Siena
27 Gennaio 2019Accoglienza
27 Gennaio 2019Testo online della Prima novella della Seconda giornata del Decameron di Giovanni Boccaccio
Seconda Giornata
Novella Prima
Martellino, infignendosi attratto, sopra santo Arrigo fa vista di guarire, e, conosciuto il suo inganno, è battuto, e poi, preso e in pericolo venuto d’esser impiccato per la gola, ultimamente scampa.
Spesse volte, carissime donne, avvenne che chi altrui s’è di beffare ingegnato, e massimamente quelle cose che sono da reverire, s’è colle beffe e talvolta col danno di sé solo ritrovato. Il che, acciò che io al comandamento della reina ubbidisca e principio dea con una mia novella alla proposta, intendo di raccontarvi quello che prima sventuratamente, e poi fuori di tutto il suo pensiero assai felicemente, ad un nostro cittadino avvenisse.
Era, non è ancora lungo tempo passato, un tedesco a Trivigi, chiamato Arrigo, il quale, povero uomo essendo, di portar pesi a prezzo serviva chi il richiedeva; e, con questo, uomo di santissima vita e di buona era tenuto da tutti. Per la qual cosa, o vero o non vero che si fosse, morendo egli, adivenne, secondo che i trivigiani affermano, che nell’ora della sua morte le campane della maggior chiesa di Trivigi tutte, senza essere da alcuno tirate, cominciarono a sonare. Il che in luogo di miracolo avendo, questo Arrigo esser santo dicevano tutti; e concorso tutto il popolo della città alla casa nella quale il suo corpo giaceva, quello a guisa d’un corpo santo nella chiesa maggiore ne portarono, menando quivi zoppi attratti e ciechi e altri di qualunque infermità o difetto impediti, quasi tutti dovessero dal toccamento di questo corpo divenir sani.
In tanto tumulto e discorrimento di popolo, avvenne che in Trivigi giunsero tre nostri cittadini, de’quali l’uno era chiamato Stecchi, l’altro Martellino e il terzo Marchese, uomini li quali, le corti de’signori visitando, di contraffarsi e con nuovi atti contraffacendo qualunque altro uomo li veditori sollazzavano. Li quali quivi non essendo stati giammai, veggendo correre ogni uomo, si maravigliarono, e udita la cagione per che ciò era, disiderosi divennero d’andare a vedere. E poste le lor cose ad uno albergo, disse Marchese:
– Noi vogliamo andare a veder questo santo; ma io per me non veggio come noi vi ci possiam pervenire, per ciò che io ho inteso che la piazza è piena di tedeschi e d’altra gente armata, la quale il signor di questa terra, acciò che romor non si faccia, vi fa stare; e oltre a questo la chiesa, per quello che si dica, è sì piena di gente che quasi niuna persona più vi può entrare.
Martellino allora, che di veder questa cosa disiderava, disse:
– Per questo non rimanga; ché di pervenire infino al corpo santo troverrò io ben modo.
Disse Marchese:
– Come?
Rispose Martellino:
– Dicolti. Io mi contraffarò a guisa d’uno attratto, e tu dall’un lato e Stecchi dall’altro, come se io per me andar non potessi, mi verrete sostenendo, faccendo sembianti di volermi là menare acciò che questo santo mi guarisca; egli non sarà alcuno che veggendoci non ci faccia luogo, e lascici andare. A Marchese e a Stecchi piacque il modo; e, senza alcuno indugio usciti fuori dello albergo, tutti e tre in un solitario luogo venuti, Martellino si storse in guisa le mani, le dita e le braccia e le gambe, e oltre a questo la bocca e gli occhi e tutto il viso, che fiera cosa pareva a vedere; né sarebbe stato alcuno che veduto l’avesse, che non avesse detto lui veramente esser tutto della persona perduto rattratto. E preso così fatto da Marchese e da Stecchi, verso la chiesa si dirizzarono, in vista tutti pieni di pietà , umilemente e per lo amor di Dio domandando a ciascuno che dinanzi lor si parava, che loro luogo facesse; il che agevolmente impetravano; e in brieve, riguardati da tutti, e quasi per tutto gridandosi -fa luogo, fa luogo-, là pervennero ove il corpo di santo Arrigo era posto; e da certi gentili uomini, che v’erano dattorno, fu Martellino prestamente preso e sopra il corpo posto, acciò che per quello il beneficio della sanità acquistasse.
Martellino, essendo tutta la gente attenta a vedere che di lui avvenisse, stato alquanto, cominciò, come colui che ottimamente far lo sapeva, a far sembiante di distendere l’uno dediti, e appresso la mano, e poi il braccio, e così tutto a venirsi distendendo. Il che veggendo la gente, sì gran romore in lode di santo Arrigo facevano che i tuoni non si sarieno potuti udire.
Era per avventura un fiorentino vicino a questo luogo, il quale molto bene conoscea Martellino, ma per l’essere così travolto quando vi fu menato non lo avea conosciuto; il quale, veggendolo ridirizzato e riconosciutolo, subitamente cominciò a ridere e a dire:
– Domine, fallo tristo! chi non avrebbe creduto, veggendol venire, che egli fosse stato attratto da dovero?
Queste parole udirono alcuni trivigiani, li quali incontanente il domandarono:
– Come! Non era costui attratto?
A’quali il fiorentino rispose:
– Non piaccia a Dio! egli è sempre stato diritto come è qualunque di noi, ma sa meglio che altro uomo, come voi avete potuto vedere, far queste ciance di contraffarsi in qualunque forma vuole.
Come costoro ebbero udito questo, non bisognò più avanti; essi si fecero per forza innanzi e cominciarono a gridare:
– Sia preso questo traditore e beffatore di Dio e de’santi, il quale, non essendo attratto, per ischernire il nostro santo e noi, qui a guisa d’attratto è venuto.
E così dicendo il pigliarono, e giù del luogo dove era il tirarono, e presolo per li capelli e stracciatigli tutti i panni in dosso, gli cominciarono a dare delle pugna e de’calci; né parea a colui esser uomo, che a questo far non correa. Martellino gridava mercé per Dio e quanto poteva s’aiutava; ma ciò era niente: la calca gli multiplicava ogni ora addosso maggiore.
La qual cosa veggendo Stecchi e Marchese, cominciarono fra sé a dire che la cosa stava male, e di sé medesimi dubitando, non ardivano ad aiutarlo; anzi con gli altri insieme gridavano ch’el fosse morto, avendo nondimeno pensiero tuttavia come trarre il potessero delle mani del popolo. Il quale fermamente l’avrebbe ucciso, se uno argomento non fosse stato, il qual Marchese subitamente prese; che, essendo ivi di fuori la famiglia tutta della signoria, Marchese, come più tosto potè, n’andò a colui che in luogo del podestà v’era, e disse:
– Mercé per Dio! egli è qua un malvagio uomo che m’ha tagliata la borsa con ben cento fiorini d’oro; io vi priego che voi il pigliate, sì che io riabbia il mio.
Subitamente, udito questo, ben dodici de’sergenti corsero là dove il misero Martellino era senza pettine carminato, e alle maggior fatiche del mondo rotta la calca, loro tutto pesto e tutto rotto il trassero delle mani e menaronnelo a palagio; dove molti seguitolo che da lui si tenevano scherniti, avendo udito che per tagliaborse era stato preso, non parendo loro avere alcuno altro più giusto titolo a fargli dar la mala ventura, similemente cominciarono a dire , ciascuno da lui essergli stata tagliata la borsa.
Le quali cose udendo il giudice del podestà, il quale era un ruvido uomo, prestamente da parte menatolo, sopra ciò ‘ncominciò ad esaminare. Ma Martellino rispondea motteggiando, quasi per niente avesse quella presura; di che il giudice turbato, fattolo legare alla colla, parecchie tratte delle buone gli fece dare con animo di fargli confessare ciò che coloro dicevano, per farlo poi appiccare per la gola. Ma poi che egli fu in terra posto, domandandolo il giudice se ciò fosse vero che coloro incontro a lui dicevano, non valendogli il dire di no, disse:
– Signor mio, io son presto a confessarvi il vero, ma fatevi a ciascun che mi accusa dire quando e dove io gli tagliai la borsa, e io vi dirò quello che io avrò fatto, e quel che no.
Disse il giudice:
– Questo mi piace-; e fattine alquanti chiamare, l’uno diceva che gliele avea tagliata otto dì eran passati, l’altro sei, l’altro quattro, e alcuni dicevano quel dì stesso.
Il che udendo Martellino, disse:
– Signor mio, essi mentono tutti per la gola; e che io dica il vero, questa pruova ve ne posso fare, che così non fossi io mai in questa terra entrato, come io mal non ci fui, se non da poco fa in qua; e come io giunsi, per mia disavventura andai a vedere questo corpo santo, dove io sono stato pettinato come voi potete vedere; e che questo che io dico sia vero, ve ne può far chiaro l’uficiale del signore il quale sta alle presentagioni, e il suo libro, e ancora l’oste mio. Per che, se così trovate come io vi dico, non mi vogliate ad instanzia di questi malvagi uomini straziare e uccidere.
Mentre le cose erano in questi termini, Marchese e Stecchi, li quali avevan sentito che il giudice del podestà fieramente contro a lui procedeva, e già l’aveva collato, temetter forte, seco dicendo: “Male abbiam procacciato; noi abbiamo costui tratto della padella, e gittatolo nel fuoco”. Per che, con ogni sollecitudine dandosi attorno, e l’oste loro ritrovato, come il fatto era gli raccontarono. Di che esso ridendo, gli menò ad un Sandro Agolanti, il quale in Trivigi abitava e appresso al signore avea grande stato, e ogni cosa per ordine dettagli, con loro insieme il pregò che de’fatti di Martellino gli tenesse.
Sandro, dopo molte risa, andatosene al signore, impetrò che per Martellino fosse mandato, e così fu. Il quale coloro che per lui andarono trovarono ancora in camicia dinanzi al giudice, e tutto smarrito e pauroso forte, perciò che il giudice niuna cosa in sua scusa voleva udire; anzi, per avventura avendo alcuno odio né fiorentini, del tutto era disposto a volerlo fare impiccar per la gola, e in niuna guisa rendere il voleva al signore, infino a tanto che costretto non fu di renderlo a suo dispetto. Al quale poiché egli fu davanti, e ogni cosa per ordine dettagli, porse prieghi che in luogo di somma grazia via il lasciasse andare; per ciò che, infino che in Firenze non fosse, sempre gli parrebbe il capestro aver nella gola. Il signore fece grandissime risa di così fatto accidente; e fatta donare una roba per uomo, oltre alla speranza di tutti e tre di così gran pericolo usciti, sani e salvi se ne tornarono a casa loro.
-
Torna all’indice del Decamerone testo on-line