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27 Gennaio 2019Incontro con Andrea G. Pinketts
27 Gennaio 2019Classe VF – 13.2.02
TIPOLOGIA B – REDAZIONE DI UN “SAGGIO BREVE” O DI UN “ARTICOLO DI GIORNALE”
CONSEGNE
Sviluppa l’argomento scelto o in forma di saggio breve” o di articolo di giornale”, utilizzando i documenti e i dati che lo corredano e facendo riferimento alle tue conoscenze ed esperienze di studio.
Da’ un titolo alla tua trattazione.
Se scegli la forma del saggio breve”, indica la destinazione editoriale (rivista specialistica, relazione scolastica, rassegna di argomento culturale, altro).
Se scegli la forma dell’ “articolo di giornale”, indica il tipo di giornale sul quale ipotizzi la pubblicazione (quotidiano, rivista divulgativa, giornale scolastico, altro).
Per attualizzare l’argomento, puoi riferirti a circostanze immaginarie o reali (mostre, anniversari, convegni o eventi di rilievo). Non superare le quattro o cinque colonne di metà di foglio protocollo.
ARGOMENTO:
Interpretazioni della poesia leopardiana
Leopardi si rivela con una semplicità e candore ammirabile nell’epistolario (lett. 824, 931). Nelle sue lettere, specialmente al padre, si spoglia di ogni veste letteraria e lascia parlare il suo cuore con un linguaggio di pura umiltà. Sono le lettere che più direttamente ci dicono la sua esperienza di pena. Quale è stato il rapporto tra il suo dolore e la visione che egli ebbe della infelicità universale? La sua poesia altissima è insieme testimonianza della sua pena e visione della universale infelicità: dalla poesia è così possibile riconoscere l’intimo rapporto tra l’esperienza e il pensiero. I Canti rimangono espressione di questa profonda unità. (Divo Barsotti – scrittore)
Tanto la Chiesa quanto i suoi odierni avversari riducono la filosofia contemporanea a un “relativismo” invertebrato, a uno scetticismo ingenuo che negando ogni verità assoluta non sa nemmeno di avere la pretesa di valere esso come l’unica verità assoluta. Ma la filosofia contemporanea non ha nulla a che vedere con lo scetticismo ingenuo. Nei suoi luoghi più alti (Nietzsche, Gentile, Wittgenstein, Heidegger, e innanzitutto Leopardi), essa comprende che se il mondo è divenire, creazione e annientamento delle cose e degli eventi, allora è impossibile che al di là o all’interno del mondo esista una qualsiasi realtà immutabile e una qualsiasi verità definitiva, perché esse anticiperebbero tutti gli eventi del divenire, che dunque sarebbe ridotto a pura illusione.
Per la filosofia contemporanea è quindi necessario liberarsi dal cristianesimo, che vuol essere appunto la verità definitiva e suprema in cui viene affermata la realtà immutabile di Dio.
La poesia, per Leopardi, ha il senso forte di «potenza», e canta l’annientamento che travolge tutto, anche ogni tecnica (si veda il mio libro Il nulla e la poesia. Alla fine dell’età della tecnica: Leopardi, Rizzoli, 1990). La grande poesia è in Leopardi l’ultima téchne che consente all’uomo di sopportare ancora per un poco lo spettacolo terribile del nulla. Intendo dire che la tecnica non va ridotta a macchina, per poi concludere che è mostruosa e non può assorbire in sé l’arte. Nel suo significato più profondo – cioè come infinito trascendimento di ogni forma di potenza, dunque come forma suprema dell’immaginazione – la tecnica può esaudire tutte le istanze dello «spirito», anche quelle dell’arte e della religione, può diventare la suprema «poesia» ed essere bella, grande, profonda, luminosa. Come Lucifero.
(Emanuele Severino – filosofo)
La tragicità di Leopardi sorge perché la realtà fa sognare l’uomo, lo esalta, nel senso latino del termine- ossia, lo prende e lo estrae innalzandolo in tutta la sua statura -; dal suolo della realtà l’uomo, che è come accovacciato e dormiente, si solleva. La realtà, insomma, esalta l’anima umana, che diviene in essa un respiro sognante, che è ciò che fa vivere nonostante la sproporzione sofferta e la tragicità del sentimento. Tale sproporzione diventa, in questa evocazione della vita come sogno, sorgente di vaste meditazioni, cui il genio di Leopardi sa dare spazi di immagini, di parole e di musicalità che non hanno paragone in tutta la letteratura italiana. Credo che in tal senso l’inno leopardiano più tipico sia il Canto notturno, dove l’esaltazione consegue l’abisso medesimo, l’abisso del nulla «ov’ei precipitando, il tutto obblìa», leggiamo:
E tu certo comprendi / il perché delle cose, e vedi il frutto / del mattin, della sera, / del tacito, infinito andar del tempo. / Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore / rida la primavera, / a chi giovi l’ardore, e che procacci / il verno co’ suoi ghiacci. / Mille cose sai tu, mille discopri, / che son celate al semplice pastore. / Spesso quand’io ti miro / star così muta in sul deserto piano, / che, in suo giro lontano, al ciel confina; / ovver con la mia greggia / seguirmi viaggiando a mano a mano; / e quando miro in cielo arder le stelle; / dico fra me pensando: / a che tante facelle? / Che fa l’aria infinita, e quel profondo / infinito seren? che vuol dir questa / solitudine immensa? / ed io che sono?
Questa esaltazione del sentimento di sé rende la vita dell’uomo dominata da una tensione ad un ultimo risolutivo, da un «pensiero dominante», che può, ovviamente, prender volto nella donna amata, o nella contemplazione della natura, o nel pensiero rivolto al «volo delle etadi». Ogni uomo, pur senza rendersene conto, ha dentro di sé un’immagine che lo fa vivere:
Dolcissimo, possente / dominator di mia profonda mente; / terribile, ma caro / dono del ciel; consorte / ai lugubri miei giorni, / pensier che innanzi a me sì spesso torni.
(Luigi Giussani)
Forse sono la persona meno adatta per esaminare o interpretare Leopardi, dopo tutto, non sono ne’ una studentessa ne’ tanto meno una “studiosa”, ma ho voluto creare questo sito proprio perché si può amare Leopardi anche senza passare anni e anni sui libri, il solo guaio e’ che gli “eruditi” (o sapienti) non ti danno molto ascolto se non sei “uno di loro”; si certo, studiare senza dubbio, aiuta a comprendere meglio, ma allora, se nessuno studiasse, nessuno lo amerebbe? Spero di no, ma temo che sia così. Chi mai si potrebbe interessare alla sua poesia, alla sua esistenza così disperata e sfortunata? Credo nessuno, poiché le persone che lo amano, o che almeno, apprezzano la sua poesia, sono persone che lo hanno “studiato”, ma mai persone che si sono imbattute in lui per caso, o per destino, se credete nel destino. Io mi sono imbattuta in Leopardi per caso ( o era destino?), all’inizio non avevo nessuna opinione su di lui, leggevo qualche sua poesia, qualche suo dialogo, mi piacevano certo, ma come semplice “passatempo” ( mi perdonino gli estimatori), poi ha cominciato ad attirarmi maggiormente, volevo scoprire di piu’ di questo grandissimo ma infelicissimo uomo (perché era si’ un poeta, ma era soprattutto un uomo). Non mi cimenterò in sproloqui riguardanti la Sua poesia o il suo pensiero, cadrei in errore di certo, io ammiro e AMO la Sua poesia, e questo per me basta. Mi scuso con voi se vi aspettavate qualcosa di diverso in questa pagina, ma i grandi discorsi non fanno per me. Grazie per aver letto questi miei brevi (magari inutili) pensieri
(Tina, che si fa chiamare, in rete, Iside 99 – diciannovenne webmaster del sito web www.geocities.com/lericordanze)
Giusto cinquant’anni or sono si verificava – nell’ambito degli studi leopardiani – quella che possiamo denominare la svolta filosofica”. A partire dagli studi di un pensatore come Cesare Luporini e di un critico come Walter Binni, il caso Leopardi” ha cominciato a rivelare una nuova complessità. Infatti le precedenti impostazioni, che, facendo riferimento a fisolofi come Croce e Gentile, potremmo ricondurre a due lettere fondamentali, avevano considerato il rapporto di poesia e pensiero nel Leopardi o nei termini (crociani) di poesia e non poesia”, negando cioè rilevanza poetica (e filosofica) a un presunto pensiero leopardiano, o nei termini (gentiliani) di pensiero e poesia considerati come materia e forma dell’opera di Leopardi. Ma tanto nella prospettiva del rifiuto (poesia, non pensiero) quanto in quella dell’accettazione (poesia e pensiero) si aveva una considerazione dicotomica, per cui di una filosofia leopardiana sembrava che o non avesse senso parlare, essendo da considerare addirittura ostacolo alla poesia, o avesse La svolta”, che a partire dal 1947 è avvenuta grazie agli studi di Luporini (su Leopardi progressista) e di Binni (su Leopardi eroico), ha portato a riconsiderare il problema del rapporto tra poesia e pensiero nel Recanatese, evidenziandone in misura crescente l’unità, che ha trovato felice espressione nella definizione di pensiero poetante” o poesia pensante”. Studiosi di letteratura e di filosofia hanno, infatti, riletto l’opera leopardiana, mostrandone lintriseca filosoficità, prima in chiave progressista, poi in chiave nichilista. In tal modo, il poetare leopardiano è apparso non semplicemente specchio dei suoi tempi, cioè in relazione alla cultura illuministica o romantica, ma precorritore di tendenze proprie del 900.
(articolo in occasione del bicentenario della nascita di Giacomo Leopardi)