Nebbia di Giovanni Pascoli
28 Dicembre 2019Pianto antico di Giosuè Carducci
28 Dicembre 2019I versi 1-102 del XIII canto dell’Inferno di Dante Alighieri descrivono il secondo girone del settimo cerchio, riservato ai suicidi e agli scialacquatori.
In questo girone, le anime dei suicidi, che in vita si privarono del proprio corpo, vengono trasformate in alberi tormentati dalle Arpie, creature mostruose che si nutrono delle loro foglie, infliggendo loro dolore. Il canto mette in evidenza la punizione divina inflitta a chi ha commesso suicidio, che consiste nella trasformazione in piante che soffrono eternamente. La scena principale ruota attorno all’incontro tra Dante e l’anima di Pier della Vigna, ministro dell’imperatore Federico II, che racconta la sua tragica vicenda.
Analisi
Prima terzina (vv. 1-3)
Non era ancor di là Nesso arrivato,
quando noi ci mettemmo per un bosco
che da neun sentiero era segnato.
Dante, accompagnato da Virgilio e guidato dal centauro Nesso, entra in un bosco selvaggio, privo di sentieri, rappresentazione della confusione e della perdizione delle anime dei suicidi.
Seconda terzina (vv. 4-6)
Non fronda verde, ma di color fosco;
non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;
non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco.
Il paesaggio descritto è cupo e spaventoso: le piante non hanno foglie verdi ma sono scure, con rami intricati e nodosi. Non vi sono frutti, ma solo rami secchi e avvelenati. Questo bosco infernale rappresenta la sofferenza e la morte delle anime imprigionate negli alberi.
Terza terzina (vv. 7-9)
Non han sì aspri sterpi né sì folti
quelle fiere selvagge che ’n odio hanno
tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.
Dante paragona la selva infernale ai boschi selvaggi tra Cecina e Corneto, due località della Maremma toscana, noti per la loro asprezza. Tuttavia, il bosco dell’Inferno è ben peggiore.
Quarta terzina (vv. 10-12)
Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,
che cacciar de le Strofade i Troiani
con tristo annunzio di futuro danno.
In questo luogo dimorano le Arpie, creature mitologiche con corpi di uccelli e visi umani, che si nutrirono delle anime dei suicidi. Dante richiama l’episodio virgiliano dell’Eneide, dove le Arpie scacciarono i Troiani dall’isola delle Strofade.
Quinta terzina (vv. 13-15)
Ali hanno late, e colli e visi umani,
piè con artigli, e pennuto ’l gran ventre;
fanno lamenti in su li alberi strani.
Le Arpie sono descritte in modo dettagliato: hanno grandi ali, artigli al posto dei piedi, e colli e visi umani. Il loro canto non è altro che un lamento doloroso, che si mescola alle sofferenze delle anime-prigioni.
Sesta terzina (vv. 16-18)
E ’l buon maestro “Prima che più entre,
sappi che se’ nel secondo girone”,
mi cominciò a dire, “e sarai mentre
Virgilio, la guida di Dante, lo avverte che si trovano nel secondo girone del settimo cerchio, quello riservato ai suicidi. Qui, Dante sarà testimone di grandi sofferenze.
Settima terzina (vv. 19-21)
che tu verrai ne l’orribil sabbione.
Però riguarda ben; sì vederai
cose che torrien fede al mio sermone”.
Virgilio annuncia che Dante vedrà cose che metteranno alla prova la sua capacità di credere, tanto saranno incredibili. Fa riferimento al prossimo girone, il sabbione, dove sono puniti i bestemmiatori, i violenti contro Dio.
Ottava terzina (vv. 22-24)
Io sentia d’ogne parte trarre guai
e non vedea persona che ’l facesse;
per ch’io tutto smarrito m’arrestai.
Dante sente grida e lamenti provenire da ogni parte, ma non riesce a vedere chi ne sia l’autore, creando una sensazione di smarrimento e angoscia.
Nona terzina (vv. 25-27)
Cred’ïo ch’ei credette ch’io credesse
che tante voci uscisser, tra quei bronchi,
da gente che per noi si nascondesse.
Dante sospetta che le voci provengano da persone nascoste tra i rami del bosco. È confuso e incerto su quanto stia accadendo.
Decima terzina (vv. 28-30)
Però disse ’l maestro: “Se tu tronchi
qualche fraschetta d’una d’este piante,
li pensier c’ hai si faran tutti monchi”.
Virgilio, per chiarire il mistero, suggerisce a Dante di spezzare un ramo da uno degli alberi per comprendere la natura delle anime che vi sono imprigionate.
Undicesima terzina (vv. 31-33)
Allor porsi la mano un poco avante
e colsi un ramicel da un gran pruno;
e ’l tronco suo gridò: “Perché mi schiante?”.
Dante obbedisce e spezza un ramo da un albero, che subito emette un grido di dolore, rivelando che le piante contengono anime umane.
Dodicesima terzina (vv. 34-36)
Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricominciò a dir: “Perché mi scerpi?
non hai tu spirto di pietade alcuno?
Dal ramo spezzato esce sangue scuro, e l’anima lamenta l’atto di Dante, accusandolo di mancanza di pietà.
Tredicesima terzina (vv. 37-39)
Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
ben dovrebb’esser la tua man più pia,
se state fossimo anime di serpi”.
L’anima spiega la sua condizione: una volta erano uomini, ma ora sono stati trasformati in arbusti. Ci si aspetterebbe più compassione da parte di chi, come Dante, comprende la loro sofferenza.
Commento
Il canto XIII dell’Inferno si concentra sulla pena dei suicidi, anime che in vita si sono tolte la vita e che, per punizione, sono imprigionate in alberi o sterpi. La loro condizione esprime il distacco radicale tra anima e corpo, che continua a tormentarle anche nell’aldilà. La figura centrale è Pier della Vigna, segretario dell’imperatore Federico II, che racconta il suo tragico destino: vittima di false accuse, Pier si suicida per sfuggire al disonore, e ora soffre per l’eternità come un albero spezzato.
Il tema del suicidio è trattato con grande delicatezza da Dante, che esprime, attraverso Pier, il dolore dell’anima e la disperazione che l’ha portata a compiere l’atto. La pena è terribile: gli alberi soffrono ogni volta che vengono feriti, e non possono parlare se non attraverso il dolore. Le Arpie, che si nutrono delle foglie, rappresentano il tormento continuo che le anime subiscono.
La descrizione della selva infernale è particolarmente efficace: il paesaggio è cupo e intricato, privo di vita e pieno di angoscia. L’immagine del sangue che sgorga dai rami spezzati è un potente simbolo della sofferenza eterna, una rappresentazione visiva dell’irrevocabile separazione tra anima e corpo.
Testo e parafrasi
(vv. 1-3)
Non era ancor di là Nesso arrivato,
quando noi ci mettemmo per un bosco
che da neun sentiero era segnato.3
Nesso non era ancora arrivato dall’altra parte del fiume quando noi entrammo in un bosco senza sentieri.
(vv. 4-6)
Non fronda verde, ma di color fosco;
non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;
non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco.6
Le foglie non erano verdi, ma scure, e i rami non erano dritti, ma nodosi e intrecciati; non c’erano frutti, ma solo rami secchi con veleno.
(vv. 7-9)
Non han sì aspri sterpi né sì folti
quelle fiere selvagge che ’n odio hanno
tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.9
Nemmeno i boschi selvaggi della Maremma sono così intricati e fitti come questo.
(vv. 10-12)
Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,
che cacciar de le Strofade i Troiani
con tristo annunzio di futuro danno.12
Qui fanno i loro nidi le brutte Arpie, che scacciarono i Troiani dalle isole Strofade con l’annuncio di futuri mali.
(vv. 13-15)
Ali hanno late, e colli e visi umani,
piè con artigli, e pennuto ’l gran ventre;
fanno lamenti in su li alberi strani.15
Hanno grandi ali, colli e volti umani, artigli come piedi e grandi ventri piumati. Sui rami emettono lamenti.
(vv. 16-18)
E il buon maestro: «Prima che più entre,
sappi che se’ nel secondo girone»,
mi cominciò a dire, «e sarai mentre
E il buon maestro (Virgilio) mi disse: «Prima di andare oltre, sappi che ti trovi nel secondo girone, e vi rimarrai finché non arriverai nell’orribile sabbia (del terzo girone).»
(vv. 19-21)
che tu verrai ne l’orribil sabbione.
Però riguarda ben; sì vederai
cose che torrien fede al mio sermone».
Arriverai nell’orribile distesa di sabbia. Presta attenzione, perché vedrai cose che potrebbero farti dubitare di quanto ti ho detto.»
(vv. 22-24)
Io sentia d’ogne parte trarre guai
e non vedea persona che ’l facesse;
per ch’io tutto smarrito m’arrestai.
Sentivo lamenti e grida provenire da ogni parte, ma non vedevo nessuno che li emettesse. Per questo mi fermai, completamente smarrito.
(vv. 25-27)
Cred’ïo ch’ei credette ch’io credesse
che tante voci uscisser, tra quei bronchi,
da gente che per noi si nascondesse.
Penso che Virgilio avesse capito che io credessi che tutte quelle voci uscissero dai cespugli, pensando che ci fossero persone nascoste lì.
(vv. 28-30)
Però disse ’l maestro: «Se tu tronchi
qualche fraschetta d’una d’este piante,
li pensier c’hai si faran tutti monchi».
Allora il maestro disse: «Se stacchi un ramoscello da uno di questi alberi, capirai e le tue idee cambieranno radicalmente.»
(vv. 31-33)
Allor porsi la mano un poco avante
e colsi un ramicel da un gran pruno;
e ’l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?».
Allungai la mano e staccai un piccolo ramo da un grande cespuglio; subito il tronco gridò: «Perché mi stacchi?»
(vv. 34-36)
Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?
non hai tu spirto di pietade alcuno?
Dal ramo spezzato uscì del sangue scuro, e continuò a parlare dicendo: «Perché mi fai a pezzi? Non hai nessun sentimento di pietà?»
(vv. 37-39)
Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
ben dovrebb’esser la tua man più pia,
se state fossimo anime di serpi».
Fummo uomini, e ora siamo stati trasformati in cespugli: la tua mano dovrebbe essere più compassionevole, anche se fossimo anime di serpenti.»
(vv. 40-42)
Come d’un stizzo verde ch’arso sia
da l’un de’ capi, che da l’altro geme
e cigola per vento che va via,
Come un legno verde che brucia da una parte, mentre dall’altra gorgoglia e geme a causa del vapore che si sprigiona,
(vv. 43-45)
sì de la scheggia rotta usciva insieme
parole e sangue; ond’io lasciai la cima
cadere, e stetti come l’uom che teme.
così dal ramoscello spezzato uscivano insieme parole e sangue; perciò lasciai cadere il ramoscello e rimasi fermo come un uomo impaurito.
(vv. 46-48)
«S’elli avesse potuto creder prima»,
rispuose ’l savio mio, «anima lesa,
ciò ch’ha veduto pur con la mia rima,
«Se avesse potuto crederci prima», disse il mio saggio maestro, «anima ferita, ciò che ha appena visto tramite i miei versi,
(vv. 49-51)
non averebbe in te la man distesa;
ma la cosa incredibile mi fece
indurlo ad ovra ch’a me stesso pesa.
non ti avrebbe fatto questo torto; ma il fatto che la situazione sia incredibile mi ha spinto a fargli compiere quest’azione, della quale io stesso mi rammarico.
(vv. 52-54)
Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n vece
d’alcun’ammenda tua fama rinfreschi
nel mondo sù, dove tornar li lece».
Ora, però, raccontagli chi eri in vita, così che la tua fama possa essere rinfrescata sulla Terra, dove coloro che vivono ancora possono tornare.»
(vv. 55-57)
E ’l tronco: «Sì col dolce dir m’adeschi,
ch’i’ non posso tacere; e voi non gravi
perch’ïo un poco a ragionar m’inveschi.
E il tronco rispose: «Mi alletti con le tue dolci parole, tanto che non posso rimanere in silenzio; e spero non vi dispiaccia se mi dilungo un po’ nel mio discorso.
(vv. 58-60)
Io son colui che tenni ambo le chiavi
del cor di Federigo, e che le volsi,
serrando e diserrando, sì soavi,
Io sono colui che custodiva entrambe le chiavi del cuore di Federico II, e le giravo con tale dolcezza, chiudendo e aprendo i segreti del suo animo,
(vv. 61-63)
che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi;
fede portai al glorïoso offizio,
tanto ch’i’ ne perdei li sonni e ’ polsi.
che nessun altro riusciva a conoscere i suoi segreti; fui così fedele a questo nobile compito che persi il sonno e la pace.
(vv. 64-66)
La meretrice che mai da l’ospizio
di Cesare non torse li occhi putti,
morte comune e de le corti vizio,
Ma la prostituta, cioè l’invidia, che non distolse mai i suoi occhi malvagi dalla corte di Cesare, il comune male delle corti,
(vv. 67-69)
infiammò contra me li animi tutti;
e li ’nfiammati infiammar sì Augusto,
che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti.
accese contro di me l’odio di tutti; e questi, infiammati, accesero anche l’animo dell’imperatore Federico (chiamato Augusto), così che i miei onori si trasformarono in lutti.
(vv. 70-72)
L’animo mio, per disdegnoso gusto,
credendo col morir fuggir disdegno,
ingiusto fece me contra me giusto.
Il mio animo, per il disgusto e l’orgoglio, pensando di sfuggire al disprezzo tramite la morte, mi rese ingiusto contro me stesso, che pure avevo agito giustamente.
(vv. 73-75)
Per le nove radici d’esto legno
vi giuro che già mai non ruppi fede
al mio segnor, che fu d’onor sì degno.
Vi giuro, per le radici di questo albero, che non ho mai tradito la fiducia del mio signore, così degno d’onore.
(vv. 76-78)
E se di voi alcun nel mondo riede,
conforti la memoria mia, che giace
ancor del colpo che ’nvidia le diede».
E se qualcuno di voi tornerà nel mondo, aiuti a riabilitare la mia memoria, che giace ancora schiacciata dal colpo inferto dall’invidia.»
(vv. 79-81)
Un poco attese, e poi «Da ch’el si tace»,
disse ’l poeta a me, «non perder l’ora;
ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace».
Dopo una breve pausa, il poeta (Virgilio) mi disse: «Ora che si è interrotto, non perdere l’occasione; parla e chiedigli ciò che desideri sapere.»
(vv. 82-84)
Ond’ïo a lui: «Domandal tu ancora
di quel che credi ch’a me satisfaccia;
ch’i’ non potrei, tanta pietà m’accora».
Allora io dissi a Virgilio: «Chiedigli tu quello che pensi mi possa interessare; io non posso farlo, tanto sono sopraffatto dalla pietà.»
(vv. 85-87)
Perciò ricominciò: «Se l’om ti faccia
liberamente ciò che ’l tuo dir priega,
spirito incarcerato, ancor ti piaccia
Virgilio riprese a parlare: «Se qualcuno farà ciò che stai chiedendo, spirito imprigionato, ti prego, continua a dirci
(vv. 88-90)
di dirne come l’anima si lega
in questi nocchi; e dinne, se tu puoi,
s’alcuna mai di tai membra si spiega».
come le anime si legano in questi tronchi, e dicci, se puoi, se qualcuna di esse può mai liberarsi da questi legami vegetali.»
(vv. 91-93)
Allor soffiò il tronco forte, e poi
si convertì quel vento in cotal voce:
«Brievemente sarà risposto a voi.
Allora il tronco emise un forte sospiro, che poi si trasformò in parole: «Vi risponderò brevemente.
(vv. 94-96)
Quando si parte l’anima feroce
dal corpo ond’ella stessa s’è disvelta,
Minòs la manda a la settima foce.
Quando l’anima crudele si separa dal corpo con il suicidio, Minosse (il giudice infernale) la manda al settimo cerchio.
(vv. 97-99)
Cade in la selva, e non l’è parte scelta;
ma là dove fortuna la balestra,
quivi germoglia come gran di spelta.
Essa cade nella selva, senza scegliere il luogo, ma germoglia dove il caso la scaglia, come un seme di spelta (un tipo di grano).
(vv. 100-102)
Surge in vermena e in pianta silvestra:
l’Arpie, pascendo poi de le sue foglie,
fanno dolore, e al dolor fenestra».
Cresce come un virgulto e diventa una pianta selvatica: le Arpie, nutrendosi delle sue foglie, le causano dolore e aprono così una via per farlo esprimere.»
Testo
Solo testo dei primi 102 versi del tredicesimo canto dell’Inferno di Dante
Non era ancor di là Nesso arrivato,
quando noi ci mettemmo per un bosco
che da neun sentiero era segnato.3
Non fronda verde, ma di color fosco;
non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;
non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco.6
Non han sì aspri sterpi né sì folti
quelle fiere selvagge che ’n odio hanno
tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.9
Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,
che cacciar de le Strofade i Troiani
con tristo annunzio di futuro danno.12
Ali hanno late, e colli e visi umani,
piè con artigli, e pennuto ’l gran ventre;
fanno lamenti in su li alberi strani.15
E ’l buon maestro “Prima che più entre,
sappi che se’ nel secondo girone”,
mi cominciò a dire, “e sarai mentre18
che tu verrai ne l’orribil sabbione.
Però riguarda ben; sì vederai
cose che torrien fede al mio sermone”.21
Io sentia d’ogne parte trarre guai
e non vedea persona che ’l facesse;
per ch’io tutto smarrito m’arrestai.24
Cred’ïo ch’ei credette ch’io credesse
che tante voci uscisser, tra quei bronchi,
da gente che per noi si nascondesse.27
Però disse ’l maestro: “Se tu tronchi
qualche fraschetta d’una d’este piante,
li pensier c’ hai si faran tutti monchi”.30
Allor porsi la mano un poco avante
e colsi un ramicel da un gran pruno;
e ’l tronco suo gridò: “Perché mi schiante?”.33
Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricominciò a dir: “Perché mi scerpi?
non hai tu spirto di pietade alcuno?36
Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
ben dovrebb’esser la tua man più pia,
se state fossimo anime di serpi”.39
Come d’un stizzo verde ch’arso sia
da l’un de’ capi, che da l’altro geme
e cigola per vento che va via,42
sì de la scheggia rotta usciva insieme
parole e sangue; ond’io lasciai la cima
cadere, e stetti come l’uom che teme.45
“S’elli avesse potuto creder prima”,
rispuose ’l savio mio, “anima lesa,
ciò c’ ha veduto pur con la mia rima,48
non averebbe in te la man distesa;
ma la cosa incredibile mi fece
indurlo ad ovra ch’a me stesso pesa.51
Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n vece
d’alcun’ammenda tua fama rinfreschi
nel mondo sù, dove tornar li lece”.54
E ’l tronco: “Sì col dolce dir m’adeschi,
ch’i’ non posso tacere; e voi non gravi
perch’ïo un poco a ragionar m’inveschi.57
Io son colui che tenni ambo le chiavi
del cor di Federigo, e che le volsi,
serrando e diserrando, sì soavi,60
che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi;
fede portai al glorïoso offizio,
tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi.63
La meretrice che mai da l’ospizio
di Cesare non torse li occhi putti,
morte comune e de le corti vizio,66
infiammò contra me li animi tutti;
e li ’nfiammati infiammar sì Augusto,
che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti.69
L’animo mio, per disdegnoso gusto,
credendo col morir fuggir disdegno,
ingiusto fece me contra me giusto.72
Per le nove radici d’esto legno
vi giuro che già mai non ruppi fede
al mio segnor, che fu d’onor sì degno.75
E se di voi alcun nel mondo riede,
conforti la memoria mia, che giace
ancor del colpo che ’nvidia le diede”.78
Un poco attese, e poi “Da ch’el si tace”,
disse ’l poeta a me, “non perder l’ora;
ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace”.81
Ond’ïo a lui: “Domandal tu ancora
di quel che credi ch’a me satisfaccia;
ch’i’ non potrei, tanta pietà m’accora”.84
Perciò ricominciò: “Se l’om ti faccia
liberamente ciò che ’l tuo dir priega,
spirito incarcerato, ancor ti piaccia87
di dirne come l’anima si lega
in questi nocchi; e dinne, se tu puoi,
s’alcuna mai di tai membra si spiega”.90
Allor soffiò il tronco forte, e poi
si convertì quel vento in cotal voce:
“Brievemente sarà risposto a voi.93
Quando si parte l’anima feroce
dal corpo ond’ella stessa s’è disvelta,
Minòs la manda a la settima foce.96
Cade in la selva, e non l’è parte scelta;
ma là dove fortuna la balestra,
quivi germoglia come gran di spelta.99
Surge in vermena e in pianta silvestra:
l’Arpie, pascendo poi de le sue foglie,
fanno dolore, e al dolor fenestra.102