Verso il primo conflitto mondiale
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27 Gennaio 2019di Luigi Gaudio
Altri tempi, altri lidi. Correva l’anno 1999 quando il ministro Berlinguer proponeva un concorso, alla fine del quale sarebbe stato premiato il 20 per cento del corpo docente. Insorsero allora i sindacati, riuniti e compatti, contro questa prospettiva. Il ministro dovette fare marcia indietro. I tempi sono cambiati, e molti docenti hanno capito che allora si è persa un’occasione, irripetibile, anche per le condizioni economiche oggettivamente mutate, di investire nella valorizzazione dell’impegno dei docenti. Il processo di dequalificazione della classe docente non si è arrestato, anzi è accelerato agli occhi della gente comune. Ora, di fronte ad una proposta simile, anche se proveniente da sponde politiche diverse, l’opinione pubblica avverte che i tempi sono maturi per una valorizzazione del merito dei docenti. Anche stavolta si prospetta un incentivo per il venti per cento dei docenti, ma non c’è più nessuno che è disposto a scendere in piazza, come tra il 1999 e il 2000. Certo, occorre non assolutizzare la prospettiva, occorre affiancare alla valutazione dei docenti una seria valutazione del sistema. inoltre, il merito non è fine a se stesso. Come ha detto Annamaria Poggi, in una intervista apparsa sul sito dell’ADI, “quello che più mi sta a cuore non sono tanto i premi”, quanto piuttosto la costruzione di una metodologia di analisi che sappia individuare i punti di forza e di debolezza delle scuole e del lavoro dei docenti. Questo consentirà di approntare interventi di sostegno e di miglioramento.
Premiare i bravi va bene, ma individuare e aiutare le situazioni di debolezza è molto più importante.”
Insomma non bisogna dimenticare che il merito non è il fine, ma è un mezzo, non l’unico, per raggiungere l’obiettivo della trasmissione e acquisizione degli apprendimenti.