Siena
27 Gennaio 2019Accoglienza
27 Gennaio 2019
Giovanni Boccaccio
Quarta Giornata
Novella Seconda
Frate Alberto dà a vedere ad una donna che l’Agnolo Gabriello è di lei innamorato, in forma del quale più volte si giace con lei; poi, per paura de’parenti di lei della casa gittatosi, in casa d’uno povero uomo ricovera, il quale in forma d’uomo salvatico il dì seguente nella piazza il mena, dove, riconosciuto, è da’suoi frati preso e incarcerato.
Aveva la novella dalla Fiammetta raccontata le lagrime più volte tirate insino in su gli occhi alle sue compagne, ma quella già essendo compiuta, il re con rigido viso disse:
– Poco prezzo mi parrebbe la vita mia a dover dare per la metà diletto di quello che con Guiscardo ebbe Ghismonda, né se ne dee di voi maravigliare alcuna, con ciò sia cosa che io, vivendo, ogni ora mille morti sento, né per tutte quelle una sola particella di diletto m’è data. Ma, lasciando al presente li miei fatti ne’loro termini stare, voglio che ne’fieri ragionamenti, e a’miei accidenti in parte simili, Pampinea ragionando seguisca; la quale se, come Fiammetta ha cominciato, andrà appresso, senza dubbio alcuna rugiada cadere sopra il mio fuoco comincerò a sentire.
Pampinea, a sé sentendo il comandamento venuto, più per la sua affezione cognobbe l’animo delle compagne che quello del re per le sue parole, e per ciò, più disposta a dovere al quanto recrear loro che a dovere, fuori che del comandamento solo, il re contentare, a dire una novella, senza uscir del proposto, da ridere si dispose, e cominciò.
Usano i volgari un così fatto proverbio: – Chi è reo e buono è tenuto, può fare il male e non è creduto -. Il quale ampia materia a ciò che m’è stato proposto mi presta di favellare, e ancora a dimostrare quanta e quale sia la ipocresia de’religiosi, li quali, co’panni larghi e lunghi e co’visi artificialmente pallidi e con le voci umili e mansuete nel domandar l’altrui, e altissime e rubeste in mordere negli altri li loro medesimi vizi e nel mostrare sé per torre e altri per lor donare venire a salvazione, e oltre a ciò, non come uomini che il paradiso abbiano a procacciare come noi, ma quasi come possessori e signori di quello, danti a ciaschedun che muore, secondo la quantità de’danari loro lasciata da lui, più e meno eccellente luogo, con questo prima sé medesimi, se così credono, e poscia coloro che in ciò alle loro parole dan fede, sforzansi d’ingannare. De’quali, se quanto si convenisse fosse licito a me di mostrare, tosto dichiarerei a molti semplici quello che nelle lor cappe larghissime tengon nascoso. Ma ora fosse piacer di Dio che così delle lor bugie a tutti intervenisse, come ad un frate minore, non miga giovane, ma di quelli che de’maggior ch’ha Ascesi era tenuto a Vinegia; del quale sommamente mi piace di raccontare, per alquanto gli animi vostri, pieni di compassione per la morte di Ghismonda, forse con risa e con piacere rilevare.
Fu adunque, valorose donne, in Imola uno uomo di scelerata vita e di corrotta, il qual fu chiamato Berto della Massa; le cui vituperose opere molto dagli imolesi conosciute a tanto il recarono che, non che la bugia, ma la verità non era in Imola chi gli credesse; per che, accorgendosi quivi più le sue gherminelle non aver luogo, come disperato, a Vinegia d’ogni bruttura ricevitrice si trasmutò, e quivi pensò di trovare altra maniera al suo malvagio adoperare che fatto non avea in altra parte. E, quasi da conscienzia rimorso delle malvagie opere nel preterito fatte da lui, da somma umiltà soprapreso mostrando si, e oltre ad ogni altro uomo divenuto catolico, andò e sì si fece frate minore, e fecesi chiamare frate Alberto da Imola; e in tale abito cominciò a far per sembianti una aspra vita e a commendar molto la penitenzia e l’astinenzia, né mai carne mangiava né bevea vino, quando non n’avea che gli piacesse.
Né se ne fu appena avveduto alcuno, che di ladrone, di ruffiano, di falsario, d’omicida, subitamente fu un gran predicatore divenuto, senza aver per ciò i predetti vizi abbandonati, quando nascosamente gli avesse potuti mettere in opera. E oltre a ciò fattosi prete, sempre all’altare, quando celebrava, se da molti veduto era, piagneva la passione del Salvatore, sì come colui al quale poco costavano le lagrime quando le volea.
E in brieve, tra colle sue prediche e le sue lagrime, egli seppe in sì fatta guisa li viniziani adescare, che egli quasi d’ogni testamento che vi si faceva era fedecommessario e dipositario, e guardatore di denari di molti, confessore e consigliatore quasi della maggior parte degli uomini e delle donne; e così faccendo, di lupo era divenuto pastore, ed era la sua fama di santità in quelle parti troppo maggior che mai non fu di san Francesco ad Ascesi.
Ora avvenne che una giovane donna bamba e sciocca, che chiamata fu madonna Lisetta da ca’Quirino, moglie d’un gran mercatante che era andato con le galee in Fiandra, s’andò con altre donne a confessar da questo santo frate. La quale essendogli a’piedi, sì come colei che viniziana era, ed essi son tutti bergoli, avendo parte detta de’fatti suoi, fu da frate Alberto addomandata se alcuno amadore avesse.
Al quale ella con un mal viso rispose:
– Deh, messere lo frate, non avete voi occhi in capo? Paionvi le mie bellezze fatte come quelle di queste altre? Troppi n’avrei degli amadori, se io ne volessi; ma non sono le mie bellezze da lasciare amare né da tale né da quale. Quante ce ne vedete voi, le cui bellezze sien fatte come le mie, che sarei bella nel paradiso?
E oltre a ciò, disse tante cose di questa sua bellezza, che fu un fastidio ad udire.
Frate Alberto conobbe incontanente che costei sentia dello scemo e, parendogli terreno da’ferri suoi, di lei subitamente e oltre modo s’innamorò; ma, riserbandosi in più comodo tempo le lusinghe, pur, per mostrarsi santo, quella volta cominciò a volerla riprendere e a dirle che questa era vanagloria, e altre sue novelle; per che la donna gli disse che egli era una bestia e che egli non conosceva che si fosse più una bellezza che un’altra. Per che frate Alberto, non volendola troppo turbare, fattale la confessione, la lasciò andar via con l’altre.
E stato alquanti dì, preso un suo fido compagno, n’andò a casa madonna Lisetta, e trattosi da una parte in una sala con lei e non potendo da altri esser veduto, le si gittò davanti ginocchione e disse:
– Madonna, io vi priego per Dio che voi mi perdoniate di ciò che io domenica, ragionandomi voi della vostra bellezza, vi dissi, per ciò che sì fieramente la notte seguente gastigato ne fui, che mai poscia da giacere non mi son potuto levar se non oggi.
Disse allora donna Mestola:
– E chi ve ne gastigò così?
Disse frate Alberto:
– Io il vi dirò. Standomi io la notte in orazione, sì come io soglio star sempre, io vidi subitamente nella mia cella un grande splendore, né prima mi pote’volgere per veder che ciò fosse, che io mi vidi sopra un giovane bellissimo con un grosso bastone in mano, il quale, presomi per la cappa e tiratomisi a’piè, tante mi diè che tutto mi ruppe. Il quale io appresso domandai perché ciò fatto avesse, ed egli rispose: – Per ciò che tu presummesti oggi di riprendere le celestiali bellezze di madonna Lisetta, la quale io amo, da Dio in fuori, sopra ogni altra cosa -. E io allora domandai: – Chi siete voi? – A cui egli rispose che era l’agnolo Gabriello. – O signor mio -, dissi io – io vi priego che voi mi perdoniate -. E egli allora disse :- E io ti perdono per tal convenente, che tu a lei vada come tu prima potrai, e facciti perdonare; e dove ella non ti perdoni, io ci tornerò e darottene tante che io ti farò tristo per tutto il tempo che tu ci viverai -. Quello che egli poi mi dicesse, io non ve l’oso dire, se prima non mi perdonate.
Donna Zucca al vento, la quale era anzi che no un poco dolce di sale, godeva tutta udendo queste parole e verissime tutte le credea, e dopo alquanto disse:
– Io vi diceva bene, frate Alberto, che le mie bellezze eran celestiali; ma, se Dio m’aiuti, di voi m’incresce, e in fino ad ora, acciò che più non vi sia fatto male, io vi perdono, sì veramente che voi mi diciate ciò che l’agnolo poi vi disse.
Frate Alberto disse:
– Madonna, poi che perdonato m’avete, io il vi dirò volentieri; ma una cosa vi ricordo, che cosa che io vi dica voi vi guardiate di non dire ad alcuna persona che sia nel mondo, se voi non volete guastare i fatti vostri, che siete la più avventurata donna che oggi sia al mondo.
Questo agnol Gabriello mi disse che io vi dicessi che voi gli piacevate tanto, che più volte a starsi con voi venuto la notte sarebbe, se non fosse per non spaventarvi. Ora vi manda egli dicendo per me, che a voi vuol venire una notte e dimorarsi una pezza con voi; e per ciò che egli è agnolo e venendo in forma d’agnolo voi nol potreste toccare, dice che per diletto di voi vuol venire in forma d’uomo, e per ciò dice che voi gli mandiate a dire quando volete che egli venga, e in forma di cui ed egli ci verrà; di che voi, più che altra donna che viva, tener vi potete beata.
Madonna Baderla allora disse che molto le piaceva se l’agnolo Gabriello l’amava; per ciò che ella amava ben lui, né era mai che una candela d’un mattapan non gli accendesse davanti dove dipinto il vedeva; e che, quale ora egli volesse a lei venire, egli fosse il ben venuto, ché egli la troverebbe tutta sola nella sua camera, ma con questo patto, che egli non dovesse lasciar lei per la Vergine Maria, che l’era detto che egli le voleva molto bene, e anche si pareva, ché in ogni luogo che ella il vedeva, le stava ginocchione innanzi; e oltre a questo, che a lui stesse di venire in qual forma volesse, purché ella non avesse paura.
Allora disse frate Alberto:
– Madonna, voi parlate saviamente; e io ordinerò ben con lui quello che voi mi dite. Ma voi mi potete fare una gran grazia, e a voi non costerà niente; e la grazia è questa, che voi vogliate che egli venga con questo mio corpo. E udite in che voi mi farete grazia: che egli mi trarrà l’anima mia di corpo e metteralla in paradiso, ed egli enterrà in me, e quanto egli starà con voi, tanto si starà l’anima mia in paradiso.
Disse allora donna Pocofila:
– Ben mi piace; io voglio che, in luogo delle busse le quali egli vi diede a mie cagioni, che voi abbiate questa consolazione.
Allora disse frate Alberto:
– Or farete che questa notte egli truovi la porta della vostra casa per modo che egli possa entrarci, per ciò che vegnendo in corpo umano, come egli verrà, non potrebbe entrare se non per l’uscio.
La donna rispose che fatto sarebbe. Frate Alberto si partì, ed ella rimase faccendo sì gran galloria che non le toccava il cul la camicia, mille anni parendole che l’agnolo Gabriello a lei venisse.
Frate Alberto, pensando che cavaliere, non agnolo, esser gli convenia la notte, con confetti e altre buone cose s’incominciò a confortare, acciò che di leggier non fosse da caval gittato. E avuta la licenzia, con uno compagno, come notte fu, se n’entrò in casa d’una sua amica, dalla quale altra volta aveva prese le mosse quando andava a correr le giumente; e di quindi, quando tempo gli parve, trasformato se n’andò a casa la donna, e in quella entrato, con sue frasche che portate avea, in agnolo si trasfigurò, e salitosene suso, se n’entrò nella camera della donna.
La quale, come questa cosa così bianca vide, gli s’inginocchiò innanzi, e l’agnolo la benedisse e levolla in piè e fecele segno che a letto s’andasse. Il che ella, volenterosa d’ubbidire, fece prestamente, e l’agnolo appresso colla sua divota si coricò.
Era frate Alberto bello uomo del corpo e robusto, e stavangli troppo bene le gambe in su la persona; per la qual cosa con donna Lisetta trovandosi, che era fresca e morbida, altra giacitura faccendole che il marito, molte volte la notte volò senza ali, di che ella forte si chiamò per contenta; e oltre a ciò molte cose le disse della gloria celestiale. Poi, appressandosi il dì, dato ordine al ritornare, co’suoi arnesi fuor se n’uscì e tornossi al compagno suo, al quale, acciò che paura non avesse dormendo solo, aveva la buona femina della casa fatta amichevole compagnia.
La donna, come desinato ebbe, presa sua compagnia, se n’andò a frate Alberto e novelle gli disse dello agnolo Gabriello e ciò che da lui udito avea della gloria di vita etterna, e come egli era fatto, aggiugnendo oltre a questo maravigliose favole.
A cui frate Alberto disse:
– Madonna, io non so come voi vi steste con lui; so io bene che stanotte, vegnendo egli a me e io avendogli fatta la vostra ambasciata, egli ne portò subitamente l’anima mia tra tanti fiori e tra tante rose, che mai non se ne videro di qua tante, e stettimi in uno de’più dilettevoli luoghi che fosse mai infino a stamane a matutino; quello che il mio corpo si divenisse, io non so.
– Non ve ‘l dich’io? – disse la donna – il vostro corpo stette tutta notte in braccio mio con l’agnol Gabriello; e se voi non mi credete, guateretevi sotto la poppa manca là dove io diedi un grandissimo bacio all’agnolo, tale che egli vi si parrà il segnale parecchi dì.
Disse allora frate Alberto:
– Ben farò oggi una cosa che io non feci già è gran tempo più, che io mi spoglierò per vedere se. voi dite il vero.
E dopo molto cianciare la donna se ne tornò a casa; alla quale in forma d’agnolo frate Alberto andò poi molte volte senza alcuno impedimento ricevere.
Pure avvenne un giorno che, essendo madonna Lisetta con una sua comare e insieme di bellezze quistionando, per porre la sua innanzi ad ogn’altra, sì come colei che poco sale aveva in zucca, disse:
– Se voi sapeste a cui la mia bellezza piace, in verità voi tacereste dell’altre.
La comare, vaga d’udire, sì come colei che ben la conoscea, disse:
– Madonna, voi potreste dir vero, ma tuttavia, non sappiendo chi questi si sia, altri non si rivolgerebbe così di leggiero.
Allora la donna, che piccola levatura avea, disse:
– Comare, egli non si vuol dire, ma lo ‘ntendimento mio è l’agnolo Gabriello, il quale più che sé m’ama, sì come la più bella donna, per quello che egli mi dica, che sia nel mondo o in maremma.
La comare ebbe allora voglia di ridere, ma pur si tenne per farla più avanti parlare, e disse:
– In fè di Dio, madonna, se l’agnolo Gabriello è vostro intendimento e dicevi questo, egli dee bene esser così; ma io non credeva che gli agnoli facesson queste cose.
Disse la donna:
– Comare, voi siete errata; per le plaghe di Dio, egli il fa meglio che mio marido, e dicemi che egli si fa anche colassù; ma, per ciò che io gli paio più bella che niuna che ne sia in cielo, s’è egli innamorato di me e viensene a star meco bene spesso; mo vedì vu?
La comare, partita da madonna Lisetta, le parve mille anni che ella fosse in parte ove ella potesse queste cose ridire; e ragunatasi ad una festa con una gran brigata di donne, loro ordinatamente raccontò la novella. Queste donne il dissero a’mariti e ad altre donne, e quelle a quell’altre, e così in meno di due dì ne fu tutta ripiena Vinegia. Ma tra gli altri a’quali questa cosa venne agli orecchi furono i cognati di lei, li quali, senza alcuna cosa dirle, si posero in cuore di trovare questo agnolo e di sapere se egli sapesse volare; e più notti stettero in posta.
Avvenne che di questo fatto alcuna novelluzza ne venne a frate Alberto agli orecchi; il quale, per riprender la donna, una notte andatovi, appena spogliato s’era, che i cognati di lei, che veduto l’avevan venire, furono all’uscio della sua camera per aprirlo. Il che frate Alberto sentendo, e avvisato ciò che era, levatosi, non veggendo altro rifugio, aperse una finestra la qual sopra il maggior canal rispondea, e quindi si gittò nell’acqua.
Il fondo v’era grande ed egli sapeva ben notare, sì che male alcun non si fece; e, notato dall’altra parte del canale, in una casa che aperta v’era prestamente se n’entrò, pregando un buono uomo che dentro v’era che per l’amor di Dio gli scampasse la vita, sue favole dicendo perché quivi a quella ora e ignudo fosse.
Il buono uomo, mosso a pietà , convenendogli andare a far sue bisogne, nel suo letto il mise, e dissegli che quivi infino alla sua tornata si stesse; e dentro serratolo, andò a fare i fatti suoi.
I cognati della donna entrati nella camera trovarono che l’agnolo Gabriello, quivi avendo lasciate l’ali, se n’era volato; di che quasi scornati grandissima villania dissero alla donna, e lei ultimamente sconsolata lasciarono stare e a casa lor tornarsi con gli arnesi dello agnolo.
In questo mezzo, fattosi il dì chiaro, essendo il buono uomo in sul Rialto, udì dire come l’agnolo Gabriello era la notte andato a giacere con madonna Lisetta e da’cognati trovatovi, s’era per paura gittato nel canale, né si sapeva che divenuto se ne fosse; per che prestamente s’avvisò colui che in casa avea esser desso. E là venutosene e riconosciutolo, dopo molte novelle, con lui trovò modo che, s’egli non volesse che a’cognati di lei il desse, gli facesse venire cinquanta ducati; e così fu fatto.
E appresso questo, disiderando frate Alberto d’uscir di quindi, gli disse il buono uomo:
– Qui non ha modo alcuno, se già in uno non voleste. Noi facciamo oggi una festa, nella quale chi mena uno uomo vestito a modo d’orso e chi a guisa d’uom salvatico, e chi d’una cosa e chi d’un’altra, e in su la piazza di San Marco si fa una caccia, la qual fornita, è finita la festa; e poi ciascun va, con quel che menato ha, dove gli piace. Se voi volete, anzi che spiar si possa che voi siate qui, che io in alcun di questi modi vi meni, io vi potrò menare dove voi vorrete; altramenti non veggio come uscirci possiate che conosciuto non siate; e i cognati della donna, avvisando che voi in alcun luogo quincentro siate, per tutto hanno messe le guardie per avervi.
Come che duro paresse a frate Alberto l’andare in cotal guisa, pur per la paura che aveva de’parenti della donna vi si condusse, e disse a costui dove voleva esser menato, e come il menasse era contento.
Costui, avendol già tutto unto di mele ed empiuto di sopra di penna matta, e messagli una catena in gola e una maschera in capo, e datogli dall’una mano un gran bastone e dall’altra due gran cani, che dal macello avea menati, mandò uno al Rialto, che bandisse che chi volesse veder l’agnolo Gabriello andasse in su la piazza di San Marco: e fu lealtà viniziana questa.
E questo fatto, dopo alquanto il menò fuori e miseselo innanzi, e andandol tenendo per la catena di dietro, non senza gran romore di molti, che tutti diceano: – Che xè quel? che xè quel? – il condusse in su la piazza, dove tra quegli che venuti gli eran dietro e quegli ancora che, udito il bando, da Rialto venuti v’erano, erano gente senza fine. Questi là pervenuto, in luogo rilevato e alto legò il suo uomo salvatico ad una colonna, sembianti faccendo d’attendere la caccia; al quale le mosche e’tafani, per ciò che di mele era unto, davan grandissima noia.
Ma poi che costui vide piazza ben piena, faccendo sembianti di volere scatenare il suo uom salvatico, a frate Alberto trasse la maschera dicendo:
– Signori, poi che il porco non viene alla caccia, e non si fa, acciò che voi non siate venuti in vano, io voglio che voi veggiate l’agnolo Gabriello, il quale di cielo in terra discende la notte a consolare le donne viniziane.
Come la maschera fu fuori, così fu frate Alberto incontanente da tutti conosciuto; contro al quale si levaron le grida di tutti, dicendogli le più vituperose parole e la maggior villania che mai ad alcun ghiotton si dicesse, e oltre a questo per lo viso gettandogli chi una lordura e chi un’altra; e così grandissimo spazio il tennero, tanto che per ventura la novella a’suoi frati pervenuta, infino a sei di loro mossisi quivi vennero, e gittatagli una cappa in dosso e scatenatolo, non senza grandissimo romor dietro, infino a casa loro nel menarono, dove, incarceratolo, dopo misera vita si crede che egli morisse.
Così costui, tenuto buono e male adoperando non essendo creduto, ardì di farsi l’agnolo Gabriello, e di questo in un uom salvatico convertito, a lungo andare, come meritato avea, vituperato senza pro pianse i peccati commessi. Così piaccia a Dio che a tutti gli altri possa intervenire.
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