Storia del genere umano di Giacomo Leopardi
10 Giugno 2020La pazzia tesina maturità esame di stato
10 Giugno 2020XXVII
AMORE E MORTE
Menandro.
Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte
ingenerò la sorte.
Cose quaggiú sí belle
altre il mondo non ha, non han le stelle.
Nasce dall’uno il bene, 5
nasce il piacer maggiore
che per lo mar dell’essere si trova;
l’altra ogni gran dolore
ogni gran male annulla.
Bellissima fanciulla,10
dolce a veder, non quale
la si dipinge la codarda gente,
gode il fanciullo Amore
accompagnar sovente;
e sorvolano insiem la via mortale,15
primi conforti d’ogni saggio core.
Né cor fu mai piú saggio
che percosso d’amor, né mai piú forte
sprezzò l’infausta vita,
né per altro signore
come per questo a perigliar fu pronto:20
ch’ove tu porgi aita,
Amor, nasce il coraggio,
o si ridesta; e sapiente in opre,
non in pensiero invan, siccome suole,25
divien l’umana prole.
Quando novellamente
nasce nel cor profondo
un amoroso affetto,
languido e stanco insiem con esso in petto30
un desiderio di morir si sente:
come, non so: ma tale
d’amor vero e possente è il primo effetto.
Forse gli occhi spaura
allor questo deserto: a sé la terra35
forse il mortale inabitabil fatta
vede omai senza quella
nova, sola, infinita
felicitá che il suo pensier figura:
ma per cagion di lei grave procella40
presentendo in suo cor, brama quiete,
brama raccôrsi in porto
dinanzi al fier disio,
che giá, rugghiando, intorno intorno oscura.
Poi, quando tutto avvolge45
la formidabil possa,
e fulmina nel cor l’invitta cura,
quante volte implorata
con desiderio intenso,
Morte, sei tu dall’affannoso amante!50
Quante la sera, e quante
abbandonando all’alba il corpo stanco,
sé beato chiamò, s’indi giammai
non rilevasse il fianco,
né tornasse a veder l’amara luce! 55
E spesso al suon della funebre squilla,
al canto che conduce
la gente morta al sempiterno obblio,
con piú sospiri ardenti
dall’imo petto invidiò colui 60
che tra gli spenti ad abitar sen giva.
Fin la negletta plebe,
l’uom della villa, ignaro
d’ogni virtú che da saper deriva,
fin la donzella timidetta e schiva,65
che giá di morte al nome
sentí rizzar le chiome,
osa alla tomba, alle funeree bende
fermar lo sguardo di costanza pieno;
osa ferro e veleno70
meditar lungamente,
e nell’indotta mente
la gentilezza del morir comprende.
Tanto alla morte inclina
d’amor la disciplina. Anco sovente,75
a tal venuto il gran travaglio interno
che sostener nol può forza mortale,
o cede il corpo frale
ai terribili moti, e in questa forma
pel fraterno poter Morte prevale; 80
o cosí sprona Amor lá nel profondo,
che da se stessi il villanello ignaro,
la tenera donzella
con la man violenta
pongon le membra giovanili in terra.85
Ride ai lor casi il mondo,
a cui pace e vecchiezza il ciel consenta.
Ai fervidi, ai felici,
agli animosi ingegni
l’uno o l’altro di voi conceda il fato, 90
dolci signori, amici
all’umana famiglia,
al cui poter nessun poter somiglia
nell’immenso universo, e non l’avanza,
se non quella del fato, altra possanza.95
E tu, cui giá dal cominciar degli anni
sempre onorata invoco,
bella Morte, pietosa
tu sola al mondo dei terreni affanni,
se celebrata mai100
fosti da me, s’al tuo divino stato
l’onte del volgo ingrato
ricompensar tentai,
non tardar piú, t’inchina
a disusati preghi;105
chiudi alla luce omai
questi occhi tristi, o dell’etá reina.
Me certo troverai, qual si sia l’ora
che tu le penne al mio pregar dispieghi,
erta la fronte, armato, 110
e renitente al fato,
la man che flagellando si colora
nel mio sangue innocente
non ricolmar di lode,
non benedir, com’usa 115
per antica viltá l’umana gente;
ogni vana speranza onde consola
sé coi fanciulli il mondo,
ogni conforto stolto
gittar da me; null’altro in alcun tempo120
sperar se non te sola;
solo aspettar sereno
quel dí ch’io pieghi addormentato il volto
nel tuo virgineo seno.