Testo latino e Traduzione del capitolo 9 della Germania di Tacito:
Testo latino:
IX
Deorum maxime Mercurium colunt, cui certis diebus humanis quoque hostiis litare fas habent. Herculem et Martem concessis animalibus placant. Pars Sueborum et Isidi sacrificat: unde causa et origo peregrino sacro, parum comperi, nisi quod signum ipsum in modum liburnae figuratum docet advectam religionem. Ceterum nec cohibere parietibus deos neque in ullam humani oris speciem adsimulare ex magnitudine caelestium arbitrantur: lucos ac nemora consecrant deorumque nominibus appellant secretum illud, quod sola reverentia vident.
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Traduzione:
[9] “Tra gli dèi venerano soprattutto Mercurio, al quale ritengono lecito offrire anche vittime umane in giorni prestabiliti. Plàcano Ercole e Marte con animali consentiti. Una parte degli Suebi sacrifica anche a Iside; quale sia la ragione e l’origine di questo culto straniero non ho appreso chiaramente, tranne il fatto che il simbolo stesso, modellato a forma di nave, dimostra che questa religione è stata introdotta dall’esterno. Inoltre, non ritengono che sia appropriato confinare gli dèi entro pareti né assimilarli in alcuna forma umana: consacrano boschi e foreste e chiamano con nomi divini quell’arcano che percepiscono soltanto attraverso la loro venerazione.” |
In questo capitolo, Tacito si concentra sul pantheon germanico, notando che i Germani attribuiscono particolare importanza al culto di Mercurio. È interessante che Tacito utilizzi nomi romani per identificare le divinità germaniche, cercando di stabilire un parallelo con la propria cultura. Il Mercurio citato da Tacito è molto probabilmente associato alla divinità germanica Wotan (o Odin), che nella tradizione germanica è il dio della guerra, della magia e della saggezza, ma che ai Romani poteva sembrare simile a Mercurio per il suo legame con il viaggio e la mediazione tra i mondi.
L’uso di vittime umane per i sacrifici a questa divinità è particolarmente significativo. Tacito sembra voler impressionare i lettori romani con l’aspetto cruento e “barbarico” dei culti germanici, in netto contrasto con i riti più formali e meno violenti della religione romana.
Il culto di Ercole e Marte, invece, avviene con sacrifici di animali, una pratica più comune anche tra i Romani. Questi due dèi, associati rispettivamente alla forza e alla guerra, rispecchiano valori fondamentali nella società germanica, dove la forza fisica e la capacità bellica sono virtù centrali.
Un dettaglio curioso è la menzione di un culto di Iside, una divinità egizia, tra una parte degli Suebi. Tacito non è chiaro sulla provenienza di questo culto, ma si concentra sul simbolo sacro modellato a forma di nave, che suggerisce una provenienza esotica e straniera. La presenza di una divinità egizia tra i Germani è un aspetto che potrebbe riflettere influenze culturali esterne, forse dovute a contatti commerciali o a interazioni con altre popolazioni europee che avevano assorbito elementi del culto orientale.
Tacito conclude il capitolo con una riflessione sulla concezione germanica della divinità. A differenza dei Romani, che costruivano templi e rappresentavano le divinità in forma umana, i Germani credevano che gli dèi non dovessero essere confinati entro mura né raffigurati in sembianze umane. Questa visione denota un senso di rispetto e venerazione per il divino come qualcosa di inaccessibile e misterioso, manifestato attraverso la sacralità di luoghi naturali, come boschi e foreste, che diventano dimore degli dèi. Il fatto che i Germani non dessero forma umana alle loro divinità riflette una concezione più astratta e quasi animistica del sacro, in cui gli dèi sono percepiti come forze della natura piuttosto che come figure antropomorfe.
Questa visione della religione germanica è in linea con il ritratto generale che Tacito dipinge di questo popolo: una società rude, vicina alla natura, e dotata di una purezza che, implicitamente, Tacito sembra contrapporre alla complessità e alla corruzione della società romana. La sacralità dei boschi e delle foreste, luoghi in cui si percepisce la presenza del divino senza mediazioni umane, è un elemento che esprime l’essenza di un culto semplice, ma profondamente rispettoso.
Conclusione:
Il capitolo 9 della Germania mostra come Tacito attribuisca ai Germani una religiosità semplice, ma potente, caratterizzata da un rapporto diretto con il sacro. L’assenza di rappresentazioni antropomorfe delle divinità e la sacralizzazione di spazi naturali sottolineano la connessione tra il popolo germanico e la natura stessa, in un contrasto implicito con la pratica religiosa romana, più formalizzata e complessa. Tacito sembra ammirare questo approccio alla divinità, che percepisce come più puro e meno contaminato rispetto ai costumi religiosi della propria società.