Gabriele D’Annunzio. Vita e opere
28 Dicembre 2019X Agosto di Giovanni Pascoli
28 Dicembre 2019Nei versi 55-154 del XXIV Canto del Purgatorio, Dante esplora il tema dell’evoluzione poetica, dell’affermazione dello stilnovo e del superamento delle vecchie forme letterarie e scuole poetiche.
La scena si apre con il dialogo tra Dante e Bonagiunta da Lucca, poeta appartenente alla scuola toscana del XIII secolo. Dante, accompagnato da Virgilio e Stazio, incontra Bonagiunta tra i golosi penitenti. Il discorso si concentra sul confronto tra il “dolce stil novo” e la vecchia scuola poetica toscana, evidenziando la superiorità stilistica e spirituale del primo. La scena continua con immagini simboliche legate alla gola, il peccato dei penitenti di questa cornice del Purgatorio, culminando in una riflessione sul desiderio moderato e giusto, in contrasto con l’eccesso della gola.
Analisi
1. Dialogo tra Bonagiunta e Dante: Il Nodo tra le Scuole Poetiche (vv. 55-63)
Bonagiunta, dopo aver ascoltato Dante, comprende finalmente la differenza tra il suo stile e quello dei poeti del “dolce stil novo”. Dice:
“O frate, issa vegg’io il nodo che ’l Notaro e Guittone e me ritenne di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!”
Qui, Bonagiunta riconosce il “nodo”, ovvero l’ostacolo, che ha impedito a lui, Guittone d’Arezzo e Jacopo da Lentini (detto “il Notaro”) di raggiungere la raffinatezza e la profondità del “dolce stil novo”, il nuovo movimento poetico a cui Dante appartiene.
Bonagiunta ammette che i poeti dello “stil novo” seguono da vicino il dettatore (ovvero l’ispiratore divino, l’amore) e che questo non è avvenuto per i poeti della vecchia scuola. Il “dolce stil novo” è un movimento che Dante descrive come più elevato, incentrato su un amore spirituale e nobile, in contrasto con le forme più convenzionali e terrene della poesia di Guittone e Jacopo.
2. La Sottigliezza degli Spiriti dei Golosi (vv. 64-72)
La scena poi cambia e descrive i golosi che camminano, “per magrezza e per voler leggera”, con passo sempre più rapido. Dante paragona il movimento della schiera a quello degli uccelli che migrano lungo il Nilo:
“Come li augei che vernan lungo ’l Nilo, alcuna volta in aere fanno schiera, poi volan più a fretta e vanno in filo”
L’immagine suggerisce leggerezza e spiritualità, in contrasto con la pesantezza corporea associata alla golosità. I penitenti, pur magri per la loro penitenza, sono animati da un forte desiderio di redenzione.
3. L’Incontro con Forese Donati (vv. 73-93)
Segue un momento più personale, l’incontro tra Dante e Forese Donati, un vecchio amico e parente di Dante che, come lui, è qui per espiare il peccato di gola. Forese si lamenta della sua separazione da Dante e si informa sul suo eventuale ritorno a Firenze. Dante risponde che non sa quando tornerà, ma che la sua città è in uno stato di rovina:
“però che ’l loco u’ fui a viver posto, di giorno in giorno più di ben si spolpa, e a trista ruina par disposto.”
Con queste parole, Dante esprime la sua disillusione per Firenze, descrivendola come un luogo che si sta corrompendo moralmente e politicamente.
Forese risponde con una visione allegorica e profetica, prefigurando la punizione di Corso Donati, capo dei “Neri” a Firenze e fratello di Forese:
“Or va, diss’el; che quei che più n’ha colpa, vegg’ïo a coda d’una bestia tratto inver’ la valle ove mai non si scolpa.”
Corso Donati viene visto trascinato da una bestia inarrestabile verso una valle infernale, simbolo della sua condanna eterna.
4. Il Grande Albero e la Tentazione dei Golosi (vv. 94-120)
Il gruppo, dopo aver lasciato Forese, si dirige verso un grande albero carico di frutti. I penitenti, come “fantolini” che desiderano ciò che non possono avere, alzano le mani verso i frutti e gridano, ma il loro desiderio viene frustrato. Il frutto, simbolo del cibo proibito, ricorda l’albero del peccato originale, ma qui l’albero è descritto come “si levò da esso”, come a simboleggiare la vittoria della redenzione su questa tentazione:
“legno è più sù che fu morso da Eva, e questa pianta si levò da esso.”
Questo passaggio richiama il tema della privazione volontaria e dell’autocontrollo, in linea con il peccato di gola, che viene qui riletto come una tentazione dalla quale bisogna redimersi tramite la rinuncia e il desiderio temperato.
5. Esempi di Continenza e la Morale della Gola (vv. 121-132)
Virgilio ricorda due esempi classici di continenza contro il desiderio irrazionale: il mito del Minotauro, contro cui combatté Teseo, e l’episodio biblico dei soldati di Gedeone, che furono esclusi dalla battaglia perché si mostrarono incapaci di controllare il loro desiderio di bere. Questi esempi rafforzano il tema della moderazione contro l’eccesso.
6. L’apparizione di un Angelo e il Vento Celeste (vv. 133-154)
Infine, un angelo appare improvvisamente, splendente come vetro o metallo sotto il fuoco, e invita Dante e i suoi compagni a continuare il viaggio verso la pace eterna:
“S’a voi piace montare in sù, qui si convien dar volta; quinci si va chi vuole andar per pace.”
Mentre l’angelo parla, un vento leggero, “impregnato da l’erba e da’ fiori”, accarezza Dante, portando un profumo d’ambrosia e ricordando la purezza del paradiso. Il canto si conclude con una benedizione:
“Beati cui alluma tanto di grazia, che l’amor del gusto nel petto lor troppo disir non fuma.”
Qui si loda chi, grazie alla grazia divina, ha imparato a non lasciarsi sopraffare dai desideri terreni, trovando equilibrio e giusta misura.
Commento
Questa sezione del Purgatorio combina temi profondamente personali, letterari e teologici. Il dialogo con Bonagiunta riflette il superamento di una vecchia scuola poetica, ma anche l’affermazione della superiorità spirituale del “dolce stil novo”, che esprime un amore più nobile e trascendente. L’incontro con Forese Donati, invece, riporta la narrazione su un piano più personale e profetico, con riferimenti alla decadenza morale di Firenze e alla punizione di Corso Donati.
La presenza dell’albero e dei penitenti della gola sviluppa ulteriormente il tema del desiderio e del controllo, mostrando come il cammino verso la redenzione implichi non solo la rinuncia a ciò che è terreno, ma anche la comprensione della vera natura del desiderio, che deve essere spiritualizzato. L’apparizione dell’angelo e la benedizione finale confermano la necessità di questa purificazione.
Sintesi
vv. 55-63
Bonagiunta da Lucca riconosce che il nodo che tratteneva lui, Guittone e Jacopo da Lentini dal raggiungere lo stile raffinato del “dolce stil novo” è ora chiaro. Egli comprende che i poeti dello stil novo seguono più da vicino l’ispirazione divina, cosa che la loro scuola non ha fatto.
vv. 64-72
I golosi penitenti, magri per l’espiazione del loro peccato, camminano sempre più velocemente, spinti dal loro desiderio di redenzione. Il loro cammino è paragonato a quello degli uccelli migratori.
vv. 73-93
Dante incontra Forese Donati, che lo interroga su quando tornerà a Firenze. Dante risponde che la città è in declino morale e politico, a cui Forese replica con una visione profetica della punizione imminente di Corso Donati.
vv. 94-120
Il gruppo si avvicina a un grande albero carico di frutti, verso cui i penitenti alzano le mani desiderosi, come bambini vani che chiedono qualcosa senza riceverlo. L’albero simboleggia la tentazione della gola e la necessità di resistervi.
vv. 121-132
Virgilio ricorda esempi mitologici e biblici di continenza contro il desiderio eccessivo.
vv. 133-154
Un angelo luminoso appare e invita Dante e i suoi compagni a proseguire il viaggio verso la pace.
Solo testo dei versi 55-154 del ventiquattresimo canto del Purgatorio di Dante
“O frate, issa vegg’io”, diss’elli, “il nodo
che ’l Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo! 57
Io veggio ben come le vostre penne
di retro al dittator sen vanno strette,
che de le nostre certo non avvenne; 60
e qual più a gradire oltre si mette,
non vede più da l’uno a l’altro stilo”;
e, quasi contentato, si tacette. 63
Come li augei che vernan lungo ’l Nilo,
alcuna volta in aere fanno schiera,
poi volan più a fretta e vanno in filo,66
così tutta la gente che lì era,
volgendo ’l viso, raffrettò suo passo,
e per magrezza e per voler leggera. 69
E come l’uom che di trottare è lasso,
lascia andar li compagni, e sì passeggia
fin che si sfoghi l’affollar del casso,72
sì lasciò trapassar la santa greggia
Forese, e dietro meco sen veniva,
dicendo: “Quando fia ch’io ti riveggia?”. 75
“Non so”, rispuos’io lui, “quant’io mi viva;
ma già non fïa il tornar mio tantosto,
ch’io non sia col voler prima a la riva;78
però che ’l loco u’ fui a viver posto,
di giorno in giorno più di ben si spolpa,
e a trista ruina par disposto”. 81
“Or va”, diss’el; “che quei che più n’ ha colpa,
vegg’ïo a coda d’una bestia tratto
inver’ la valle ove mai non si scolpa. 84
La bestia ad ogne passo va più ratto,
crescendo sempre, fin ch’ella il percuote,
e lascia il corpo vilmente disfatto. 87
Non hanno molto a volger quelle ruote”,
e drizzò li occhi al ciel, “che ti fia chiaro
ciò che ’l mio dir più dichiarar non puote. 90
Tu ti rimani omai; ché ’l tempo è caro
in questo regno, sì ch’io perdo troppo
venendo teco sì a paro a paro”. 93
Qual esce alcuna volta di gualoppo
lo cavalier di schiera che cavalchi,
e va per farsi onor del primo intoppo,96
tal si partì da noi con maggior valchi;
e io rimasi in via con esso i due
che fuor del mondo sì gran marescalchi. 99
E quando innanzi a noi intrato fue,
che li occhi miei si fero a lui seguaci,
come la mente a le parole sue,102
parvermi i rami gravidi e vivaci
d’un altro pomo, e non molto lontani
per esser pur allora vòlto in laci. 105
Vidi gente sott’esso alzar le mani
e gridar non so che verso le fronde,
quasi bramosi fantolini e vani 108
che pregano, e ’l pregato non risponde,
ma, per fare esser ben la voglia acuta,
tien alto lor disio e nol nasconde. 111
Poi si partì sì come ricreduta;
e noi venimmo al grande arbore adesso,
che tanti prieghi e lagrime rifiuta. 114
“Trapassate oltre sanza farvi presso:
legno è più sù che fu morso da Eva,
e questa pianta si levò da esso”. 117
Sì tra le frasche non so chi diceva;
per che Virgilio e Stazio e io, ristretti,
oltre andavam dal lato che si leva. 120
“Ricordivi”, dicea, “d’i maladetti
nei nuvoli formati, che, satolli,
Tesëo combatter co’ doppi petti; 123
e de li Ebrei ch’al ber si mostrar molli,
per che no i volle Gedeon compagni,
quando inver’ Madïan discese i colli”. 126
Sì accostati a l’un d’i due vivagni
passammo, udendo colpe de la gola
seguite già da miseri guadagni. 129
Poi, rallargati per la strada sola,
ben mille passi e più ci portar oltre,
contemplando ciascun sanza parola. 132
“Che andate pensando sì voi sol tre?”,
sùbita voce disse; ond’io mi scossi
come fan bestie spaventate e poltre. 135
Drizzai la testa per veder chi fossi;
e già mai non si videro in fornace
vetri o metalli sì lucenti e rossi, 138
com’io vidi un che dicea: “S’a voi piace
montare in sù, qui si convien dar volta;
quinci si va chi vuole andar per pace”. 141
L’aspetto suo m’avea la vista tolta;
per ch’io mi volsi dietro a’ miei dottori,
com’om che va secondo ch’elli ascolta. 144
E quale, annunziatrice de li albori,
l’aura di maggio movesi e olezza,
tutta impregnata da l’erba e da’ fiori; 147
tal mi senti’ un vento dar per mezza
la fronte, e ben senti’ mover la piuma,
che fé sentir d’ambrosïa l’orezza. 150
E senti’ dir: “Beati cui alluma
tanto di grazia, che l’amor del gusto
nel petto lor troppo disir non fuma, 153
esurïendo sempre quanto è giusto!”.