La prosa del duecento
28 Dicembre 2019L’indefinito negativo nemo nihil
28 Dicembre 2019Nei versi 85-145 del Canto XII del Paradiso, Dante prosegue il suo elogio delle due grandi figure della Chiesa: San Francesco e San Domenico.
Qui parla di San Bonaventura, un francescano, il quale rende omaggio a San Domenico, dopo che San Tommaso d’Aquino aveva lodato San Francesco nel canto precedente. Questa sezione riguarda quindi la grandezza dei due fondatori degli ordini mendicanti e la loro eredità spirituale.
Parafrasi:
vv. 85-90
In breve tempo, San Domenico divenne un grande dottore, tanto da assumersi il compito di prendersi cura della “vigna” della Chiesa, che presto sarebbe rovinata se il “vignaio” fosse stato colpevole. E al seggio papale, che una volta era stato benigno verso i giusti poveri, non chiese favori materiali come concessioni, decime o rendite vacanti (non per colpa della Chiesa stessa, ma di chi la guidava in modo corrotto), ma piuttosto ottenne il permesso di combattere contro il mondo errante per difendere la fede.
vv. 91-96
Non chiese favori come la concessione di indulgenze, ma il permesso di lottare per il bene della Chiesa. Con la sua dottrina e volontà, insieme all’autorità apostolica, si mosse come un torrente spinto da una fonte potente. Il suo impeto colpì gli eretici, soprattutto dove la resistenza era più forte.
vv. 97-102
Da San Domenico derivarono molti rami, ovvero seguaci, che irrigarono il giardino cattolico, mantenendo vive le sue piante. Se San Domenico fu una delle ruote del carro con cui la Chiesa si difese e vinse le sue battaglie interne, dovrebbe essere chiara l’eccellenza dell’altra ruota, ovvero San Francesco, di cui San Tommaso aveva parlato in termini molto generosi.
vv. 103-108
Ma la via tracciata da San Francesco (la “circonferenza” della sua orbita) è stata abbandonata, e dove un tempo c’era fermento e vigore, ora c’è decadenza. La sua famiglia, ovvero i francescani, che seguivano fedelmente le sue orme, si è così allontanata che i membri più giovani scavalcano i più anziani, sovvertendo l’ordine.
vv. 109-114
Presto si vedranno i frutti di questa cattiva coltivazione, quando la zizzania (le erbacce) si lamenterà per essere stata estirpata. Tuttavia, se qualcuno cercasse nei testi della nostra tradizione, troverebbe ancora delle pagine che dicono: “Io sono quello che ero”, ossia che rimangono ancora alcuni che seguono fedelmente l’ideale francescano.
vv. 115-120
Ma non provengono da Casale o da Acquasparta, luoghi da cui sono venuti francescani che, invece di aderire allo spirito originario dell’ordine, o lo fuggono o lo piegano a loro piacimento. Io sono Bonaventura da Bagnoregio, che negli alti uffici ecclesiastici ho sempre anteposto il bene comune ai miei interessi personali.
vv. 121-126
Qui con me ci sono Illuminato e Agostino, tra i primi francescani scalzi che, con il saio, si fecero amici di Dio. Con loro c’è Ugo da San Vittore, Pietro Mangiadore e Pietro Spano, che brilla nella sua opera di dodici libri.
vv. 127-132
Sono presenti anche il profeta Natàn, l’arcivescovo Crisostomo, Sant’Anselmo e Donato, che ebbe il merito di dedicarsi allo studio delle arti liberali.
vv. 133-138
Qui c’è anche Rabano Mauro e, accanto a me, splende l’abate calabrese Gioacchino da Fiore, dotato di spirito profetico. A lodare così tanto San Domenico mi ha spinto la cortesia infiammata di Tommaso d’Aquino e la sua arguzia latina.
vv. 139-145
Insieme a me si è unita questa nobile schiera di spiriti illuminati.
Commento:
Questa parte del canto si concentra sull’elogio delle due grandi figure della cristianità medievale, San Francesco e San Domenico, rappresentati rispettivamente dalle figure di San Tommaso e San Bonaventura. Il tema centrale è la decadenza degli ordini religiosi rispetto all’ideale originario. Bonaventura parla della degenerazione del suo stesso ordine francescano, sottolineando come molti membri non seguano più fedelmente la via tracciata dal fondatore, San Francesco. Il paragone tra il buon vignaiolo e il vigneto che imbianca a causa della cattiva gestione sottolinea la necessità di una guida forte e moralmente retta.
In particolare, Bonaventura critica coloro che chiedono benefici materiali (come decime e concessioni) invece di dedicarsi alla difesa della fede. La decadenza dei francescani è presentata con immagini agricole: le cattive coltivazioni (le deviazioni dal percorso originario) porteranno una cattiva raccolta, ovvero le conseguenze negative si vedranno presto. Tuttavia, Bonaventura riconosce che ci sono ancora francescani che mantengono viva la purezza originaria, sebbene non provengano dai centri di potere e influenza dell’ordine, come Casale o Acquasparta.
Analisi stilistica:
Dante utilizza potenti metafore agricole per descrivere lo stato della Chiesa e degli ordini mendicanti. La “vigna” rappresenta chiaramente la Chiesa, e il “vignaio” che ne è responsabile deve agire con cura, altrimenti il vigneto si rovina. Questo richiama la responsabilità dei leader spirituali e il loro ruolo nella cura delle anime.
L’immagine della “biga”, il carro con due ruote, è una rappresentazione dell’equilibrio tra i due ordini mendicanti, che insieme hanno contribuito alla difesa della Chiesa. Tuttavia, la ruota francescana, secondo Bonaventura, ha deviato dalla sua giusta orbita, cadendo nell’abbandono e nella corruzione. Anche l’immagine del torrente, che rappresenta la potenza della predicazione di Domenico, è particolarmente vivida: il torrente travolge gli ostacoli, simboleggiando l’impeto con cui l’ordine domenicano ha combattuto contro le eresie.
Il canto, infine, termina con l’elenco di grandi figure intellettuali e spirituali, che rappresentano l’eccellenza teologica e profetica, segnalando una continuità nella tradizione della Chiesa che, nonostante i momenti di decadenza, ha sempre mantenuto un nucleo di purezza.
In sintesi, questa sezione del canto sottolinea l’importanza della fedeltà agli ideali originari e mette in guardia contro i pericoli della degenerazione morale e spirituale. Bonaventura celebra San Domenico e denuncia la corruzione all’interno del suo stesso ordine, riconoscendo però che vi sono ancora esempi di fedeltà e purezza.
Testo e parafrasi dei versi 85-145 del dodicesimo canto del Paradiso di Dante
Testo:
in picciol tempo gran dottor si feo; E a la sedia che fu già benigna non dispensare o due o tre per sei, addimandò, ma contro al mondo errante Poi, con dottrina e con volere insieme, e ne li sterpi eretici percosse Di lui si fecer poi diversi rivi Se tal fu l’una rota de la biga ben ti dovrebbe assai esser palese Ma l’orbita che fé la parte somma La sua famiglia, che si mosse dritta e tosto si vedrà de la ricolta Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio ma non fia da Casal né d’Acquasparta, Io son la vita di Bonaventura Illuminato e Augustin son quici, Ugo da San Vittore è qui con elli, Natàn profeta e ’l metropolitano Rabano è qui, e lucemi dallato Ad inveggiar cotanto paladino e mosse meco questa compagnia». |
Parafrasi
vv. 85-90 E al seggio papale, che una volta era stato benigno verso i giusti poveri, non chiese favori materiali come concessioni, decime o rendite vacanti (non per colpa della Chiesa stessa, ma di chi la guidava in modo corrotto), ma piuttosto ottenne il permesso di combattere contro il mondo errante per difendere la fede. vv. 91-96 Con la sua dottrina e volontà, insieme all’autorità apostolica, si mosse come un torrente spinto da una fonte potente. Il suo impeto colpì gli eretici, soprattutto dove la resistenza era più forte. vv. 97-102 Se San Domenico fu una delle ruote del carro con cui la Chiesa si difese e vinse le sue battaglie interne, dovrebbe essere chiara l’eccellenza dell’altra ruota, ovvero San Francesco, di cui San Tommaso aveva parlato in termini molto generosi. vv. 103-108 La sua famiglia, ovvero i francescani, che seguivano fedelmente le sue orme, si è così allontanata che i membri più giovani scavalcano i più anziani, sovvertendo l’ordine. vv. 109-114 Tuttavia, se qualcuno cercasse nei testi della nostra tradizione, troverebbe ancora delle pagine che dicono: “Io sono quello che ero”, ossia che rimangono ancora alcuni che seguono fedelmente l’ideale francescano. vv. 115-120 Io sono Bonaventura da Bagnoregio, che negli alti uffici ecclesiastici ho sempre anteposto il bene comune ai miei interessi personali. vv. 121-126 Con loro c’è Ugo da San Vittore, Pietro Mangiadore e Pietro Spano, che brilla nella sua opera di dodici libri. vv. 127-132 vv. 133-138 A lodare così tanto San Domenico mi ha spinto la cortesia infiammata di Tommaso d’Aquino e la sua arguzia latina. vv. 139-145 |