Roberto Vecchioni e il potere dei sogni
27 Gennaio 2019Commedia da salotto
27 Gennaio 2019da “I ricordi del Capitano d’Arce” (1891)
Novelle di Giovanni Verga
– No, non mi tentate, Casalengo! Sapete che mi chiamano Carmen! Il vostro amico è «biondo e bello e di gentile aspetto»; e ingenuo, timido e cavalleresco…; ritorna adesso dagli antipodi… Insomma, mi piace assai. Non voglio conoscerlo -. Essa gliel’aveva detto!
Invece Casalengo credeva che scherzasse: leggerezza, vanità, orgoglio d’amante che fosse stato in lui; cecità di stolto che Dio voglia perdere; incanto di quelle labbra che avrebbero fatto commettere qualsiasi sciocchezza per vederle sorridere ancora in siffatta maniera; distrazione procuratagli dai monili serpentini che tintinnavano scorrendo giù pel braccio, nudo, il quale levavasi minaccioso, col dito rivolto al cielo: – Guardate, Casalengo! C’è un Dio lassù per queste cose!… –
Ma quando lui, col sorriso fatuo che gli segnava già le prime rughe sottili accanto agli occhi, s’ostinò a fare la presentazione: – Il mio amico Aldini… – Essa rispose semplicemente: – Gli amici dei nostri amici… – E stese la mano al nuovo arrivato con tanta cordialità, così lieta di scorgere nel giovanetto l’omaggio di un grande imbarazzo, che volle pure ringraziarne Casalengo con un’occhiata rapida: un’occhiata in cui era il sorriso del diavolo.
Aldini, che aveva sentito parlare sino a Zanzibar della gran passione per cui il suo amico Casalengo s’era giuocate le spalline di comandante, provava adesso una certa sorpresa dinanzi a quella donna che non aveva poi nulla d’estraordinario. Un viso delicato e pallido, come appassito precocemente, come velato da un’ombra, dei grandi occhi parlanti, in cui era della febbre, dei capelli morbidi e folti, posati mollemente in un grosso nodo sulla nuca, e il bel fiore carnoso della bocca – la bocca terribile – come dicevano amici e gelosi.
Ma lo turbava il profumo mondano, la carne mortificata dalla gran vita, che traspariva fra le trine preziose, il segno che il braccialetto le lasciava sulla pelle delicata – e gli dava un gran da fare per non mangiarsela cogli occhi. Ella se ne avvide, e mise cinque minuti buoni a infilarsi il guanto, in premio dell’ammirazione muta che le tributavano gli occhi sinceri del giovinetto, i rossori fugaci, le parole mozze… Da abbracciarlo, lì, dinanzi a tutti quanti! E gli lasciò in pegno il ventaglio, tornando a ballare il valzer – un legame, lo scettro della sultana.
– Eccoti comandato… servizio particolare! – gli disse Casalengo ridendo. – Se avevi qualche impegno, ti scuserò io, caro Riccardo…
– No! Oh no! – esclamò Aldini, stringendo forte il ventaglio colle due mani.
Adesso osservava alla sfuggita, con una curiosità inquieta e rispettosa, il suo amico Casalengo, la forte giovinezza di lui come curva sotto un giogo, il sorriso distratto sulle labbra riarse, le frasi stonate, il pensiero fisso, l’ardore segreto, la ruga impercettibile e quasi nascosta fra le ciglia, gli sguardi erranti, suo malgrado, attratti dalla donna amata che gli fuggiva dinanzi nelle braccia di un altro, raggiante, e gli buttava in faccia il sorriso, il profumo, il vento dell’abito, la nudità delle spalle, tutte le seduzioni, i fantasmi dell’amore e della donna, quali erano passati dinanzi agli occhi a lui pure, Aldini, nelle calde fantasticherie dell’adolescenza, discorrendo laggiù della maliarda la quale prendeva lui pure adesso, con una parola, con un nulla, legandolo, incatenandolo a sé con quel ninnolo che gli aveva messo fra le mani, come un fanciullo che si voglia tenere a bada.
– Ah, ma sapete! E’ proprio carino il vostro amico Aldini!
– Ve l’avevo detto, – rispose Casalengo un po’ ironico.
Ella si strinse nelle spalle con un movimento che gli mise sotto il naso i begli omeri nudi.
– Badate però. E’ un ragazzo… un ragazzo pericoloso.
– Ah, così? – disse lei.
E Carmen volle farne l’esperimento, povero Aldini. Tanti altri, ora vinti e intossicati per tutta la vita, l’avevano chiamata con quel soprannome di guerra e di malaugurio, ch’era la punzecchiatura delle sue amiche gelose, e la carezza o la maledizione degli incauti che si lasciavano prendere al fascino del suo sorriso dolce e buono – la più strana cosa, su quella bocca di vampiro. Poich’essa faceva il male con una incoscienza ch’era la sua maggiore attrattiva; vi metteva una sincerità, quasi una lealtà che le faceva perdonare i suoi errori, come il gran nome che portava le faceva aprire tutte le porte. E una squisita eleganza, una grazia innata fin nelle bizzarrie, un’ingenuità provocante fin nella stessa civetteria, l’aria di gran dama anche in un veglione, avida di piaceri e di feste, quasi divorata da una febbre continua di emozioni e di sensazioni diverse, una febbre che la consumava senza ravvivare il suo bel pallore diafano, né le sue labbra dolorose, ma che però la lasciava spesso in una prostrazione desolata, le dava delle ore di stanchezza e di uggia, di cui i suoi adoratori pagavano la pena: ore tremende – in cui non c’era altro da fare che prendere il cappello e andarsene – dicevano i forti, quelli che avevano pianto poi dietro l’uscio di lei. Gli altri, coloro che cercavano di spiegare le sue follìe, se non di scusarle, dicevano ch’era ammalata, ch’era matta – tutti i d’Altona erano morti tisici o dementi – che aveva provato dei gran dolori e dei gran dis’inganni, ch’era ferita a morte, condannata senza speranza, e voleva vivere vent’anni in venti mesi.
– Gliel’ha detto anche a lei, il mio amico Casalengo, che mi chiamano Carmen? – chiese ella ad Aldini, col sorriso mordente, la prima volta che un’ondata di folla glielo mise di nuovo faccia a faccia, all’uscire dal Sannazzaro.
Ma gli stese la mano senza rancore. Poscia, mentre aspettava la carrozza, stretta nella pelliccia, e con quell’aria di stanchezza e di noia che faceva scappare la gente, soggiunse:
– M’accompagni. Servirà ad insegnarle la strada… quando vorrà venire a farmi una visita. Troveremo qualche amico a casa… degli amici suoi e miei, per prendere il thè insieme…. se non ha paura che l’avveleni come la Lucrezia Borgia di stasera… una Lucrezia tremenda, da morir di noia!… –
Fu in tal modo che lo prese, – come, per fargli posto nel legnetto, aveva preso e raccolto a due mani il suo vestito, – e lo avvolse fra le pieghe di esso, e lo stordì col suo profumo, allorché la pelliccia, scivolandole giù per le spalle, gli buttò al viso e alla testa la trasparenza di quegli omeri rosei – senza volerlo, quasi senza avvedersene, in quell’ora di uggia, e d’umor nero che l’avrebbe fatta dar della testa nell’imbottitura del coupé, e che egli le leggeva sul viso smorto, mentre guardava distrattamente attraverso il cristallo, ai bagliori fugaci che gettavano le vetrine scintillanti dentro la carrozza che correva su per Toledo – senza dirgli una parola, né rivolgergli un’occhiata, quasi non pensasse più a lui, o subisse ancor essa lo strano imbarazzo di quell’incontro, di quel silenzio, dell’oscurità che li avvolse tutti e due a un tratto nello stesso mistero e nella stessa tentazione, appena il legno svoltò pel corso Vittorio Emanuele – o sapesse che ciò doveva bastare a mettergli nel cuore, a lui, nelle carni, incancellabile, la febbre di quell’occasione che fuggiva rapida, la sete di quelle labbra di donna che si celavano nell’ombra, il turbamento di quella sfinge che rimaneva per lui impenetrabile nello stesso tempo che gli palpitava allato. – Degli angeli godono così di sfiorare la colpa colle loro ali candide – ed essa non era un angelo, no, povera signora! Talché quando lo presentò ai suoi amici che l’accoglievano festanti: – Il tenente Aldini! – con un’aria di trionfo quasi avesse detto: – Ecco il Figliuol Prodigo! – era così pallido e stral’unato, il povero Figliuol Prodigo, e come abbagliato dalla piena luce del salotto, o dalla fiamma ch’essa gli aveva accesa in cuore! Ed essa aveva davvero qualcosa dello spirito del male, in quel momento, nel sorriso ironico, nell’aria strana, nel pallore marmoreo del volto, nell’allegria forzata colla quale davasi tutta ai suoi ospiti, lottando di brio e d’arguzia, servendo il thè, dimenticando completamente Aldini in un cantuccio, faccia a faccia con un album di ritratti nel quale cercava di nascondere il suo imbarazzo.
– Che cosa vi ha fatto quel povero giovine? – le chiese sottovoce Casalengo, mentre inchinavasi a prendere una tazza di thè dalle sue mani.
– Tutti m’avete fatto! – rispose lei nel medesimo tono di scherzo.
Ed era forse la verità, il grido di rivolta del suo cuore ulcerato, il senso di disgusto che aveva trovato in fondo al bicchiere, l’amarezza che l’aveva colta allo svegliarsi dai sogni d’oro – quando aveva visto il pentimento mal dissimulato dell’uomo a cui aveva tutto sacrificato – quando era stata ferita dall’insulto che nascondevasi sotto il madrigale di galanti resi audaci dalla sua caduta – quando l’era mancata sin l’alterezza e l’illusione del sentimento puro, della fede giurata, pel tradimento altrui, ed anche pel proprio. – Non valeva di meglio, no, essa ch’era stata debole nell’ora stessa in cui un altro le era infedele. Tanto peggio! Tanto peggio per tutti, anche per lei, che sentiva rifiorire il bel fiore azzurro dentro di sé. Non le avevano detto che i fiori durano un giorno, e che solo sinché odorano esistono? Era tornato spesso in quella casa di cui essa gli aveva insegnato la via, il Figliuol Prodigo, timido e rispettoso, ma preso proprio sino ai capelli, innamorato come un pazzo, di un amore bizzarro che si pasceva di chiaro di l’una e di passeggiate sotto le finestre. – L’aveva visto tante volte, lei, prima d’andare a letto, nel buio della strada! Ed era strano come ciò la facesse sorridere di piacere, le facesse cacciare il viso infocato nel guanciale, con una muta carezza.
Era un voluttà sottile e penetrante, il gusto di un’infedeltà che non poteva dar ombra a Casalengo; ma così dolce, quando beveva il bacio dagli occhi ingenui d’Aldini, e sentivasi ricercare avidamente da quell’adorazione bramosa, tutta, il seno palpitante, mentre ballava con lui, e le braccia che avrebbero voluto avvincerlo, al sentire come gli batteva il cuore contro il suo, il cuore che gli si dava, e la bocca, e la persona intera – e neppur tanto così, nondimeno! Né una parola e neanche un dito! – Una volta sola, smarrita, in quelle ondate di sangue che la musica e il valzer le mandavano alla testa… – No, Riccardo, così… mi fate male!… –
Insomma, era scritto lassù. Ella non avrebbe voluto, no, davvero, per timore del poi, per timore di lui e di se stessa… e di Casalengo pure, giacché non era cattiva in fondo. Ma allorché volle proprio, coll’anima e col corpo… Tanto peggio! Almeno non volle essere né ipocrita né egoista. Aveva sempre pagato del suo la festa, in moneta di lagrime e di onte segrete; e non doveva nulla a nessuno, neppure al Casalengo, cui aveva dato il diritto di mostrarsi geloso sacrificandogli tutto quando non l’amava più.
Come Aldini ricevette l’ordine d’imbarco, e minacciava di dare la dimissione, di tagliarsi la gola, un mondo di cose, ella gli disse:
– No, Riccardo. Verrò con voi… dovunque… –
Una proposta che lo sbalordì, povero Aldini, quasi presentisse già il momento in cui doveva pesargli come una catena, quella dolce compagna che gli buttava le braccia al collo. Ma allora vide soltanto le belle braccia delicate che l’avvincevano, e le labbra fragranti che gli si promettevano per sempre. Ella forse, sì, ebbe la visione di quel giorno, nella nube che le misero agli occhi innamorati le lagrime della tenerezza.
– Sì, viaggerò anch’io. Non ho nulla che mi trattenga qui… No, no… lo sapete!… Né altrove, in nessun luogo… Ho buttato al vento il mio fazzoletto… per lasciar fare al destino… Non per voi, siate tranquillo. Sono ricca e padrona di me. Sarò libera… fra breve… non dubitate. Lasciate fare a me… che non farò del male né a voi né ad altri. M’hanno sempre detto che i viaggi di mare gioverebbero alla mia salute. E poi, non vi terranno sempre imbarcato, mio povero Riccardo… Vi lascieranno mettere piede a terra, di tanto in tanto… per dimostrare alle belle straniere che ci abbiamo dei begli ufficiali a bordo delle navi… per proteggere delle connazionali color di fuliggine o color di cioccolatte… Ebbene, io sarò laggiù ad aspettarvi, dove indicherà il telegrafo o il giornale. Vi farà piacere di trovar lì una tazza di thè e un cappellino da cristiani, non è vero? E senza pesare tanto così su di voi! senza nuocere alla vostra carriera… Non avranno da dire né i regolamenti, né il servizio, né i superiori, e neanche le conoscenze che raccatterete per via, quando vi manderanno troppo lontano, o dove non sarò certa di trovare un caminetto e dei fiori freschi… Vedete che non fo la brava, e non vi prometto mari e monti… Liberi e felici come due uccelli dell’aria! Soltanto, quando anche questa bella volata nell’azzurro ci stancherà… o ci verrà noia… a voi o a me… poiché tutto finisce… Quando vorrete maritarvi, o amerete un’altra… Sì, sì, ragazzo mio, un bel giorno rideremo di queste belle parole che ci fanno piangere adesso… Ma non importa, se adesso sono sincere… Quando vi parrà che io vi sia d’inciampo nella carriera o nella vita, e vorrete riprendere tutta intera la vostra libertà, ditemelo francamente… Come io dirò francamente a un’altra persona che voglio riprendere la mia libertà, oggi stesso… Non v’inganno e non inganno, vedete, Riccardo! Non sono peggiore di quella che sembro… Ma non ci diamo la pena e il tormento di mentirci, mai! Mi promettete?… mi prometti?
– Oh, amore! amore bello! – esclamò Aldini fuori di sé, tentando di prendersela fin da quel momento fra le braccia avide.
– No! – rispose lei, mettendogli le mani sul petto. – Non ancora… Quando sarò libera… e tua! –
Casalengo fu ripreso bruscamente da un accesso dell’amore antico, appena essa gli fece capire che il suo era morto, lì, presso quel tavol’inetto, dove l’avevano strascinato un pezzo, per abitudine e per dovere, nella mezz’ora prima di pranzo che il suo amico, sempre galante e gentiluomo, non mancava mai di dedicarle. Ora egli sentivasi mordere al cuore dal pensiero che un altro le facesse tremare la voce ed il cuore come un tempo aveva fatto lui, come sembravagli di provare ancora dentro di sé in quel momento – e che fosse stato sempre così, e che dovesse durare eternamente, anche per lei…
Ella prese un fiore che si piegava avvizzito nel vasetto d’argento, e gli disse tristemente:
– Vedete questa rosa che mi avete donata ieri? –
Casalengo chinò la fronte sulla mano, e tacque un istante.
– Partirete? – domandò poi.
– Sì.
– Per dove? –
Ella non rispose.
– Volete darmi almeno quel fiore? – chiese tristemente Alvise.
Ella esitò alquanto, prima di rispondere.
– Grazie!… Voi sapete vivere… –
Egli si alzò in piedi, leggermente pallido, stretto nel vestito che gli dava ancora la sua aria militare, ma perfettamente padrone di sé, col sorriso un po’ ironico dei suoi bei giorni.
– E lasciar vivere… sì, ho imparato a mie spese. Mi permettete di darvi un consiglio, in nome di questa benedetta esperienza?
– Dite.
– Partite sola… e più tardi che potete -.
Ella arrossì sino ai capelli.
– Non dubitate. Ci avevo pensato… pel vostro amor proprio.
– No, mia cara, per voi stessa, quando ritornerete, e avrete bisogno dei vostri amici -. E inchinandosi a baciarle la mano, aggiunse con un sorriso pallido:
– Voglio rimanere vostro amico… se volete… se sapete… –