Le Odi di Orazio
28 Dicembre 2019Amico di Renato Zero
28 Dicembre 2019In questo contesto, Dante dialoga con San Giacomo, che lo esamina proprio sulla virtù della speranza, uno dei tre temi teologali fondamentali insieme alla fede e alla carità. È un momento di grande importanza perché Dante deve dimostrare la sua comprensione della speranza cristiana, che è intesa come la fiducia nella salvezza e nella vita eterna.
Versi 64-81: Definizione della speranza
Dante, come uno scolaro diligente, si dispone a rispondere alla domanda di San Giacomo sulla natura della speranza:
«Spene», diss’ io, «è uno attender certo
de la gloria futura, il qual produce
grazia divina e precedente merto» (67-69)
Dante definisce la speranza come una certezza fiduciosa nell’ottenimento della gloria futura, della beatitudine eterna, resa possibile dalla grazia divina e dai meriti acquisiti nella vita. Questa definizione non è farina del suo sacco, ma si ispira alle scritture e alla teologia, in particolare alla Lettera agli Ebrei (11,1), dove si parla della fede come “fondamento delle cose che si sperano”.
Dante continua specificando che la sua comprensione della speranza viene da molte fonti celesti, ma il suo cuore fu toccato per la prima volta dalla “luce” della speranza grazie al “sommo cantor del sommo duce”:
‘Sperino in te’, ne la sua tëodia
dice, ’color che sanno il nome tuo’ (73-74)
Questo riferimento è a Davide, il re e poeta biblico autore dei Salmi, chiamato qui “sommo cantor”, che nel Salmo 9 esorta tutti coloro che conoscono il nome di Dio a riporre in Lui la loro speranza. Dante, quindi, sottolinea come la sua comprensione della speranza abbia radici bibliche.
Versi 82-96: San Giacomo e la speranza nel Nuovo e Vecchio Testamento
Mentre Dante spiega la speranza, si manifesta un “lampo” nel cuore di San Giacomo, segno di gioia e apprezzamento per la risposta del poeta. San Giacomo, ancora infiammato dall’amore per la virtù che lo condusse alla gloria, invita Dante a spiegare cosa gli prometta la speranza:
«L’amore ond’ ïo avvampo
vuol ch’io respiri a te che ti dilette
di lei; ed emmi a grato che tu diche
quello che la speranza ti ’mpromette» (84-87)
Dante allora risponde che sia le scritture antiche (Vecchio Testamento) sia quelle nuove (Nuovo Testamento) pongono come segno di speranza la visione beatifica delle anime amiche di Dio:
Dice Isaia che ciascuna vestita
ne la sua terra fia di doppia vesta:
e la sua terra è questa dolce vita; (91-93)
Dante cita Isaia (61,7), il quale preannuncia che i giusti riceveranno una “doppia veste” nella loro terra, che Dante interpreta come la “dolce vita” del Paradiso. La doppia veste è un simbolo della gloria che avvolge l’anima beata, confermato anche dall’Apocalisse di Giovanni, dove si parla delle bianche vesti dei santi.
Versi 97-117: Apparizione di San Giovanni
Dopo queste parole, un coro di anime intona il versetto “Sperent in te”, e un nuovo splendore si manifesta, intensificandosi al punto che sembra rischiarare il cielo come se fosse un cristallo purissimo:
Poscia tra esse un lume si schiarì
sì che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo,
l’inverno avrebbe un mese d’un sol dì (100-102)
Questa luce intensissima appartiene a San Giovanni, l’apostolo che giacque sul petto di Gesù durante l’Ultima Cena, e che fu presente sotto la croce al momento della crocifissione:
«Questi è colui che giacque sopra ’l petto
del nostro pellicano, e questi fue
di su la croce al grande officio eletto» (113-115)
Il “pellicano” è un simbolo cristologico, che rimanda a un’antica leggenda secondo la quale il pellicano nutriva i propri piccoli con il proprio sangue, e dunque è usato come simbolo di Cristo, che si sacrifica per l’umanità. San Giovanni è dunque identificato come testimone privilegiato di Cristo.
Versi 118-139: San Giovanni e il corpo incorrotto
Dante, nel tentativo di vedere San Giovanni, cerca di scorgerne la figura con gli occhi fisici, ma viene ammonito:
«Perché t’abbagli
per veder cosa che qui non ha loco?
In terra è terra il mio corpo, e saragli
tanto con li altri, che ’l numero nostro
con l’etterno proposito s’agguagli» (122-126)
San Giovanni spiega che il suo corpo si trova ancora sulla terra, e lo sarà fino alla Resurrezione finale, quando i corpi dei santi si ricongiungeranno con le loro anime, completando il numero dei beati secondo il disegno eterno di Dio. Questa affermazione corregge una credenza popolare dell’epoca, secondo cui il corpo di Giovanni sarebbe già stato assunto in cielo.
Il canto si conclude con Dante che, pieno di emozione, cerca il conforto di Beatrice:
Ahi quanto ne la mente mi commossi,
quando mi volsi per veder Beatrice,
per non poter veder, benché io fossi
presso di lei, e nel mondo felice! (136-139)
Dante si volta verso Beatrice, ma per un attimo non riesce a vederla chiaramente, nonostante sia al suo fianco nel mondo celeste. Questo segna un momento di grande intensità emotiva per il poeta.
Temi principali
- Speranza e fiducia nella salvezza: La definizione di speranza come certezza della beatitudine futura e la sua radice nelle scritture sono al centro del dialogo tra Dante e San Giacomo.
- Il ruolo delle Scritture: Il legame tra Vecchio e Nuovo Testamento, rappresentato dalle citazioni di Isaia e Giovanni, dimostra l’importanza della Bibbia come guida nella vita spirituale.
- La condizione del corpo nella vita eterna: La spiegazione di San Giovanni sul destino del corpo chiarisce una credenza popolare, sottolineando l’importanza della resurrezione finale.
- L’amore per la verità: Dante si mostra come un discepolo umile e pronto a imparare, incarnando l’ideale del fedele che si affida alla guida dei santi e delle Scritture per orientarsi nel cammino verso Dio.
Solo testo dei versi 64-139 del venticinquesimo canto del Paradiso di Dante
Come discente ch’a dottor seconda
pronto e libente in quel ch’elli è esperto,
perché la sua bontà si disasconda, 66
«Spene», diss’ io, «è uno attender certo
de la gloria futura, il qual produce
grazia divina e precedente merto: 69
Da molte stelle mi vien questa luce;
ma quei la distillò nel mio cor pria
che fu sommo cantor del sommo duce: 72
’Sperino in te’, ne la sua tëodia
dice, ’color che sanno il nome tuo’:
e chi nol sa, s’elli ha la fede mia?75
Tu mi stillasti, con lo stillar suo,
ne la pistola poi; sì ch’io son pieno,
e in altrui vostra pioggia repluo»: 78
Mentr’ io diceva, dentro al vivo seno
di quello incendio tremolava un lampo
sùbito e spesso a guisa di baleno: 81
Indi spirò: «L’amore ond’ ïo avvampo
ancor ver’ la virtù che mi seguette
infin la palma e a l’uscir del campo,84
vuol ch’io respiri a te che ti dilette
di lei; ed emmi a grato che tu diche
quello che la speranza ti ’mpromette»: 87
E io: «Le nove e le scritture antiche
pongon lo segno, ed esso lo mi addita,
de l’anime che Dio s’ha fatte amiche: 90
Dice Isaia che ciascuna vestita
ne la sua terra fia di doppia vesta:
e la sua terra è questa dolce vita;93
e ’l tuo fratello assai vie più digesta,
là dove tratta de le bianche stole,
questa revelazion ci manifesta»: 96
E prima, appresso al fin d’este parole,
’Sperent in te’ di sopr’ a noi s’udì;
a che rispuoser tutte le carole: 99
Poscia tra esse un lume si schiarì
sì che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo,
l’inverno avrebbe un mese d’un sol dì: 102
E come surge e va ed entra in ballo
vergine lieta, sol per fare onore
a la novizia, non per alcun fallo, 105
così vid’ io lo schiarato splendore
venire a’ due che si volgieno a nota
qual conveniesi al loro ardente amore: 108
Misesi lì nel canto e ne la rota;
e la mia donna in lor tenea l’aspetto,
pur come sposa tacita e immota: 111
«Questi è colui che giacque sopra ’l petto
del nostro pellicano, e questi fue
di su la croce al grande officio eletto»: 114
La donna mia così; né però piùe
mosser la vista sua di stare attenta
poscia che prima le parole sue: 117
Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta
di vedere eclissar lo sole un poco,
che, per veder, non vedente diventa; 120
tal mi fec’ ïo a quell’ ultimo foco
mentre che detto fu: «Perché t’abbagli
per veder cosa che qui non ha loco? 123
In terra è terra il mio corpo, e saragli
tanto con li altri, che ’l numero nostro
con l’etterno proposito s’agguagli: 126
Con le due stole nel beato chiostro
son le due luci sole che saliro;
e questo apporterai nel mondo vostro»: 129
A questa voce l’infiammato giro
si quïetò con esso il dolce mischio
che si facea nel suon del trino spiro,132
sì come, per cessar fatica o rischio,
li remi, pria ne l’acqua ripercossi,
tutti si posano al sonar d’un fischio: 135
Ahi quanto ne la mente mi commossi,
quando mi volsi per veder Beatrice,
per non poter veder, benché io fossi 138
presso di lei, e nel mondo felice!