I Druidi dal De bello gallico di Cesare
28 Dicembre 2019Il Didimo Chierico di Ugo Foscolo
28 Dicembre 2019L’Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo termina con il Libro Terzo, Canto Nono, che è anche l’ultimo canto incompiuto dell’opera, poiché il poema fu interrotto bruscamente a causa dell’invasione dell’Italia da parte di Carlo VIII di Francia nel 1494.
In questa parte finale, Boiardo lascia il racconto sospeso proprio nel mezzo di un importante momento d’azione.
Nell’ultimo canto, troviamo Ruggiero, il cavaliere saraceno innamorato di Bradamante, impegnato in una missione avventurosa. Ruggiero è stato tenuto prigioniero nel Castello di Atlante, un luogo incantato creato appositamente per trattenerlo e impedirgli di convertirsi al Cristianesimo e unirsi a Bradamante, poiché un’antica profezia predice che dai due nascerà una gloriosa dinastia. In questo canto, Ruggiero riesce a liberarsi dal castello grazie all’aiuto della maga Melissa, che gli svela come sfuggire ai poteri magici di Atlante.
Il poema si interrompe mentre Ruggiero continua il suo viaggio e molti degli intrighi amorosi e delle imprese eroiche rimangono irrisolti. Boiardo lascia così in sospeso le storie d’amore, i duelli e le rivalità tra i vari personaggi della corte di Carlo Magno. Questo finale aperto, sebbene involontario, diventa il punto di partenza per il “Orlando Furioso” di Ludovico Ariosto, che riprende e amplia le avventure dei personaggi di Boiardo, continuando la tradizione cavalleresca e dando conclusione ad alcuni degli intrecci lasciati irrisolti.
Il nono canto del terzo libro dell’Orlando Innamorato è il punto in cui Matteo Maria Boiardo interrompe bruscamente il poema, lasciando la storia sospesa. In questo canto, il tema amoroso, leggero e fiabesco, si mescola a un tono più grave: il narratore, mentre celebra le vicende cavalleresche di Bradamante e Fiordespina, conclude il canto con un’invocazione a Dio e una digressione sulla difficile situazione politica dell’Italia invasa dai francesi di Carlo VIII. Boiardo ci lascia così, in una sorta di finale aperto, sospeso tra la leggerezza della narrazione epico-amorosa e l’amarezza per le vicende contemporanee.
Testo
Testo
CANTO NONO
1
Poi che il mio canto tanto a voi diletta,
Chè ben ne vedo nella faccia il signo,
Io vo’ trar for la citera più eletta
E le più argute corde che abbia in scrigno.1
Or vieni, Amore, e qua meco te assetta,
E se io ben son di tal richiesta indigno,
Perchè e’ mirti al mio capo non se avoltano,
Degni ne son costor che intorno ascoltano.
2
Come nanti l’aurora, al primo albore,
Splendono stelle chiare e matutine,
Tal questa corte luce in tant’onore
De cavallieri e dame peregrine,
Che tu pôi ben dal cel scendere, Amore,
Tra queste genti angelice e divine;
Se tu vien’ tra costoro, io te so dire
Che starai nosco e non vorai partire.
3
Qui trovarai un altro paradiso;
Or vieni adunque e spirami, di graccia,
Il tuo dolce diletto e ’l dolce riso,
Sì che cantando a questi satisfaccia
De Fiordespina, che mirando in viso
A Bradamante par che se disfaccia
E del disio se strugga a poco a poco,
Come rugiada al sole o cera al foco.
4
E non potea da tal vista levarsi:
Quanto più mira, de mirar più brama,
Sì come e’ farfallin, sin che sono arsi,
Non se scianno spiccar mai dalla fiama.
Erano e’ cacciatori intorno sparsi,
E qual suo cane e qual suo falcon chiama,
Con corni e cridi menando tempesta;
Onde al romor la fia de Amon se desta.
5
Sì come gli occhi aperse, incontinente
Una luce ne uscitte, uno splendore,
Che abbagliò Fiordespina primamente,
Poi per la vista li passò nel core;
E ben ne dimostrò segno evidente,
Tingendo la sua faccia in quel colore
Che fa la rosa, alorchè aprir se vole
Nella bella alba, allo aparir del sole.
6
Già Bradamante se era rilevata,
E perchè a gli atti e allo abito comprese
Quest’altra esser gran dama e pregïata,
La salutò con modo assai cortese;
E dove la iumenta avia legata,
Quando da prima in su il fiume discese,
Ne venne, chè trovarvela vi crede;
Ma non la trova ed ove sia non vede.
7
Perchè a sè stessa avia tratta la briglia,
E nel bosco più folto errando andava.
Or tal sconforto la dama se piglia,
Che quasi gli occhi a lacrime bagnava;
Ma amor, che ogni intelletto resviglia,
A Fiordespina subito mostrava
Con qual facilitate de legiero
Se trovi sola con quel cavalliero.
8
Essa aveva un destrier de Andologia,
Che non trovava parangone al corso;
Forte e legiero, un sol diffetto avia,
Che, potendo pigliar co’ denti il morso,
Al suo dispetto l’om portava via,
Nè si trovava a sua furia soccorso.
Sol con parole si puotea tenire:
Ciò sa la dama e ad altri nol vol dire.
9
Per questo crede lei di fare acquisto
Di Bradamante, che stima un barone,
E dice: Cavallier, tanto stai tristo
Forse per aver perso il tuo ronzone.
Se ben non te abbia cognosciuto o visto,
La ciera tua mi mostra per ragione
Che non pôi esser di natura fello:
Alle più volte bono è quel che è bello.
10
Onde non credo poter collocare
In altrui meglio una mia cosa eletta;
Però questo destrier ti vo’ donare,
Che non ha il mondo bestia più perfetta.
Sol colui dà, qual dà le cose care;
Ciascun privar se sa de cosa abietta:
E, per stimarme di poco valore,
Io non ardisco di donarti il core.
11
Così dicendo salta della sella
E il corsier per la briglia li presenta.
Bradamante, che vide la donzella
Nel viso di color de amor dipenta,
E gli occhi tremolare e la favella,
Dicea tra sè: Qualche una mal contenta
Serà de noi e ingannata alla vista,
Chè gratugia a gratugia poco acquista.
12
Così tra sè pensando, Bradamante
Disse alla dama: Questo dono è tale
Che a meritarlo io non serìa bastante:
Se ben tutto mi dono, poco vale.
Ma il dar per merto, è cosa di mercante,
E voi, che aveti lo animo regale,
Degnareti accettarmi quale io sono,
Che il corpo insieme e l’anima vi dono.
13
— Ciò non rifiuto, disse Fiordespina
Nè di cosa ch’io tengo, più me exalto;
Non fece mai, che io creda, un don regina,
Che ne pigliasse guidardon tanto alto.
Bradamante tacendo a lei se inclina,
E sì come era armata prese un salto,
Che avria passato sopra una ziraffa;
Salì a destriero, e non toccò la staffa.
14
La Saracina a quello atto se affisse,
Con gli occhi fermi e di mirar non saccia,
Poi chiamando e’ compagni intorno, disse:
Per me, non per voi fatta è questa caccia.
Se al mio comando alcun disobidisse,
Serà caduto nella mia disgraccia,
Che meglio vi serà cader nel foco:
Vo’ che ciascun stia fermo nel suo loco.
15
Stativi quieti e come gente mute,
E lasciate venir le bestie fuora,
Però che io sola le vo’ seguir tute;
E tu, barone, apresso a me dimora.
Piacer non ho maggior, se Dio m’aiute,
Che quando un forastier per me se onora,
E non è cosa, a mia fè te prometto,
Che io non facessi per darti diletto.
16
Acquetossi ciascun per obedire:
Chi stende lo arco, e chi suo cane agroppa;
Già tutto il bosco si sentia stromire
De corni e abagli, e ’l gran romor se incoppa.
Eccoti un cervo de la selva uscire,
Che avea le corne insino in su la groppa,
Un cervo per molti anni cognosciuto,
Perchè il maggior giamai non fu veduto.
17
Questo uscì al prato de un corso sì subito,
Che non par che lo aresti pruno o lapola,
E venne presso a Fiordespina un cubito,
Sì che aponto alla coda e’ can li scappola;
E fra se stessa diceva: Io me dubito
Che costui resti e non senti la trapola,
Se, pregando che segua, non impetro;
E poi se volse e disse: Vienmi dietro.
18
Nel fin de le parole volta il freno,
Seguendo il cervo, e pur costui dimanda.
Benchè avesse uno amblante palafreno
(Quale era nato nel regno de Irlanda,
E correa come un veltro, o poco meno,
Come tutti i roncin di quella banda;
Non già che fosse in corso simigliante
A l’altro, che avea dato a Bradamante),
19
Quello andaluzo correva assai più
Che non volea il patrone alcuna fiata.
Ora apena nel corso posto fu,
Che varcò Fiordespina de una arcata.
Già se pente la dama esservi su,
E vede ben che la bocca ha sfrenata;
Ora tira di possa, or tira piano,
Ma a retenerlo ogni remedio è vano.
20
Era davanti un monte rilevato,
Pien di cespugli e de arboscelli istrani,
Ma non ritenne il cavallo affogato:
Questo passò, come ha passato e’ piani.
Il cervo alle sue spalle avia lasciato;
Ben lo ha vicino, e presso a questo e’ cani,
E poco longe a’ cani è Fior de spina,
Che studia il corso e quanto può camina.
21
Nella scesa del monte a ponto a ponto
Fo preso il cervo da un can corridore;
E come fu da questo primo agionto,
Li altri poi lo aterrarno a gran furore.
Ora faceva Fiordespina conto
De non lasciar più gire il suo amatore,
E scridando al destrier, come far suole,
Fermar lo fa ben presto come vole.
22
Non dimandar se Bradamante alora,
Vedendo il destrier fermo, se conforta,
E smontò de lo arcion senza dimora,
Che quasi già se avea posta per morta,
Tanto che li batteva il core ancora.
E Fiordespina, che è di questo accorta,
Gli disse: O cavallier, vo’ che tu imagine
Che un fal commesso ho sol per smenticagine.
23
Ben si suol dir: non falla chi non fa;
Non so come mi sia di mente uscito
Di farti noto che il destrier, che te ha
Quasi condutto di morte al partito,
Qualunche volta se gli dice: Sta!
Non passarebbe più nel corso un dito;
Ma, come io dissi, me dimenticai
Farlo a te noto, e ciò mi dole assai.
24
Rimase Bradamante satisfatta
Per le parole et anco per le prove,
Chè, correndo il cavallo a briglia tratta,
Come odiva dir: Sta! più non se move.
La esperïenza fo più volte fatta;
Al fin smontarno in su l’erbette nove,
Sottesso l’ombra del fronzuto monte,19
Ove era un rivo e sopra a quello un ponte.
25
Quivi smontarno le due damigielle.
Bradamante avia l’arme ancora intorno,
L’altra uno abito biavo, fatto a stelle:
Quelle eran d’oro, e l’arco e i strali e ’l corno;
Ambe tanto legiadre, ambe sì belle,
Che avrian di sue bellezze il mondo adorno.
L’una de l’altra accesa è nel disio,
Quel che li manca ben sapre’ dir io.
26
Mentre che io canto, o Iddio redentore,
Vedo la Italia tutta a fiama e a foco
Per questi Galli, che con gran valore
Vengon per disertar non so che loco;
Però vi lascio in questo vano amore
De Fiordespina ardente a poco a poco;
Un’altra fiata, se mi fia concesso,
Racontarovi il tutto per espresso.
Parafrasi sintetica del testo
Poiché il mio canto vi piace tanto – lo vedo dai vostri volti – voglio prendere lo strumento più pregiato e le corde più sottili che possiedo.
Vieni, Amore, e siediti accanto a me, e, anche se non sono degno di questa richiesta (perché non porto alloro in testa), chi ascolta è degno di essere onorato.
Come le stelle splendono all’alba, così questa corte splende di cavalieri e dame nobili. Amore, scendi dal cielo, perché qui troverai un altro paradiso.
Vieni e ispirami, donandomi la tua dolcezza, perché possa cantare per questi l’amore di Fiordespina per Bradamante, che si consuma di desiderio, come la rugiada si dissolve al sole.
Fiordespina non riesce a smettere di guardare Bradamante e più guarda, più desidera guardare, come una falena attratta dal fuoco.
I cacciatori sono sparsi intorno e, richiamando cani e falchi, fanno grande rumore, svegliando Bradamante.
Appena apre gli occhi, Bradamante emana una luce che colpisce Fiordespina al cuore, tingendo il suo viso del rosso della rosa all’alba.
Bradamante si alza, saluta cortesemente Fiordespina e va a cercare il suo cavallo, ma non lo trova, perché l’animale si è allontanato. Fiordespina, approfittando della situazione, le offre il suo cavallo.
Bradamante, colpita dalla gentilezza e dall’amore di Fiordespina, accetta.
Le due si mettono in viaggio insieme e Fiordespina decide di non lasciare andare Bradamante, imponendo ai suoi compagni di restare in silenzio e permettendole di seguire da sola il cervo che stanno cacciando.
Alla fine le due dame si fermano accanto a un fiume e, una accanto all’altra, si guardano con desiderio.
Mentre io canto, vedo l’Italia in fiamme a causa dei francesi; devo lasciarvi con Fiordespina e Bradamante consumate da un amore vano. Forse un giorno potrò raccontare tutta la storia.
Analisi del testo, figure retoriche e stile
Boiardo usa un linguaggio che mescola il registro elevato del poema epico con elementi fiabeschi e sentimentali, rendendo il tono del testo vario e coinvolgente. Alcuni aspetti chiave:
- L’invocazione iniziale ad Amore: La scena si apre con un’invocazione a “citera” e “Amore”, in cui Boiardo adotta uno stile classicheggiante e lirico. L’invocazione e la prosopopea di Amore rendono solenne il tema amoroso, che domina il canto.
- Similitudini e metafore per descrivere l’amore di Fiordespina:
- “Come nanti l’aurora, al primo albore, / Splendono stelle chiare e matutine” – La similitudine richiama la luce del mattino, simbolo di bellezza e purezza.
- “Come rugiada al sole o cera al foco” – La metafora suggerisce la dissoluzione di Fiordespina al contatto con Bradamante, trasmettendo la fragilità e intensità del desiderio.
- “Sì come e’ farfallin, sin che sono arsi, / Non se scianno spiccar mai dalla fiama” – Un’altra similitudine che paragona Fiordespina a una falena attirata dal fuoco, descrivendo l’irresistibile attrazione che prova.
- Personificazione di Amore e della Natura: L’uso di metafore e immagini personificate eleva il tema amoroso a un tono epico, nonostante il desiderio di Fiordespina per Bradamante si riveli vaneggiante e tragico.
- Dignità della corte e delle dame cavalleresche: Le nobili dame e cavalieri sono descritti come appartenenti a una corte paradisiaca, degna di Amore, una iperbole che esalta i valori di nobiltà e bellezza dell’epoca cavalleresca.
- Contrastante chiusura del canto: Dopo la descrizione lirica dell’amore, Boiardo rompe bruscamente il tono poetico per introdurre la realtà politica. La metafora di “Italia tutta a fiama e a foco” esprime in modo drammatico la devastazione del Paese per mano dei francesi, in netto contrasto con l’idillio amoroso.
Commento finale
Nel canto nono, Boiardo offre un esempio di quella miscela unica di romanticismo, fiabesco e drammatico che contraddistingue il suo Orlando Innamorato. La narrazione è pervasa da un tono lirico che si alterna tra il sentimento amoroso e il contesto epico-cavalleresco, rappresentando il desiderio e la passione impossibile di Fiordespina per Bradamante, tema a cui l’autore dona dignità e delicatezza. Tuttavia, la narrazione si chiude in modo brusco e cupo, con Boiardo che si rivolge al lettore e riflette sulla guerra in Italia, lasciando in sospeso le storie dei personaggi.
L’interruzione del poema, dovuta all’invasione francese, trasforma il finale in una sorta di metafora della fragilità del mondo cavalleresco e dei valori che rappresenta, esposti a un mondo in tumulto. La sua opera rimarrà incompiuta, ma proprio questa incompiutezza diventerà emblematica di un’epoca romantica e idealizzata, interrotta dalla realtà storica.