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1 Novembre 2012Nelle scuole napoletane 33mila bambini ancora senza pasto – di Gennaro Capod…
2 Novembre 2012E? innegabile che negli ultimi lustri l’istruzione pubblica, in generale, e gli insegnanti, in particolare, hanno subito un forte calo di consenso sociale. Un crescente numero di cittadini/utenti considera i docenti dei privilegiati, nell’ipotesi migliore, dei fannulloni, in quella peggiore. Il fatto che i soggetti interessati al servizio scolastico (direttamente o indirettamente), i cosiddetti stakeholder, esprimano dei giudizi così severi nei riguardi di un’importante componente del pianeta scuola dovrebbe far riflettere.
Non si tratta, infatti, di una valutazione espressa da persone inconsapevoli, ma da portatori di interessi che a vario titolo sono (o dovrebbero essere) coinvolti nella complessa macchina dell’istruzione pubblica: soggetti economici, altri enti, rappresentanti in seno agli organi collegiali, genitori e, soprattutto, alunni.
La scuola è divenuta un’organizzazione complessa (forse troppo complessa) e fatica a dare delle risposte alle legittime aspettative dei cittadini. Le istituzioni scolastiche molto spesso finiscono per trascurare le reali esigenze degli alunni, delle famiglie e dei territori per trincerarsi dietro un insopportabile formalismo burocratico che (ahimè!) sembra essere divenuto la loro ragion d’essere. E tutto questo nonostante lo spirito di alcuni importanti provvedimenti legislativi, ormai datati, si muovesse nella direzione opposta. Si pensi ad esempio all’introduzione dell’autonomia scolastica che, tra le altre cose, avrebbe dovuto favorire una maggiore integrazione tra scuola e territorio e, di conseguenza, rendere possibile la pianificazione di un’offerta formativa orientata alle esigenze di quest’ultimo. Il Piano dell’Offerta Formativa, in effetti, nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto essere il frutto di una collaborazione tra scuola e stakeholder al fine di poter rappresentare adeguatamente “le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale, tenuto conto della programmazione territoriale dell’offerta formativa” . Ma sono rare le istituzioni scolastiche dove ciò avviene concretamente.
L’approccio formalistico, la mancanza di trasparenza e l’assenza di un’efficace attività di accountability (quasi nessun ente pubblico dà conto agli utenti del proprio operato) hanno contribuito non poco allo scollamento tra cittadini e pubblica amministrazione. Per ridare slancio e senso all’autonomia scolastica, nonché immagine e prestigio alle singole scuole e agli operatori dell’educazione, occorre accelerare sul versante della rendicontazione sociale. E’ necessario, infatti, che chi esercita una funzione pubblica abbia l’obbligo di rispondere (davvero!) del proprio operato.
Un’autonomia zoppa, priva cioè di un efficace sistema di rendicontazione sociale (accountability), rende impossibile qualsiasi ipotesi di crescita qualitativa della formazione italiana. Lo smantellamento del vecchio sistema scolastico, verticistico, basato sull’asse Ministero/Provveditorato/Preside, e la contestuale introduzione di un’astratta e monca autonomia, ha generato confusione e incertezza finendo, in molti casi, per far perdere di vista la vera mission della scuola: favorire la crescita culturale e morale dei giovani e, di conseguenza, dei territori.
Nelle intenzioni del legislatore dell’autonomia vi era la costruzione di un sistema scolastico estremamente flessibile e dinamico, capace di porre al centro della propria attenzione le al’unne e gli alunni e, contestualmente, recepire le specifiche esigenze delle realtà locali, sia pure nel rispetto di direttrici curriculari di base valide a livello nazionale. Sono rare le istituzioni scolastiche che hanno raggiunto questo traguardo, limitate quelle che si sono avvicinate, numerosissime, specie al Sud, quelle che ancora sono lontane dalla meta.
L’incomprensibile politica dei tagli lineari, praticata in questi ultimi anni, e un certo arretramento sul versante dell’etica professionale, che non ha risparmiato il mondo della formazione, hanno finito per ingigantire il problema, determinando il forte calo di consenso sociale della scuola pubblica. L’introduzione, per legge, di un codice deontologico che aiuti e orienti gli operatori dell’educazione nell’espletamento delle proprie funzioni rappresenta un’esigenza oramai ineludibile. Occorre, infatti, ridefinire le dimensioni etiche della funzione educativa attraverso una chiara individuazione dei doveri ad essa inerenti, anche in considerazione della centralità che la figura dell’insegnante ha finito per assumere nella scuola dell’autonomia. In un contesto in cui l’insegnamento si fa più libero, problematico e complesso occorre definire dei parametri capaci di garantire la misurabilità dell’impegno professionale e, di conseguenza, la valorizzazione del merito.
Soltanto la pianificazione di un efficace sistema di rendicontazione sociale e una ridefinizione della funzione educativa, accompagnate da maggiori investimenti, potranno ridare slancio e credibilità alla scuola italiana.
Giuseppe Iaconis