7. L’immortalità delle anime alate
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4 Luglio 2017Ciò che ci manca è ciò di cui abbiamo bisogno per domandare
Questa frase di Claudel, uno dei più grandi autori cattolici del Novecento, ci spalanca il cuore rispetto all’esperienza quotidiana nella quale ciò che ci manca spesso è motivo di scoraggiamento, di avvilimento.
Certo, non ciò che ci manca per diventare più ricchi o più potenti, ma ciò che ci manca di capacità di coerenza, di volontà, di fedeltà.
Quante volte ci avvilisce l’esperienza di una strutturale debolezza nel non saper mantenere le promesse; magari rimproveriamo i bambini perché non hanno mantenuto una promessa: “Ma hai giurato!”
Eppure, questa debolezza è anche di noi grandi, è di tutti gli uomini perché è dell’uomo.
Già Ovidio, un autore latino del I secolo a. C., diceva: “Vedo il meglio e l’approvo, ma seguo il peggio” . E San Paolo: “Io non riesco a capire neppure ciò che faccio. Infatti, io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.
Io so, infatti, che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; pertanto io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio.
Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.
Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti, acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra.
Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!
Io, dunque, con la mia mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato” . (Rom. 7,15-25)
Allora tutto ciò che ci manca non è motivo di scoraggiamento, ma è l’occasione per domandarlo, per chiederlo, per predisporsi a riceverlo.
Questa è la rivoluzione cristiana: che la realtà è veramente e ultimamente positiva e non per un ottimismo banale, ma per la certezza che siamo fatti da un Altro che ci ama e ci costruisce istante per istante.
Sì, tutto ci è dato ma Dio non ci tratta come burattini bensì come uomini liberi che esercitano la loro libertà decidendo di aderire, di appartenere a Colui che ci ha fatti: ecco perché la “domanda” è l’espressione più nobile e più vera dell’uomo.
L’uomo nasce domandando, piangendo cioè urlando, e diventa tanto più vero uomo quanto più la domanda diventa consapevole e rivolta ad un TU, a quel TU che solo può rispondere in maniera adeguata a tutto ciò che ci manca. Ecco perché è provvidenziale accorgersi, riconoscere che siamo mancanti, perché “ciò che ci manca è ciò di cui abbiamo bisogno per domandare” .
don Savino
dal numero di febbraio 2000 del giornale “Lo sguardo” Parrocchia Sacro Cuore Molinazzo di Cormano.