo, la buon’anima dello zio prete non avrebbe potuto seguirlo in ogni suo passo; ma la sua condotta era così dignitosamente prudente, che anche chi conosceva meglio le sue abitudini non iscopriva nulla che gli potesse far sospettare ch’egli non fosse, anche per quel riguardo, quel che pareva. Del resto, egli era una di quelle nature nella loro sensualità non volgari, le quali non si abbandonano al vizio perché non vi si appagano, e son fatte per non trovare appagamento che in un possesso unico, sicuro ed onesto, non scompagnato dall’affetto;: nature, più che semplicemente sensuali, amorose, che aspettano e cercano, frenandosi senza grande sforzo, fin che non trovino incarnato un certo ideale fisico e morale, che covano in mente; nel quale sono forse più difficili a contentarsi d’altri uomini più freddi e più raffinati, a cui non fa velo il fumo della passione.
Ora egli aveva trovato quest’ideale nella maestra Pedani, lombarda, venuta tre mesi prima, sul cominciar di dicembre, ad abitare con la sua collega Zibelli in un quartierino al terzo piano di quella casa, di fronte all’uscio del maestro Fassi, il quale l’aveva tirata là per assicurarsi meglio la sua cooperazione preziosa al “Nuovo agone”. Quell’alta e robusta giovane di ventisette anni, “larga di spalle e stretta di cintura”, modellata come una statua, che spirava da tutto il corpo la salute e la forza, , e che sarebbe stata bellissima se non avesse avuto un nasino non finito e un’espressione di viso e un’andatura un po’ troppo virili, , gli aveva fatto, fin dal suo primo apparire, l’effetto d’una persona lungamente desiderata e aspettata. Era il tipo che aveva accarezzato nei suoi sogni ardenti di seminarista, la figura che aveva vagheggiato confusamente per tutto il corso della sua calda gioventù castigata. La prima volta che era salito in casa sua a prender da lei la pigione anticipata del trimestre, non gli era riuscito di contare i biglietti da cinque ch’essa gli aveva messo in fila sul cassettone. Da quel giorno la sua passione era andata crescendo a vampate. E appena egli ebbe compreso, dal contegno di lei, il suo carattere vigoroso e calmo, repugnante a ogni civetteria, che quasi non le lasciava avvertire l’impressione prodotta dalla propria persona, e non dava speranza alcuna né di leggerezze né di capricci, il pensiero di lui andò diritto e risoluto al matrimonio, come all’unico modo possibile di conseguire la soddisfazione dei suoi desideri. No ostante il suo ardore, per altro, egli prevedeva le difficoltà che avrebbe ragionevolmente opposto lo zio al suo matrimonio con una maestra sola e senza fortuna; ma a sperare che il no non sarebbe stato assoluto lo confortava in parte il fatto d’una passione singolare di cui pareva acceso il commendatore, la sola ch’ei conoscesse: uno spirito attivissimo di propaganda in favore della ginnastica educativa, ch’egli aveva promosso in tutti i modi durante il suo breve vice-assessorato dell’istruzione ; dalla qual propaganda s’era poi sdato, ma serbando una viva e costante simpatia per tutti gli spettacoli ginnastici di scuole, istituti, collegi, accademie ed esami, di cui non perdeva uno, essendo inviato a tutti come uno dei primi e più benemerito fondatori della palestra di Torino. Era appunto questa simpatia per la ginnastica che gli aveva fatto ridurre d’un terzo la pigione al maestro Fassi, conosciuto da lui alla palestra molti anni prima, e accordar lo stesso favore alla signorina Pedani, maestra di ginnastica, in vari istituti, nota anche per la sua valentia d’insegnante e per i suoi articoletti vivaci nei giornali tecnici.. Il segretario pensava che lo stesso sentimento che gli aveva fatto calar la pigione all’inquilina gli avrebbe fatto scemar l’opposizione alla sposa. Da questa parte, dunque, non era la difficoltà più terribile. La più terribile era quella di arrischiarsi di dichiarare aperto a lei la sua passione; al che s’era formidabilmente opposta per tre mesi la sua invincibile timidità, cagionata sopra tutto dalla grande inferiorità ch’egli riconosceva in sé, rispetto alla maestra, dal lato dei pregi esteriori della persona. Da tre mesi, conoscendo appuntino l’orario di tutte le sue lezioni, egli s’ingegnava ogni giorno e più volte al giorno, d’uscire o di rientrare in casa in quei dati momenti, per incontrarla per le scale ed aprirle il suo cuore; e cento volte l’aveva incontrata; ma non una gli era venuto fatto d cacciar dalla bocca altro che le più usuali e scipite parole. E non gli serviva prepararsi prima la frase, inghiottire in furia due bicchierini di Caluso, o cercare il coraggio nel sentimento della onestà dei suoi fini: quando si trovava di fronte a quell’alta e forte ragazza, che o stesse sullo scalino di sopra o su quel di sotto, gli pareva sempre che lo dominasse come una figura colossale, tutto il suo ardimento fittizio cadeva senza che il èiù delle volte egli osasse nemmeno di staccare il suo sguardo di torno alla sua bella vita o dalle sue spalle stupende per sollevarlo fino al suo viso., Non era forse neppur riuscito a farle indovinare la propria passione, tanto era tranquilla e sempre uguale la disinvoltura di giovanotto con la quale essa lo salutava e gli parlava. E così egli vide ruminando il suo amore, aggiungendo ogni giorno l’eccitamento d’una nuova immagine a una interminabile collezione di atteggiamenti, di suoni della voce, di mosse, di guizzi della persona, ch’egli aveva in capo e che passava a rassegna di continuo, meditandoli ad uno ad uno e assaporandoli con una voluttà e con un tormento crescenti, che non gli davan più pace. Finalmente, non ci potendo più reggere, aveva scritto la lettera.»