Marco Porcio Catone
28 Dicembre 2019Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
28 Dicembre 2019Nel Canto VI dell’Inferno (vv. 55-115), Dante si trova nel terzo cerchio, dove sono puniti i golosi.
Versi 55-115
In questa parte, Dante dialoga con Ciacco, che lo riconosce come fiorentino e inizia una conversazione rivelatrice. Ciacco fa una profezia sui futuri scontri politici di Firenze, divisa tra le fazioni dei Bianchi e dei Neri. Egli prevede l’esilio dei Bianchi, a cui apparteneva Dante, e il trionfo dei Neri, una situazione che storicamente si verificò nel 1302, quando Dante fu condannato all’esilio.
Temi chiave:
- Condanna della golosità: la pena inflitta ai golosi simboleggia la loro incapacità di moderarsi in vita, costretti ora a subire una pioggia incessante di fango e sudiciume.
- Profezia politica: Ciacco fa un’analisi critica e amara del futuro politico di Firenze, una città dilaniata dall’odio fratricida e dall’ambizione, anticipando il caos che l’avrebbe caratterizzata.
- Ciacco: rappresenta una delle anime che si rassegnano alla condizione infernale, ma allo stesso tempo esprime il desiderio di essere ricordato nel mondo dei vivi.
Testo (vv. 55-115)
Dante chiede a Ciacco notizie sul destino di Firenze (vv. 55-63), e Ciacco risponde con la sua profezia politica (vv. 64-75). Nei versi seguenti, Dante domanda informazioni su altri fiorentini famosi (vv. 76-90), ma Ciacco risponde che tutti i personaggi nominati sono ormai dannati e il loro ricordo è svanito. Infine, Ciacco prega Dante di ricordarlo fra i vivi (vv. 91-111) e ripiomba nel suo tormento. Il canto termina con una riflessione di Dante sulla miseria e la transitorietà delle cose umane (vv. 112-115).
Versi 55-115 (traduzione e sintesi):
55-63:
Dante, mosso dalla pietà, domanda a Ciacco quale sarà il destino della sua città, Firenze, e chi sarà vincitore nella lotta tra fazioni.
64-75:
Ciacco profetizza che, dopo una breve tregua, la città sarà divisa dalla guerra civile e i Neri vinceranno, condannando i Bianchi all’esilio.
76-90:
Dante, continuando il dialogo, chiede di personaggi illustri come Farinata, Tegghiaio, Iacopo Rusticucci, Arrigo e Mosca. Ciacco risponde che tutti sono all’inferno, condannati per le loro colpe.
91-111:
Ciacco conclude chiedendo a Dante di ricordarlo tra i vivi, prima di ripiombare nel tormento che gli è assegnato.
112-115:
Dante riflette sulla caducità della gloria terrena e sulle miserie umane.
Commento
La figura di Ciacco è particolarmente significativa perché, pur essendo punito per il peccato di gola, si rivela un personaggio dotato di grande lucidità politica. La sua profezia si dimostrerà accurata, e il suo dialogo con Dante pone il poeta di fronte alla crudele realtà delle divisioni interne alla sua città natale.
Dante utilizza il destino dei golosi e le profezie di Ciacco come metafora dell’inevitabile corruzione morale e politica che affliggeva Firenze e, più in generale, l’Italia del tempo.
Testo e parafrasi dei versi 55-115 del sesto canto dell’Inferno di Dante
Testo
E io anima trista non son sola, Io li rispuosi: “Ciacco, il tuo affanno li cittadin de la città partita; E quelli a me: “Dopo lunga tencione Poi appresso convien che questa caggia Alte terrà lungo tempo le fronti, Giusti son due, e non vi sono intesi; Qui puose fine al lagrimabil suono. Farinata e ’l Tegghiaio, che fuor sì degni, dimmi ove sono e fa ch’io li conosca; E quelli: “Ei son tra l’anime più nere; Ma quando tu sarai nel dolce mondo, Li diritti occhi torse allora in biechi; E ’l duca disse a me: “Più non si desta ciascun rivederà la trista tomba, Sì trapassammo per sozza mistura per ch’io dissi: “Maestro, esti tormenti Ed elli a me: “Ritorna a tua scïenza, Tutto che questa gente maladetta Noi aggirammo a tondo quella strada, quivi trovammo Pluto, il gran nemico. |
Parafrasi E io, un’anima triste, non sono sola, perché tutte queste anime soffrono la stessa pena per colpa simile”. Poi non disse più nulla. Io gli risposi: “Ciacco, il tuo dolore mi colpisce così tanto che mi spinge a piangere; ma dimmi, se lo sai, quale sarà il destino dei cittadini della città divisa; se c’è qualcuno giusto tra loro; e spiegami la causa che ha portato tanta discordia.” E lui mi rispose: “Dopo un lungo conflitto, si arriverà al sangue, e la fazione selvaggia scaccerà l’altra con grande violenza. Poi, entro tre anni, quella fazione cadrà e l’altra prevarrà con l’aiuto di un potente alleato. Quella che vincerà manterrà il potere per molto tempo, oppressando l’altra, nonostante le lacrime o l’umiliazione. Ci sono solo due giusti, ma non sono ascoltati; superbia, invidia e avarizia sono le tre scintille che hanno infiammato i cuori”. Qui finì il suo doloroso discorso. E io a lui: “Vorrei che mi insegnassi ancora e che mi facessi il dono di parlarmi di più. Farinata e Tegghiaio, che furono così nobili, Iacopo Rusticucci, Arrigo e Mosca e gli altri che si impegnarono a fare il bene, dimmi dove si trovano e fa’ in modo che io li riconosca.”Perché ho un grande desiderio di sapere se il cielo li addolcisce o se l’inferno li tormenta”. E lui: “Essi sono tra le anime più nere; colpe diverse li gravano in fondo: se scendi abbastanza, li potrai vedere”. Ma quando sarai tornato nel dolce mondo, ti prego di ricordarmi agli altri: non ti dico altro e non risponderò di più”. Allora distolse gli occhi in modo torvo; mi guardò un poco e poi abbassò la testa: cadde con essa insieme agli altri ciechi. E il mio maestro mi disse: “Non si risveglierà più fino al suono della tromba angelica, quando arriverà il potere nemico: ciascuno rivedrà la sua triste tomba, riprenderà il proprio corpo e la sua forma, e ascolterà ciò che risuonerà per l’eternità”. Così avanzammo attraverso la disgustosa mistura di anime e pioggia, a passi lenti, parlando un poco del destino futuro; perciò gli dissi: “Maestro, queste pene aumenteranno dopo la sentenza finale, o saranno minori, o resteranno così dolorose?” E lui mi rispose: “Ricorda ciò che hai imparato, che dice: quanto più una cosa è perfetta, più sente il bene, e così anche il dolore. Anche se questa gente maledetta non raggiungerà mai la vera perfezione, si aspetta che soffrano di più di là che qui”. Noi girammo in tondo quella strada, parlando molto più di quanto io possa riferire; giungemmo al punto dove la strada scendeva: lì trovammo Pluto, il grande nemico. |