Siena
27 Gennaio 2019Accoglienza
27 Gennaio 2019
Giovanni Boccaccio
Nona Giornata
Novella Ottava
Biondello fa una beffa a Ciacco d’un desinare, della quale Ciacco cautamente si vendica, faccendo lui sconciamente battere.
Universalmente ciascuno della lieta compagnia disse quello che Talano veduto avea dormendo non essere stato sogno ma visione, sì appunto, senza alcuna cosa mancarne, era avvenuto. Ma, tacendo ciascuno, impose la reina alla Lauretta che seguitasse, la qual disse.
Come costoro, soavissime donne, che oggi davanti a me hanno parlato, quasi tutti da alcuna cosa già detta mossi sono stati a ragionare, così me muove la rigida vendetta ieri raccontata da Pampinea, che fe’lo scolare, a dover dire d’una assai grave a colui che la sostenne, quantunque non fosse per ciò tanto fiera. E per ciò dico che, essendo in Firenze uno da tutti chiamato Ciacco, uomo ghiottissimo quanto alcun altro fosse giammai, e non possendo la sua possibilità sostenere le spese che la sua ghiottornia richiedea, essendo per altro assai costumato e tutto pieno di belli e di piacevoli motti, si diede ad essere, non del tutto uom di corte, ma morditore, e ad usare con coloro che ricchi erano e di mangiare delle buone cose si dilettavano; e con questi a desinare e a cena, ancor che chiamato non fosse ogni volta, andava assai sovente.
Era similmente in quei tempi in Firenze uno, il quale era chiamato Biondello, piccoletto della persona, leggiadro molto e più pulito che una mosca, con sua cuffia in capo, con una zazzerina bionda e per punto senza un capel torto avervi, il quale quel medesimo mestiere usava che Ciacco.
Il quale essendo una mattina di quaresima andato là do ve il pesce si vende, e comperando due grossissime lamprede per messer Vieri de’Cerchi, fu veduto da Ciacco; il quale, avvicinatosi a Biondello, disse:
– Che vuol dir questo?
A cui Biondello rispose:
– Iersera ne furono mandate tre altre, troppo più belle che queste non sono e uno storione a messer Corso Donati, le quali non bastandogli per voler dar mangiare a certi gentili uomini, m’ha fatte comperare quest’altre due: non vi verrai tu?
Rispose Ciacco:
– Ben sai che io vi verrò.
E quando tempo gli parve, a casa messer Corso se n’andò, e trovollo con alcuni suoi vicini che ancora non era andato a desinare. A quale egli, essendo da lui domandato che andasse faccendo, rispose:
– Messere, io vengo a desinar con voi e con la vostra brigata.
A cui messer Corso disse:
– Tu sie ‘l ben venuto, e per ciò che egli è tempo, andianne.
Postisi dunque a tavola, primieramente ebbero del cece e della sorra, e appresso del pesce d’Arno fritto, senza più Ciacco, accortosi dello ‘nganno di Biondello e in sé non poco turbatosene, propose di dovernel pagare; né passar molti dì che egli in lui si scontrò, il qual già molti aveva fatti ridere di questa beffa.
Biondello, vedutolo, il salutò, e ridendo il domandò chenti la fosser state le lamprede di messer Corso; a cui Ciacco rispondendo disse:
– Avanti che otto giorni passino tu il saprai molto meglio dir di me.
E senza mettere indugio al fatto, partitosi da Biondello, con un saccente barattiere si convenne del prezzo, e datogli un bottaccio di vetro, il menò vicino della l’oggia de’Cavicciuli, e mostrogli in quella un cavaliere chiamato messer Filippo Argenti, uomo grande e nerboruto e forte, sdegnoso, iracundo e bizzarro più che altro, e dissegli:
– Tu te ne andrai a lui con questo fiasco in mano, e dira’gli così: – Messere, a voi mi manda Biondello, e mandavi pregando che vi piaccia d’arrubinargli questo fiasco del vostro buon vin vermiglio, ch’e’si vuole alquanto sollazzar con suoi zanzeri -; e sta bene accorto che egli non ti ponesse le mani addosso, per ciò che egli ti darebbe il mal dì, e avresti guasti i fatti miei.
Disse il barattiere:
– Ho io a dire altro?
Disse Ciacco:
– No; va pure; e come tu hai questo detto, torna qui a me col fiasco, e io ti pagherò.
Mossosi adunque il barattiere, fece a messer Filippo l’ambasciata.
Messer Filippo, udito costui, come colui che piccola levatura avea, avvisando che Biondello, il quale egli conosceva, si facesse beffe di lui, tutto tinto nel viso, dicendo: Che “arrubinatemi” e che “zanzeri” son questi? Che nel mal anno metta Iddio te e lui -, si levò in piè e distese il braccio per pigliar con la mano il barattiere; ma il barattiere, come colui che attento stava, fu presto e fuggì via, e per altra parte ritornò a Ciacco, il quale ogni cosa veduta avea, e dissegli ciò che messer Filippo aveva detto.
Ciacco contento pagò il barattiere, e non riposò mai ch’egli ebbe ritrovato Biondello, al quale egli disse:
– Fostu a questa pezza dalla l’oggia de’Cavicciuli?
Rispose Biondello:
– Mai no; perché me ne domandi tu?
Disse Ciacco:
– Per ciò che io ti so dire che messer Filippo ti fa cercare, non so quel ch’e’si vuole.
Disse allora Biondello:
– Bene, io vo verso là, io gli farò motto.
Partitosi Biondello, Ciacco gli andò appresso per vedere come il fatto andasse. Messer Filippo, non avendo potuto giugnere il barattiere, era rimaso fieramente turbato e tutto in sé medesimo si rodea, non potendo dalle parole dette dal barattiere cosa del mondo trarre altro, se non che Biondello, ad instanzia di cui che sia, si facesse beffe di lui. E in questo che egli così si rodeva, e Biondel venne.
Il quale come egli vide, fattoglisi incontro, gli diè nel viso un gran punzone.
– Ohimè! messer, – disse Biondel – che è questo?
Messer Filippo, presolo per li capelli e stracciatagli la cuffia in capo e gittato il cappuccio per terra e dandogli tuttavia forte, diceva:
– Traditore, tu il vedrai bene ciò che questo è. Che “arrubinatemi” e che “zanzeri” mi mandi tu dicendo a me? Paiot’io fanciullo da dovere essere uccellato?
E così dicendo, con le pugna, le quali aveva che parevan di ferro, tutto il viso gli ruppe, né gli lasciò in capo capello che ben gli volesse, e convoltolo per lo fango, tutti i panni in dosso gli stracciò; e sì a questo fatto si studiava, che pure una volta dalla prima innanzi non gli potè Biondello dire una parola, né domandar perché questo gli facesse. Aveva egli bene inteso dello “arrubinatemi” e de’ “zanzeri”, ma non sapeva che ciò si volesse dire.
Alla fine, avendol messer Filippo ben battuto, ed essendogli molti dintorno, alla maggior fatica del mondo gliele trasser di mano così rabbuffato e malconcio come era; e dissergli perché messer Filippo questo avea fatto, riprendendolo di ciò che mandato gli avea dicendo, e dicendogli ch’egli doveva bene oggimai cognoscer messer Filippo e che egli non era uomo da motteggiar con lui.
Biondello piagnendo si scusava e diceva che mai a messer Filippo non aveva mandato per vino. Ma poi che un poco si fu rimesso in assetto, tristo e dolente se ne tornò a casa, avvisando questa essere stata opera di Ciacco. E poi che dopo molti dì, partiti i lividori del viso, cominciò di casa ad uscire, avvenne che Ciacco il trovò, e ridendo il domandò:
– Biondello, chente ti parve il vino di messer Filippo?
Rispose Biondello:
– Tali fosser parute a te le lamprede di messer Corso!
Allora disse Ciacco:
– A te sta oramai: qualora tu mi vuogli così ben dare da mangiar come facesti, io darò a te così ben da bere come avesti.
Biondello, che conoscea che contro a Ciacco egli poteva più aver mala voglia che opera, pregò Iddio della pace sua, e da indi innanzi si guardò di mai più non beffarlo.
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