Siena
27 Gennaio 2019Accoglienza
27 Gennaio 2019
Giovanni Boccaccio
Quarta Giornata
Novella Sesta
L’Andreuola ama Gabriotto; raccontagli un sogno veduto ed egli a lei un altro; muorsi di subito nelle sue braccia; mentre che ella con una sua fante alla casa di lui nel portano, son prese dalla signoria, ed ella dice come l’opera sta; il podestà la vuole sforzare; ella nol patisce; sentelo il padre di lei, e lei innocente trovata fa liberare; la quale, del tutto rifiutando di star più al mondo, si fa monaca.
Quella novella, che Filomena aveva detta, fu alle donne carissima, per ciò che assai volte avevano quella canzone udita cantare né mai avevan potuto, per domandarne, sapere qual si fosse la cagione per che fosse stata fatta. Ma, avendo il re la fine di quella udita, a Panfilo impose che allo ordine andasse dietro.
Panfilo allora disse:
Il sogno nella precedente novella raccontato mi dà materia di dovervene raccontare una nella quale di due si fa menzione, li quali di cosa che a venire era, come quello di cosa intervenuta, furono, e appena furon finiti di dire da coloro che veduti gli aveano, che l’effetto seguì d’amenduni. E però, amorose donne, voi dovete sapere che general passione è di ciascuno che vive il veder varie cose nel sonno, le quali, quantunque a colui che dorme, dormendo, tutte paian verissime, e desto lui, alcune vere, alcune verisimili, e parte fuori d’ogni verità iudichi, nondimeno molte esserne avvenute. si truovano
Per la qual cosa molti a ciascun sogno tanta fede prestano quanta presterieno a quelle cose le quali vegghiando vedessero; e per li lor sogni stessi s’attristano e s’allegrano secondo che per quegli o temono o sperano. E in contrario son di quegli che niuno ne credono se non poi che nel premostrato pericolo si veggono. De’quali né l’uno né l’altro commendo, per ciò che né sempre son veri né ogni volta falsi. Che essi non sien tutti veri, assai volte può ciascun di noi aver conosciuto; e che essi tutti non sien falsi, già di sopra nella novella di Filomena s’è dimostrato e nella mia, come davanti dissi, intendo di dimostrarlo. Per che giudico che nel virtuosamente vivere e operare di niuno contrario sogno a ciò si dee temere, né per quello lasciare i buoni proponimenti; nelle cose perverse e malvagie, quantunque i sogni a quelle paiano favorevoli e con seconde dimostrazioni chi gli vede confortino, niuno se ne vuol credere; e così nel contrario a tutti dar piena fede. Ma vegniamo alla novella.
Nella città di Brescia fu già un gentile uomo chiamato messer Negro da Ponte Carraro, il quale, tra più altri figliuoli, una figliuola avea nominata Andreuola, giovane e bella assai e senza marito, la qual per ventura d’un suo vicino, ch’avea nome Gabriotto, s’innamorò, uomo di bassa condizione ma di laudevoli costumi pieno e della persona bello e piacevole; e coll’opera e collo aiuto della fante della casa operò tanto la giovane, che Gabriotto non solamente seppe sé esser dalla Andreuola amato, ma ancora in un bel giardino del padre di lei più e più volte a diletto dell’una parte e dell’altra fu menato. E acciò che niuna cagione mai, se non morte, potesse questo lor dilettevole amor separare, marito e moglie segretamente divennero. E così furtivamente gli lor congiugnimenti continuando, avvenne che alla giovane una notte dormendo parve in sogno vedere sé essere nel suo giardino con Gabriotto, e lui con grandissimo piacer di ciascuno tener nelle sue braccia; e mentre che così dimoravan, le pareva veder del corpo di lui uscire una cosa oscura e terribile, la forma della quale essa non poteva conoscere, e parevale che questa cosa prendesse Gabriotto e mal grado di lei con maravigliosa forza gliele strappasse di braccio e con esso ricoverasse sotterra, né mai più riveder potesse né l’uno né l’altro. Di che assai dolore e inestimabile sentiva, e per quello si destò; e desta, come che lieta fosse veggendo che non così era come sognato avea, nondimeno l’entrò del sogno veduto paura. E per questo, volendo poi Gabriotto la seguente notte venir da lei, quanto potè s’ingegnò di fare che la sera non vi venisse; ma pure, il suo voler vedendo, acciò che egli d’altro non sospecciasse, la seguente notte nel suo giardino il ricevette. E avendo molte rose bianche e vermiglie colte, per ciò che la stagione era, con lui a piè d’una bellissima fontana e chiara, che nel giardino era, a starsi se n’andò. E quivi, dopo grande e assai lunga festa insieme avuta, Gabriotto la domandò qual fosse la cagione per che la venuta gli avea il dì dinanzi vietata. La giovane, raccontandogli il sogno da lei la notte davanti veduto e la suspezione presa di quello, gliele contò.
Gabriotto udendo questo se ne rise, e disse che grande sciocchezza era porre ne’sogni alcuna fede, per ciò che o per soperch’io di cibo o per mancamento di quello avvenieno, ed esser tutti vani si vedeano ogni giorno; e appresso disse:
– Se io fossi voluto andar dietro a’sogni, io non ci sarei venuto, non tanto per lo tuo quanto per uno che io altressì questa notte passata ne feci, il qual fu, che a me pareva essere in una bella e dilettevol selva e in quella andar cacciando e aver presa una cavriuola tanto bella e tanto piacevole quanto alcuna altra se ne vedesse giammai; e pareami che ella fosse più che la neve bianca, e in brieve spazio divenisse sì mia dimestica, che punto da me non si partiva tuttavia. A me pareva averla sì cara che, acciò che da me non si partisse, le mi pareva nella gola aver messo un collar d’oro, e quella con una catena d’oro tener colle mani.
E appresso questo mi pareva che, riposandosi questa cavriuola una volta e tenendomi il capo in seno, uscisse non so di che parte una veltra nera come carbone, affamata e spaventevole molto nella apparenza, e verso me se ne venisse; alla quale niuna resistenza mi parea fare; per che egli mi pareva che ella mi mettesse il muso in seno nel sinistro lato, e quello tanto rodesse che al cuor perveniva, il quale pareva che ella mi strappasse per portarsel via. Di che io sentiva sì fatto dolore che il mio sonno si ruppe, e desto colla mano subitamente corsi a cercarmi il lato se niente v’avessi; ma mal non trovandomi, mi feci beffe di me stesso che cercato v’avea. Ma che vuol questo per ciò dire? De’così fatti e de’più spaventevoli assai n’ho già veduti, né per ciò cosa del mondo più né meno me n’è intervenuto; e per ciò lasciagli andare e pensiamo di darci buon tempo.
La giovane, per lo suo sogno assai spaventata, udendo questo divenne troppo più; ma, per non esser cagione d’alcuno sconforto a Gabriotto, quanto più potè la sua paura nascose. E come che con lui, abbracciandolo e baciandolo alcuna volta e da lui essendo abbracciata e baciata, si sollazzasse, suspicando e non sappiendo che, più che l’usato spesse volte il riguardava nel volto, e talvolta per lo giardin riguardava se alcuna cosa nera vedesse venir d’alcuna parte.
E in tal maniera dimorando, Gabriotto, gittato un gran sospiro, l’abbracciò e disse:
– Ohimè, anima mia, aiutami, ché io muoio – ; e così detto, ricadde in terra sopra l’erba del pratello.
Il che veggendo la giovane e lui caduto ritirandosi in grembio, quasi piagnendo disse:
– O signor mio dolce, o che ti senti tu?
Gabriotto non rispose, ma ansando forte e sudando tutto, dopo non guari spazio passò della presente vita.
Quanto questo fosse grave e noioso alla giovane, che più che sé l’amava, ciascuna sel dee poter pensare. Ella il pianse assai e assai volte in vano il chiamò; ma poi che pur s’accorse lui del tutto esser morto, avendolo per ogni parte del corpo cercato e in ciascuna trovandol freddo, non sappiendo che far né che dirsi, così lagrimosa come era e piena d’angoscia andò la sua fante a chiamare, la quale di questo amor consapevole era, e la sua miseria e il suo dolore le dimostrò.
E poi che miseramente insieme alquanto ebber pianto sopra il morto viso di Gabriotto disse la giovane alla fante:
– Poi che Iddio m’ha tolto costui, io non intendo di più stare in vita; ma prima che io ad uccider mi venga, vorre’io che noi prendessimo modo convenevole a servare il mio onore e il segreto amor tra noi stato, e che il corpo, del quale la graziosa anima s’è partita, fosse sepellito.
A cui la fante disse:
– Figliuola mia, non dir di volerti uccidere, per ciò che, se tu l’hai qui perduto, uccidendoti, anche nell’altro mondo il perderesti, per ciò che tu n’andresti in inferno, là dove io son certa che la sua anima non è andata per ciò che buon giovane fu; ma molto meglio è a confortarti e pensare d’aiutare con orazioni e con altro bene l’anima sua, se forse per alcun peccato commesso n’ha bisogno.
Del sepellirlo è il modo presto qui in questo giardino, il che niuna persona saprà giammai, per ciò che niun sa ch’egli mai ci venisse; e se così non vuogli, mettianlo qui fuori del giardino e lascianlo stare; egli sarà domattina trovato e portatone a casa sua e fatto sepellire da’suoi parenti.
La giovane, quantunque piena fosse d’amaritudine e continuamente piagnesse, pure ascoltava i consigli della sua fante; e alla prima parte non accordatasi, rispose alla seconda dicendo:
– Già Dio non voglia che così caro giovane e cotanto da me amato e mio marito, io sofferi che a guisa d’un cane sia sepellito o nella strada in terra lasciato. Egli ha avute le mie lagrime, e in quanto io potrò egli avrà quelle de’suoi parenti; e già per l’animo mi va quello che noi abbiamo in ciò a fare.
E prestamente per una pezza di drappo di seta, la quale aveva in un suo forziere, la mandò; e venuta quella, in terra distesala, su il corpo di Gabriotto vi posero, e postagli la testa sopra uno origliere e con molte lagrime chiusigli gli occhi e la bocca, e fattagli una ghirlanda di rose e tutto dattorno delle rose che colte avevano empiutolo, disse alla fante:
– Di qui alla porta della sua casa ha poca via; e per ciò tu e io, così come acconcio l’abbiamo, quivi il porteremo e dinanzi ad essa il porremo. Egli non andrà guari di tempo che giorno fia, e sarà ricolto; e come che questo a’suoi niuna consolazion sia, pure a me, nelle cui braccia egli è morto, sarà un piacere.
E così detto, da capo con abbondantissime lagrime sopra il viso gli si gittò e per lungo spazio pianse. La qual, molto dalla fante sollicitata, per ciò che il giorno se ne veniva, dirizzatasi, quello anello medesimo col quale da Gabriotto era stata sposata del dito suo trattosi, il mise nel dito di lui, con pianto dicendo:
– Caro mio signore, se la tua anima ora le mie lagrime vede, e niun conoscimento o sentimento dopo la partita di quella rimane a’corpi, ricevi benignamente l’ultimo dono di colei la qual tu vivendo cotanto amasti – ; e questo detto, tramortita addosso gli ricadde. E dopo alquanto risentita e levatasi, colla fante insieme preso il drappo sopra il quale il corpo giaceva, con quello del giardino uscirono e verso la casa di lui si dirizzaro. E così andando, per caso avvenne che dalla famiglia del podestà, che per caso andava a quella ora per alcuno accidente, furon trovate e prese col morto corpo.
L’Andreuola, più di morte che di vita disiderosa, conosciuta la famiglia della signoria, francamente disse:
– Io conosco chi voi siete e so che il volermi fuggire niente monterebbe; io son presta di venir con voi davanti alla signoria e che ciò sia di raccontarle; ma niuno di voi sia ardito di toccarmi, se io obbediente vi sono, né da questo corpo alcuna cosa rimuovere, se da me non vuole essere accusato.
Per che, senza essere da alcun tocca, con tutto il corpo di Gabriotto n’andò in palagio.
La qual cosa il podestà sentendo, si levò, e lei nella camera avendo, di ciò che intervenuto era s’informò; e fatto da certi medici riguardare se con veleno o altramenti fosse stato il buono uomo ucciso, tutti affermarono del no; ma che alcuna posta vicina al cuore gli s’era rotta, che affogato l’avea. Il qual ciò udendo e sentendo costei in piccola cosa esser nocente, s’ingegnò di mostrar di donarle quello che vender non le poteva, e disse, dove ella a’suoi piaceri acconsentir si volesse, la libererebbe. Ma non valendo quelle parole, oltre ad ogni convenevolezza, volle usar la forza. Ma l’Andreuola, da sdegno accesa e divenuta fortissima, virilmente si difese, lui con villane parole e altiere ributtando indietro.
Ma, venuto il dì chiaro e queste cose essendo a messer Negro contate, dolente a morte, con molti de’suoi amici a palagio n’andò, e quivi d’ogni cosa dal podestà infornato, dolendosi domandò che la figliuola gli fosse renduta.
Il podestà, volendosi prima accusare egli della forza che fare l’avea voluta che egli da lei accusato fosse, lodando prima la giovane e la sua constanzia, per approvar quella venne a dire ciò che fatto avea; per la qual cosa, vedendola di tanta buona fermezza, sommo amore l’avea posto, e, dove a grado a lui, che suo padre era, e a lei fosse, non ostante che marito avesse avuto di bassa condizione, volentieri per sua donna la sposerebbe.
In questo tempo che costoro così parlavano, l’Andreuola venne in cospetto del padre e piagnendo gli si gittò innanzi e disse:
– Padre mio, io non credo che bisogni che io la istoria del mio ardire e della mia sciagura vi racconti, ché son certa che udita l’avete e sapetela; e per ciò, quanto più posso, umilmente perdono vi domando del fallo mio, cioè d’avere senza vostra saputa chi più mi piacque marito preso. E questo perdono non vi domando perché la vita mi sia perdonata, ma per morire vostra figliuola e non vostra nimica – ; e così piagnendo gli cadde a’piedi.
Messer Negro, che antico era oramai e uomo di natura benigno e amorevole, queste parole udendo cominciò a piagnere, e piagnendo levò la figliuola teneramente in piè, e disse:
– Figliuola mia, io avrei avuto molto caro che tu avessi avuto tal marito quale a te secondo il parer mio si convenia; e se tu l’avevi tal preso quale egli ti piacea, questo doveva anche a me piacere; ma l’averlo occultato della tua poca fidanza mi fa dolere, e più ancora vedendotel prima aver perduto che io l’abbia saputo. Ma pur, poi che così è, quello che io per contentarti, vivendo egli, volentieri gli avrei fatto, cioè onore sì come a mio genero, facciaglisi alla morte – ; e volto a’figliuoli e a’suo’parenti, comandò loro che le esequie s’apparecchiassero a Gabriotto grandi e onorevoli.
Eranvi in questo mezzo concorsi i parenti e le parenti del giovane, che saputa avevano la novella, e quasi donne e uomini quanti nella città n’erano. Per che, posto nel mezzo della corte il corpo sopra il drappo della Andreuola e con tutte le sue rose, quivi non solamente da lei e dalle parenti di lui fu pianto, ma pubblicamente quasi da tutte le donne della città e da assai uomini; e non a guisa di plebeio ma di signore, tratto della corte pubblica, sopra gli omeri de’più nobili cittadini con grandissimo onore fu portato alla sepoltura.
Quindi dopo alquanti dì, seguitando il podestà quello che addomandato avea, ragionandolo messer Negro alla figliuola, niun cosa ne volle udire; ma, volendole in ciò compiacere il padre, in un monistero assai famoso di santità essa e la sua fante monache si renderono e onestamente poi in quello per molto tempo vissero.
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