Vita di Galileo
27 Gennaio 2019ATTO QUARTO
27 Gennaio 2019Alessandro Manzoni
ADELCHI
SCENA TERZA
ADELCHI, TEUDI
TEUDI
Mio re.
ADELCHI
Restano amici ancora
Al re che cade?
TEUDI
Sì: color che amici
Eran d’Adelchi.
ADELCHI
E che partito han preso?
TEUDI
L’aspettano da te.
ADELCHI
Dove son essi?
TEUDI
Qui nel palazzo tuo, lungi dai tristi
A cui sol tarda d’esser vinti appieno.
ADELCHI
Tristo, o Teudi, il valor disseminato
Tra la viltà! – Compagni alla mia fuga
Io questi prodi prenderò: null’altro
Far ne poss’io; nulla ei per me far ponno,
Che seguirmi a Bisanzio. Ah! se avvi alcuno
Cui venga in mente un più gentil consiglio,
Per pietà , me lo dia. – Da te, mio Teudi,
Un più coral servigio, un più fidato
Attendo ancor: resta per ora; al padre
Fa che di me questa novella arrivi:
Ch’io son fuggito, ma per lui; ch’io vivo,
Per liberarlo un dì; che non disperi.
Vieni, e m’abbraccia: a dì più lieti! – Al duca
Di Verona dirai che non attenda
Ordini più da me. – Sulla tua fede
Riposo, o Teudi.
TEUDI
Oh! la secondi il cielo.
(escono dalle parti opposte)
SCENA QUARTA
Tenda nel campo di Carlo sotto Verona
CARLO, un ARALDO, ARVINO, CONTI
CARLO
Vanne, araldo, in Verona; e al duca, a tutti
I suoi guerrier questa parola esponi:
Re Carlo è qui: le porte aprite; egli entra
Grazioso signor; se no, più tarda
L’entrata fia, ma non men certa; e i patti
Quali un solo li detta, e inacerbito.
(l’Araldo parte)
ARVINO
Il vinto re chiede di parlarti, o sire.
CARLO
Che vuol?
ARVINO
Nol disse; ma pietosa istanza
Egli ne fea.
CARLO
Venga.
(Arvino parte)
Vediam colui,
Che destinata a un’altra fronte avea
La corona di Carlo.
(ai Conti)
Ite: alle mura
La custodia addoppiate; ad ogni sbocco
Si vegli in arme: e che nessun mi sfugga.
SCENA QUINTA
CARLO, DESIDERIO
CARLO
A che vieni, infelice? E che parola
Correr puote tra noi? Decisa il cielo
Ha la nostra contesa; e più non resta
Di che garrir. Tristi querele e pianto
Sparger dinanzi al vincitor, disdice
A chi fu re; né a me con detti acerbi
L’odio antico appagar lice, né questo
Gaudio superbo che in mio cor s’eleva,
Ostentarti sul volto; onde sdegnato
Dio non si penta, e alla vittoria in mezzo
Non m’abbandoni ancor. Né, certo, un vano
Da me conforto di parole attendi.
Che ti direi? ciò che t’accora, è gioia
Per me; né lamentar posso un destino,
Ch’io non voglio mutar. Tal del mortale
E’ la sorte quaggiù: quando alle prese
Son due di lor, forza è che l’un piangendo
Esca dal campo. Tu vivrai; null’altro
Dono ha Carlo per te.
DESIDERIO
Re del mio regno,
Persecutor del sangue mio, qual dono
Ai re caduti sia la vita, il sai?
E pensi tu, ch’io vinto, io nella polve,
Di gioia anco una volta inebbriarmi
Non potrei? del velen che il cor m’affoga,
Il tuo trionfo amareggiar? parole
Dirti di cui ti sovverresti, e in parte
Vendicato morir? Ma in te del cielo
Io la vendetta adoro, e innanzi a cui
Dio m’inchinò, m’inchino: a supplicarti
Vengo; e m’udrai; ché degli afflitti il prego
E’ giudizio di sangue a chi lo sdegna.
CARLO
Parla.
DESIDERIO
In difesa d’Adrian, tu il brando
Contro di me traesti?
CARLO
A che domandi
Quello che sai?
DESIDERIO
Sappi tu ancor che solo
Io nemico gli fui, che Adelchi – e m’ode
Quel Dio che è presso ai travagliati – Adelchi
Al mio furor preghi, consigli, ed anche,
Quanto è concesso a pio figliuol, rampogne
Mai sempre oppose: indarno!
CARLO
Ebben?
DESIDERIO
Compiuta
E’ la tua impresa: non ha più nemici
Il tuo Romano: intera, e tal che basti
Al cor più fiacco ed iracondo, ei gode
La sicurezza e la vendetta. A questo
Tu scendevi, e l’hai detto: allor tu stesso
Segnasti il termin dell’offesa. Ell’era
Causa di Dio, dicevi. E’ vinta; e nulla
Più ti domanda Iddio.
CARLO
Tu legge imponi
Al vincitor?
DESIDERIO
Legge? Oh! ne’ detti miei
Non ti fingere orgoglio, onde sdegnarli.
O Carlo, il ciel molto ti die’: ti vedi
Il nemico ai ginocchi, e dal suo labbro
Odi il prego sommesso e la lusinga;
Nel suolo ov’ei ti combattea, tu regni.
Ah! non voler di più: pensa che abborre
Gli smisurati desideri il cielo.
CARLO
Cessa.
DESIDERIO
Ah! m’ascolta: un dì tu ancor potresti
Assaggiar la sventura, e d’un amico
Pensier che ti conforti, aver bisogno;
E allor gioconda ti verrebbe in mente
Di questo giorno la pietà . Rammenta
Che innanzi al trono dell’Eterno un giorno
aspetterai tremando una risposta,
O di mercede o di rigor, com’io
Dal tuo labbro or l’aspetto. Ahi! già venduto
Il mio figlio t’è forse! Oh! se quell’alto
Spirto indomito, ardente, consumarsi
Deve in catene!… Ah no! pensa che reo
Di nulla egli è; difese il padre: or questo
Gli è tolto ancor. Che puoi temer? Per noi
Non c’è brando che fera: a te vassalli
Son quei che il furo a noi: da lor tradito
Tu non sarai: tutto è leale al forte.
Italia è tua; reggila in pace; un rege
Prigion ti basti; a stranio suol consenti
Che il figliuol mio…
CARLO
Non più; cosa mi chiedi
Tu! che da me non otterria Bertrada.
DESIDERIO
– Io ti pregava! io, che per certo a prova
Conoscerti dovea! Nega; sul tuo
Capo il tesor della vendetta addensa.
Ti fe’ l’inganno vincitor; superbo
La vittoria ti faccia e dispietato.
Calca i prostrati, e sali; a Dio rincresci…
CARLO
Taci, tu che sei vinto. E che? pur ieri
La mia morte sognavi, e grazie or chiedi,
Qual converria, se, nella facil ora
Di colloquio ospital, lieto io sorgessi
Dalla tua mensa! E perché amica e pari
Non sonò la risposta al tuo desio,
Anco mi vieni a imperversar d’intorno,
Come il mendico che un rifiuto ascolta!
Ma quel che a me tu preparavi – Adelchi
Era allor teco – non ne parli: or io
Ne parlerò. Da me fuggia Gerberga,
Da me cognato, e seco i figli, i figli
Del mio fratel traea, di strida empiendo
Il suo passaggio, come augel che i nati
Trafuga all’ugna di sparvier. Mentito
Era il terror: vero soltanto il cruccio
Di non regnar; ma obbrobriosa intanto
Me una fama pingea quasi un immane
Vorator di fanciulli, un parricida.
Io soffriva, e tacea. Voi premurosi
La sconsigliata raccettaste, ed eco
Feste a quel suo garrito. Ospiti voi
De’ nipoti di Carlo! Difensori
Voi, del mio sangue, contro me! Tornata
Or finalmente è, se nol sai, Gerberga
A cui fuggir mai non doveva; a questo
Tutor tremendo i figli adduce, e fida
Le care vite a questa man. Ma voi,
Altro che vita, un più superbo dono
Destinavate a’ miei nipoti. Al santo
Pastor chiedeste, e non fu inerme il prego,
Che sulle chiome de’ fanciulli, al peso
Non pur dell’elmo avvezze, ei, da spergiuro,
L’olio versasse del Signor. Sceglieste
Un pugnal, l’affilaste, e al più diletto
Amico mio por lo voleste in pugno,
Perch’egli in cor me lo piantasse. E quando
Io, tra ‘l V’èsero infido o la selvaggia
Elba, i nemici a debellar del cielo
Mi sarei travagliato, in Francia voi
Correre, insegna contro insegna, e crisma
Contro crisma levar, perfidi! e pormi
In un letto di spine, il più giocondo
De’ vostri sogni era codesto. Al cielo
Parve altrimenti. Voi tempraste al mio
Labbro un calice amaro; ei v’è rimasto:
Votatelo. Di Dio tu mi favelli;
S’io nol temessi, il rio che tanto ardia
Pensi che in Francia il condurrei captivo?
Cogli ora il fior che hai coltivato, e taci.
Inesausta di ciance è la sventura;
Ma del par sofferente e infaticato
Non è d’offeso vincitor l’orecchio.
SCENA SESTA
CARLO, DESIDERIO, ARVINO
ARVINO
Viva re Carlo! Al cenno tuo, dai valli
Calan le insegne; strepitando a terra
Van le sbarre nemiche; ai claustri aperti
Ognun s’affolla, ed all’omaggio accorre.
DESIDERIO
Ahi dolente, che ascolto! e che mi resta
Ad ascoltar!
CARLO
Né si sottrasse alcuno?
ARVINO
Nessuno, o re: pochi il tentar, ma invano.
Sorpresi nella fuga, d’ogni parte
Cinti, pugnar fino all’estremo; e tutti
Restar sul campo, quale estinto, e quale
Ferito a morte.
CARLO
E son?
ARVINO
Tale è presente,
A cui troppo dorrà, se tutto io dico.
DESIDERIO
Nunzio di morte, tu l’hai detto.
CARLO
Adelchi
Dunque perì?
DESIDERIO
Parla, o crudele, al padre.
ARVINO
La luce ei vede, ma per poco, offeso
D’immedicabil colpo. Il padre ei chiede,
E te pur anche, o sire.
DESIDERIO
E questo ancora
Mi negherai?
CARLO
No, sventurato. – Arvino,
Fa ch’ei sia tratto a questa tenda; e digli
Che non ha più nemici.
SCENA SETTIMA
CARLO, DESIDERIO
DESIDERIO
Oh! come grave
Sei tu discesa sul mio capo antico,
Mano di Dio! Qual mi ritorni il figlio!
Figlio, mia sola gloria, io qui mi struggo,
E tremo di vederti. Io del tuo corpo
Mirerò la ferita! io che dovea
Esser pianto da te! Misero! io solo
Ti trassi a ciò: cieco amator, per farti
Più bello il soglio, io ti scavai la tomba!
Se ancor, tra il canto de’ guerrier, caduto
Fossi in un giorno di vittoria! o chiusi,
Tra il singulto de’ tuoi, tra il riverente
Dolor de’ fidi, sul real tuo letto,
Gli occhi io t’avessi… ah! saria stato ancora
Ineffabil cordoglio! Ed or morrai
Non re, deserto, al tuo nemico in mano,
Senza lamenti che del padre, e sparsi
Innanzi ad uom che in ascoltarli esulta?
CARLO
Veglio, t’inganna il tuo dolor. Pensoso,
Non esultante, d’un gagliardo il fato
Io contemplo, e d’un re. Nemico io fui
D’Adelchi; egli era il mio, né tal, che in questo
Novello seggio io riposar potessi,
Lui vivo, e fuor delle mie mani. Or egli
Stassi in quelle di Dio: quivi non giunge
La nimistà d’un pio.
DESIDERIO
Dono funesto
La tua pietà , s’ella giammai non scende,
Che sui caduti senza speme in fondo;
Se allor soltanto il braccio tuo rattieni,
Che più loco non trovi alle ferite.
SCENA OTTAVA
CARLO, DESIDERIO, ADELCHI, ferito e portato
DESIDERIO
Ahi, figlio!
ADELCHI
O padre, io ti rivedo! Appressa;
Tocca la mano del tuo figlio.
DESIDERIO
Orrendo
M’è il vederti così.
ADELCHI
Molti sul campo
Cadder così per la mia mano.
DESIDERIO
Ahi, dunque
Insanabile, o caro, è questa piaga?
ADELCHI
Insanabile.
DESIDERIO
Ahi lasso! ahi guerra atroce!
Io crudel che la volli; io che t’uccido!
ADELCHI
Non tu, né questi, ma il Signor d’entrambi.
DESIDERIO
Oh desiato da quest’occhi, oh quanto
Lunge da te soffersi! Ed un pensiero
Fra tante ambasce mi reggea, la speme
Di narrartele un giorno, in una fida
Ora di pace.
ADELCHI
Ora per me di pace,
Credilo, o padre, è giunta; ah! pur che vinto
Te dal dolor quaggiù non lasci.
DESIDERIO
Oh fronte
Balda e serena! oh man gagliarda! oh ciglio
Che spiravi il terror!
ADELCHI
Cessa i lamenti,
Cessa o padre, per Dio! Non era questo
Il tempo di morir? Ma tu, che preso
Vivrai, vissuto nella reggia, ascolta.
Gran segreto è la vita, e nol comprende
Che l’ora estrema. Ti fu tolto un regno:
Deh! nol pianger; mel credi. Allor che a questa
Ora tu stesso appresserai, giocondi
Si schiereranno al tuo pensier dinanzi
Gli anni in cui re non sarai stato, in cui
Né una lagrima pur notata in cielo
Fia contro te, né il nome tuo saravvi
Con l’imprecar de’ tribolati asceso.
Godi che re non sei; godi che chiusa
All’oprar t’è ogni via: loco a gentile,
Ad innocente opra non v’è: non resta
Che far torto, o patirlo. Una feroce
Forza il mondo possiede, e fa nomarsi
Dritto: la man degli avi insanguinata
Seminò l’ingiustizia; i padri l’hanno
Coltivata col sangue; e omai la terra
Altra messe non dà. Reggere iniqui
Dolce non è; tu l’hai provato: e fosse;
Non dee finir così? Questo felice,
Cui la mia morte fa più fermo il soglio,
Cui tutto arride, tutto plaude e serve,
Questo è un uom che morrà.
DESIDERIO
Ma ch’io ti perdo,
Figlio, di ciò chi mi consola?
ÀDELCHI
Il Dio
Che di tutto consola.
(si volge a Carlo)
E tu superbo
Nemico mio…
CARLO
Con questo nome, Adelchi,
Più non chiamarmi; il fui: ma con le tombe
Empia e villana è nimistà; né tale,
Credilo, in cor cape di Carlo.
ADELCHI
E amico
Il mio parlar sarà, supplice, e schivo
D’ogni ricordo ad ambo amaro, e a questo
Per cui ti prego, e la morente mano
Ripongo nella tua. Che tanta preda
Tu lasci in libertà… questo io non chiedo…
Ché vano, il veggo, il mio pregar saria,
Vano il pregar d’ogni mortale. Immoto
E’ il senno tuo; né a questo segno arriva
Il tuo perdon. Quel che negar non puoi
Senza esser crudo, io ti domando. Mite,
Quant’esser può, scevra d’insulto sia
La prigionia di questo antico, e quale
La imploreresti al padre tuo, se il cielo
Al dolor di lasciarlo in forza altrui
Ti destinava. Il venerabil capo
D’ogni oltraggio difendi: i forti contro
I caduti, son molti; e la crudele
Vista ei non deve sopportar d’alcuno
Che vassallo il tradì.
CARLO
Porta all’avello
Questa lieta certezza: Adelchi, il cielo
Testimonio mi sia; la tua preghiera
E’ parola di Carlo.
ADELCHI
Il tuo nemico
Prega per te, morendo.
SCENA NONA
ARVINO, CARLO, DESIDERIO, ADELCHI
ARVINO
Impazienti,
Invitto re, chiedon guerrieri e duchi
D’esser ammessi.
ADELCHI
Carlo!
CARLO
Alcun non osi
Avvicinarsi a questa tenda. Adelchi
E’ signor qui. Solo d’Adelchi il padre,
E il pio ministro del perdon divino
Han qui l’accesso.
(parte con Arvino)
SCENA DECIMA
DESIDERIO, ADELCHI
DESIDERIO
Ahi, mio diletto!
ADELCHI
O padre,
Fugge la luce da quest’occhi.
DESIDERIO
Adelchi,
No, non lasciarmi!
ADELCHI
O Re de’ re tradito
Da un tuo Fedel, dagli altri abbandonato!…
Vengo alla pace tua: l’anima stanca
Accogli.
DESIDERIO
Ei t’ode: oh ciel! tu manchi! ed io…
In servitude a piangerti rimango.
FINE DELLA TRAGEDIA