Roberto Vecchioni e il potere dei sogni
27 Gennaio 2019Commedia da salotto
27 Gennaio 2019da “Per le vie” (1883)
Novelle di Giovanni Verga
Battista, il ciabattino, era morto col crepacuore che Tonio, suo eguale, fosse arrivato a metter bottega in Cordusio, e lui no: la vedova seguitava ad arrabattarsi facendo la levatrice in Borgo degli Ortolani, magra come un’acciuga, con delle mani spolpate che sembrava se le fosse fatte apposta pel suo mestiere. Tutta pel figliuolo, Sandro, un ragazzo promettente, che «l’avrebbe fatta morire nelle lenzuola di tela fine, se Dio voleva, com’era nata», diceva la sora Antonietta a tutto il vicinato; e si turava il naso colle dita gialle quando saliva certe scale. Dell’altra figlia non parlava mai: che era portinaia in San Pietro all’Orto, e il marito le faceva provar la fame.
Sandrino aveva la sua ambizione anche lui, e gli era venuta una volta che il padrone l’aveva condotto a vedere il ballo del Dal Verme, in galleria. Volle essere artista, comparsa o tramagnino. La sora Antonietta chiudeva gli occhi perché Sandrino era il più bel brunetto di Milano, – non lo diceva perché l’avesse fatto lei! – ed anche pei cinquanta centesimi che si buscava ogni sera a quel mestiere. Quando ballava la tarantella del Masaniello, vestito da lazzarone, la contessa del palchetto a sinistra se lo mangiava con gli occhi, dicevano.
A lui non glie ne importava della contessa, perché era fatta come un salame nella carta inargentata; ma ci aveva gusto pei suoi compagni di bottega, che si martellavano d’invidia a batter la suola tutto il giorno, lo canzonavano e lo chiamavano «sor conte» per gelosia.
La domenica, colla giacchetta attillata, e il virginia da sette all’aria, se ne andava girelloni sul corso, più alto un palmo del solito, a veder le contesse.
All’occorrenza parlava di tanti che erano cominciati ballerini, tramagnini al pari di lui, o anche semplici comparse, per arrivare ad essere coreografi, cavalieri, ricchi sfondolati, artisti insomma, tale e quale come il maestro Verdi. – Artisti da piedi! – rispondeva la mamma. – No, no, ci vuol altro! – Ella aveva messo gli occhi addosso alla figlia unica del padrone di casa, carbonaio, una grassona col naso a trombetta, e le mani piene di geloni sino a tutto aprile. – Con quella lì, quando fosse morto il vecchio, c’era da mettere carrozza e cavalli. Perciò teneva l’orfanella come la pupilla degli occhi suoi, le faceva da madre, la lisciava e l’accarezzava. Nelle serate a benefizio della famiglia artistica, quando la Scala rimaneva quasi vuota, si faceva dare gratis dei biglietti di piccionaia, e conduceva al ballo tutta la famiglia, il carbonaio colla camicia di bucato e la ragazza strizzata nello spenserino di seta celeste, per mostrare il suo Sandro, là, quello colle lenticchie d’oro sulle mutande, che faceva girare il lanternone! Un ragazzo di talento! Purché non si fosse indotto a far qualche scioccheria colle contesse che sapeva lei! Il carbonaio spalancava gli occhi al veder le ballerine, e diventava rosso che pareva gli stesse per venire un accidente.
Ma Sandrino non voleva saperne della carbonaia. Egli s’era innamorato di Olga, una ragazza del corpo di ballo, dal musino di gatta con tanto di pèsche sotto gli occhi, che non aveva ancora sedici anni. La mamma di lei, ortolana in via della Vetra, soleva dire alle vicine:
– Non volevo che facesse la ballerina; ma quella ragazza si sentiva il mestiere nel sangue -.
La Olga quando ammazzolava le carote colle mani sudice, chiamavasi Giovanna, e aveva una vesticciuola sbrindellata indosso. Allorché la Carlotta, lì vicino, le regalava un nastro vecchio, e poteva scappar da lei a infarinarsi il viso, borbottava tutta contenta:
– Vedete, se fossi come la Carlotta! Qui mi si rovinano le mani, ogni anno! –
E tutta sola, davanti allo specchio della ballerina, tirava su le gonnelle, e studiava i passi e le smorfie, e a dimenare i fianchi.
Alla Scala da principio se ne stava lì grulla, ritta sulle zampe come il pellicano, non sapendo cosa farne. Sandrino prese a proteggerla perché le altre ragazze la tormentavano coi motteggi.
– Non dia retta, sora Giovannina. Son canaglia, che hanno la superbia nel vestito; ma se vedesse che camicie, nello spogliatoio! – Ella, per riconoscenza, gli piantava addosso quegli occhi che facevano girare il capo.
La prima volta che si lasciò rubare un bacio, al buio nel corridoio, gli si attaccò al collo, come una sanguisuga, e giurarono di amarsi sempre. La sora Antonietta inferocita, non voleva sentirne parlare; e sbuffava ogni volta che Sandrino gliela conduceva a casa la domenica. Solo il carbonaio l’accoglieva amorevolmente, e le prendeva il ganascino, colle mani sudice che lasciavano il segno.
Sandro duro come un mulo. Infine sua madre andò a dire il fatto suo a quella di via della Vetra: – Cosa s’erano messi in testa quei presuntuosi? Volevano far sposare a Sandrino una che mostrava le gambe per cinquanta lire al mese? Meglio di quella glie ne erano passate tante per le mani, che erano cadute per l’ambizione di chiappare il sole e la luna! – Il sole e la luna! – rimbeccò l’ortolana – col bel mestiere che fa la mamma, che ogni momento vi chiamano in questura e dinanzi al giudice! – Sandrino, quella volta, s’era presi degli schiaffi nel mettere pace; e la Olga, causa innocente, per consolarlo alla prova gli saltò in mutandine sulle ginocchia, come una bambina.
– Quando quella ragazza si farà – dicevano le più esperte della scuola – vedrete! –
Intanto cominciarono a ronzarle attorno i mosconi delle sedie d’orchestra, e la Nana, a cui Sandrino giurava di voler raddrizzar le gambe storte, portava i bigliettini e i mazzi di fiori. La Olga resisteva. Ma quando il barone delle poltrone le piantava addosso l’occhialetto, la ragazza tendeva il garretto, e lasciava correre in platea delle occhiate nere come il diavolo.
La Carlotta, vedendo che quella pitocca raccolta da lei stessa, alla sua porta, voleva levargli il pane, sputava veleno contro Sandrino che vedeva e taceva. – No che non taccio! – sclamava Sandrino. – Sentirete quel che farò se me ne accorgo io! –
Una sera stava vestendosi pel ballo, col cappellaccio a piume, e il mantello ricamato d’oro quando vide passare la Nana, con un mazzo di fiori, che infilava arrancando il corridoio delle ballerine.
– Sangue di!… corpo di!… – cominciò a sbraitare; ma pel momento non poté far altro, ché di fuori chiamavano pel ballo. Olga comparve l’ultima, infarinata come un pesce, scutrettolando più che mai, e col garretto teso, quasi avesse preso un terno secco quella sera.
– Olga, – le disse Sandrino sotto la fontana di carta, mentre le ragazze si schieravano scalpicciando e sciorinando le gonnelline. – Olga, non mi fare la civetta, o guai a te!… –
La Olga avrebbe potuto stare nella prima quadriglia, tanto si sbracciava e dimenava i fianchi, che bisognava scorgerla per forza. – O che non l’abbassa mai l’occhialetto quello sfacciato! – borbottava lui, mentre sgambettava con grazia reggendo la ghirlanda di fiori di tela, sotto la quale Olga passava e ripassava luccicante e con tutte le vele al vento. Ella, per togliersi la seccatura, gli rispose che quel signore voleva godersi i denari che spendeva. – E tu ci hai gusto! – insisteva Sandro. – Lo fai apposta! Quando hai a passare sotto la ghirlanda, ti chini come se io fossi nano. – Mi chino come mi piace! – rispose lei alfine. E per giunta il direttore assestò a lui la multa.
Al vederla così caparbia, con quegli occhi indiavolati, che buttava all’aria ogni cosa, egli se la mangiava con gli sguardi come quell’altro, e ballava fuori tempo dalla rabbia. La Olga pareva che lo facesse apposta a girargli intorno senza farsi cogliere. Infine, nel galoppo finale, poté balbettarle ansante sulla nuca:
– Se tu cerchi l’amoroso nelle poltrone, troverò anch’io qualcosa nei palchi.
– Bravo! – rispose lei. – Ingégnati! –
Egli si strappava i pizzi e i ricami di dosso, buttandoli sul tavolaccio unto, e sbuffava e giurava che voleva aspettar davvero la contessa. Ma questa gli passò accanto sotto il portico senza vederlo nemmeno, e il cocchiere, impellicciato sino al naso, gli andava quasi addosso coi cavalli, senza dir: – ehi! –
Sandrino tornò mogio mogio in via Filodrammatici, donde le ragazze uscivano in frotta, e la Irma strapazzava per bene il suo banchiere che non l’aveva aspettata come al solito sotto il portico dell’Accademia. Olga veniva l’ultima, lemme lemme, col suo scialletto bianco che metteva freddo a vederlo, e un bel mazzo di rose sotto il naso.
– Vedi come la Irma sa farsi aspettare? – disse a Sandro. – Ed è un signore con cavalli e carrozza! –
Sandrino pretendeva invece che gli dicesse chi le aveva date quelle rose. Ma ella non volle dirglielo. Poi gli inventò che gliele aveva regalate la Bionda.
– Vengono da Genova, – osservò. – E costan molto! –
In questa li raggiunse una carrozza, all’angolo di via Torino, e il signore delle poltrone si affacciò allo sportello per buttare un bacio alla ragazza. Sandrino gridava e sacramentava che voleva correr dietro al legno. Ma lei lo trattenne per le falde del soprabito un po’ malandato, sicché Sandrino si chetò subito.
– Perché hanno dei denari!… Ma Dio Madonna!…
– Se mi accompagni per far di queste scene preferisco andarmene tutta sola, – disse lei.
– Lo so che sei già stufa! Se sei stufa, dimmelo che me ne vado! –
Ella non rispondeva, a capo chino, dimenando i fianchi, talché Sandrino si ammansò da lì a poco. Quando era colla Olga non sentiva né il freddo, né la stanchezza, e l’avrebbe accompagnata in capo al mondo.
– Però, – brontolò lei, – qualche volta potresti pigliare un brum, col freddo che fa. Sento la neve dai buchi delle scarpe.
– Vuoi che pigliamo il brum?
– No, adesso è inutile, adesso! –
E seguitava a brontolare.
– Del resto, pel gusto che c’è… sono due anni che ho questo scialletto, e pare una tela di ragno! Come se tua madre non fosse venuta sino a casa mia per dire che volevano rubargli il figliuolo! Non siamo mica dei pezzenti, sai!
– Lascia stare, lascia stare – rispondeva lui, ma vedendo che infilava già la chiave nella toppa: – Così mi lasci, senza darmi un bacio?… –
La Olga si volse e glielo diede. Poi entrò nell’andito e chiuse l’uscio.
Il domani, Sandrino si fece anticipare quindici lire dal principale, e comperò un manicotto e una pellegrina di pelle di gatto. Ma la Olga non venne alla prova. Il giorno dopo le appiopparono la multa, ed ella snocciolò le lirette una sull’altra, sorridendo come niente fosse.
– Grandezze! – esclamò Sandrino, masticando veleno. – Ha preso l’ambo, sora Olga! –
Giurò che voleva darle due schiaffi se la incontrava col barone, in parola d’onore! E glieli diede davvero, al caffè Merlo dei Giardini Pubblici, una domenica mentre pigliava il sorbetto coi guanti sino al gomito, sotto un cappellone tutto piume. Pinf! panf! Il barone, pallido come un cencio, voleva compromettersi. Però la Olga se lo condusse via, gridandogli di non sporcarsi le mani con quello straccione.
– Straccione! – borbottava lui. – Ora che ci hai di meglio son diventato uno straccione! E par tisico in terzo grado il tuo barone! E’ vero che a questo mondo tutto sta nei denari! –
Ed ora faceva l’occhio di triglia alla sora Mariettina, la figlia del padrone di casa, dalla finestra del cortiletto puzzolente. – La sta bene, sora Mariettina? Gran bella giornata oggi! – La mamma sottomano aggiungeva: – Quel ragazzo è innamorato morto di lei. Ne farà una malattia, ne farà! – E si asciugava gli occhi col grembiule. La sora Marietta si sentiva gonfiare il petto sino al naso. Scendeva nel cortile, a pigliar aria, e si perdevano per la scaletta col giovane. Il babbo, sempre in mezzo al suo carbone non si accorgeva di nulla. Quando la sora Antonietta vide i ferri ben scaldati, annunziò che avrebbe fatto San Michele e se ne sarebbe andata via di quella casa per impedire il male, se era tempo.
Sandrino sospirava, guardando la ragazza; e tutti e due volevano buttarsi nel Naviglio, se avevano a lasciarsi. – Non te l’avevo detto? – esclamava la madre; e tremava che non avesse a succedere qualche guaio grosso. Quello scrupolo non le faceva chiuder occhio nella notte, e se ne confessava col sor prevosto perché ne parlasse al padre della ragazza. Ma il carbonaio, che aveva l’anima nera come la pece, non volle sentir ragione.
– Bugie! Tutta invenzione della levatrice, che non si contenta di fare quel mestiere solo -.
Allora la Mariettina, a provare ch’era vero, scappò via con Sandro. Egli le aveva detto come alla Olga: – O lei, o nessun’altra! –
In tal modo Sandrino ebbe la Mariettina, ma senza dote. E la levatrice dovette adattarvisi pel decoro dell’impiego. Allora il suocero si riconciliò con tutta la brigata, e andava dicendo che il veder quelle due tortorelle gli metteva il pizzicore di fare come loro, benedetti! Già, gli avevano preso la figliuola, e solo non poteva starci.
La sora Antonietta, abbaiando come un cane da caccia, venne a scoprire che il vecchio «impostore» gira e rigira era andato a cascare nella Olga, a Porta Renza, e gli costava un occhio del capo all’avaraccio: appartamento, donna di servizio, e mobili di mogano. Il vecchio adesso voleva sposarla per fare economia, e mettersi in grazia di Dio. La Olga non era più una ragazzina, pensava all’avvenire, e si lasciava sposare.
Sandrino, al sentire che gli portavano in casa quella poco di buono, montò sulle furie, e voleva anche piantar la moglie; tanto, colla figlia unica o senza, gli toccava sempre tirar lo spago, nella bottega del calzolaio. Sua madre più giudiziosa lo calmò dicendogli che era meglio avere la suocera sott’occhio, per poterla sorvegliare. – Il peggio è se gli appioppa qualche figliuolo! – osservava lei che se ne intendeva. – E se il vecchio non c’era cascato sino a quel giorno, non voleva dire; che il sacramento del matrimonio fa dei miracoli peggio di quello.
La Olga, credendo diventar signora, fece il suo malanno col mettersi in grazia di Dio, e gli toccò subirsi il marito, il quale intendeva fare economia dei denari spesi prima, e per giunta la sora Antonietta, tornata in pace, che non la lasciava un momento solo, onde dimostrarle che non aveva fiele in corpo.
– Tutti quei dissapori devono aver fine. – diceva alla Olga ed al Sandro. – Adesso siete quasi come madre e figlio -.
La Olga dalla noia di non veder altri in casa sua, si era riconciliata col Sandrino. Gli pareva di tornare a quei bei tempi, quando non era così grassa; e anche lui si scordava della Marietta che s’era messa sulle spalle proprio per nulla. L’altra negli occhi ci aveva sempre quella guardatura che a lui gli metteva le pulci nel sangue, e quando la baciò per far la pace, gli parve come quando l’accompagnava ogni sera in via della Vetra. – Bei tempi, eh? sora Olga? – Ella raccontava che la Irma s’era fatta sposare dal banchiere, e la Carlotta era andata a cercar fortuna in America.
– Io sola non ho sorte!
– Bada a quel che fai! – predicava la sora Antonietta; – se affibbia un figliuolo al vecchio, dell’eredità vi leccherete i baffi -.
La Marietta, lì presente, approvava del capo.
– Siete matte? – rispondeva Sandro. – La roba di mia moglie! O per chi mi pigliate? –
Egli corteggiava la madrigna allo scopo di tenerla d’occhio, né più né meno, come faceva la sora Antonietta. L’accompagnava in via della Vetra, ché la Olga non aveva ombra di superbia, e gli piaceva stare nella bottega come quand’era ragazza. L’ortolana diceva ai due ragazzi:
– Vedete! chi l’avrebbe detto? Eppure ci siete tornati! Ma la sua mamma è pure una gran linguaccia, sor Sandrino! – Lasci stare, lasci stare! – ripeteva lui. E nell’andarsene, la sora Olga gli pigiava il gomito, come a dire: – Si ricorda? –
Era là, in quella stessa stradicciuola scura e tortuosa. Una volta che non passava gente, egli la strinse fra le braccia. D’allora non ebbero più pace; il sangue bolliva nelle vene a tutti e due, e si correvano dietro come due gatti in febbraio. La sora Antonietta predicava: – Bada a quel che fai! Bada veh! – Lui turbato, coi capelli arruffati e gli occhi fuori del capo, rispondeva sempre:
– No! No! siete matta? Quello no. State tranquilla! –
Il vecchio era geloso delle visite alla mamma e della gente che ci aveva sempre fra i piedi. Lagnavasi che gli avevano fatto la chiave falsa, e l’ortolana si pappava i suoi denari; la levatrice s’era tirata anche in casa la figliuola, quella di San Pietro all’Orto, e mangiavano tutti alle sue spalle, diceva. Quei dispiaceri gli accorciarono la vita. La Olga stava chiacchierando con Sandrino allato alla tromba, colla secchia in mano, poiché arrivavano anche a quei pretesti per vedersi, e non sapevano più stare alle mosse. Egli voleva toglierle la secchia dalle mani, tutto tremante. – No! No! – rispondeva lei, a capo chino, col petto ansante, perché era gelosa della Marietta. E Sandro balbettava che la Marietta era un’altra cosa. Lo giurava anche. Volergli bene sì, ma…
In questo momento alla finestra gridarono che al marito della Olga era venuto un accidente. Sandrino scappò a chiamare la moglie e la suocera. E tutti si piantarono dinanzi al letto, col viso arcigno. Appena il vecchio poté dar segno di vita, prima che venisse il prete, mandarono pel notaio. Il moribondo nel punto di comparire al giudizio di Dio, biascicò: – La roba a chi tocca -. E se ne andò in santa pace.
Quanto all’Olga la cacciarono fuori a pedate, e Sandrino giurò che voleva tenerle gli occhi addosso anche se si mutava di camicia, per impedirle di portar via la roba della sua Mariettina. Lei, sulle scale, gridava che il vecchio ladro gli aveva rubata la gioventù, e voleva litigare e dir tutte le porcherie di quella casa. Ma Sandrino, trattenendo la moglie per le sottane l’accarezzava e le diceva: – Non dar retta! Lasciala sgolare! Sai che donnaccia! Non ti guastare il sangue per colei! Ora vogliamo stare allegri -.