Siena
27 Gennaio 2019Accoglienza
27 Gennaio 2019
Giovanni Boccaccio
Quinta Giornata
Novella Seconda
Gostanza ama Martuccio Gomito, la quale, udendo che morto era, per disperata sola si mette in una barca, la quale dal vento fu trasportata a Susa; ritruoval vivo in Tunisi, palesaglisi, ed egli grande essendo col re per consigli dati, sposatala, ricco con lei in Lipari se ne torna.
La reina, finita sentendo la novella di Panfilo, poscia che molto commendata l’ebbe, ad Emilia impose che una dicendone seguitasse; la quale così cominciò.
Ciascun si dee meritamente dilettare di quelle cose alle quali egli vede i guiderdoni secondo le affezioni seguitare; e per ciò che amare merita più tosto diletto che afflizione a lungo andare, con molto mio maggior piacere, della presente materia parlando, ubbidirò la reina, che della precedente non feci il re.
Dovete adunque, dilicate donne, sapere, che vicin di Cicilia è una isoletta chiamata Lipari, nella quale, non è ancora gran tempo, fu una bellissima giovane chiamata Gostanza, d’assai orrevoli genti dell’isola nata. Della quale un giovane che dell’isola era, chiamato Martuccio Gomito, assai leggiadro e costumato e nel suo mestiere valoroso, s’innamorò. La qual sì di lui similmente s’accese, che mai bene non sentiva se non quanto il vedeva. E disiderando Martuccio d’averla per moglie, al padre di lei la fece addimandare; il quale rispose lui esser povero e per ciò non volergliele dare.
Martuccio, sdegnato di vedersi per povertà rifiutare, con certi suoi amici e parenti armato un legnetto, giurò di mai in Lipari non tornare se non ricco. E quindi partitosi, corseggiando cominciò a costeggiare la Barberia, rubando ciascuno che meno poteva di lui; nella qual cosa assai gli fu favorevole la fortuna, se egli avesse saputo por modo alle felicità sue. Ma, non bastandogli d’essere egli è suoi compagni in brieve tempo divenuti ricchissimi, mentre che di trasricchire cercavano, avvenne che da certi di legni saracini, dopo lunga difesa, co’suoi compagni fu preso e rubato, e di loro la maggior parte dà saracini mazzerati e isfondolato il legno, esso menato a Tunisi fu messo in prigione e in lunga miseria guardato.
In Lipari tornò, non per uno o per due, ma per molte e diverse persone, la novella che tutti quelli che con Martuccio erano sopra il legnetto erano stati annegati.
La giovane, la quale senza misura della partita di Martuccio era stata dolente, udendo lui con gli altri esser morto, lungamente pianse, e seco dispose di non voler più vivere; e non sofferendole il cuore di sé medesima con alcuna violenza uccidere, pensò nuova necessità dare alla sua morte; e uscita segretamente una notte di casa il padre e al porto venutasene, trovò per ventura alquanto separata dall’altre navi una navicella di pescatori, la quale (per ciò che pure allora smontati n’erano i signori di quella) d’albero e di vela e di remi la trovò fornita. Sopra la quale prestamente montata e co’remi alquanto in mar tiratasi, ammaestrata alquanto dell’arte marinaresca, sì come generalmente tutte le femine in quella isola sono, fece vela e gittò via i remi e il timone, e al vento tutta si commise avvisando dover di necessità avvenire o che il vento barca senza carico e senza governator rivolgesse, o ad alcuno scoglio la percotesse e rompesse, di che ella, eziandio se campar volesse, non potesse, ma di necessità annegasse. E avviluppatasi la testa in un mantello, nel fondo della barca piagnendo si mise a giacere.
Ma tutto altramenti addivenne che ella avvisato non avea; per ciò che, essendo quel vento che traeva tramontana, e questo assai soave, e non essendo quasi mare, e ben reggente la barca, il seguente dì alla notte che su montata v’era, in sul vespro ben cento miglia sopra Tunisi ad una piaggia vicina ad una città chiamata Susa ne la portò.
La giovane d’essere più in terra che in mare niente sentiva, sì come colei che mai per alcuno accidente da giacere non avea il capo levato né di levare intendeva.
Era allora per avventura, quando la barca ferì sopra il lito, una povera feminetta alla marina, la quale levava dal sole reti di suoi pescatori; la quale, vedendo la barca, si maravigliò come colla vela piena fosse lasciata percuotere in terra. E pensando che in quella i pescatori dormissono, andò alla barca, e niuna altra persona che questa giovane vi vide; la quale essalei che forte dormiva, chiamò molte volte, e alla fine fattala risentire e allo abito conosciutala che cristiana era, parlando latino la domandò come fosse che ella quivi in quella barca così soletta fosse arrivata.
La giovane, udendo la favella latina, dubitò non forse altro vento l’avesse a Lipari ritornata; e subitamente levatasi in piè riguardò attorno, e non conoscendo le contrade e veggendosi in terra, domandò la buona femina dove ella fosse. A cui la buona femina rispose:
– Figliuola mia, tu se’vicina a Susa in Barberia.
Il che udito la giovane, dolente che Iddio non l’aveva voluto la morte mandare, dubitando di vergogna e non sappiendo che farsi, a piè della sua barca a seder postasi, cominciò a piagnere.
La buona femina, questo vedendo, ne le prese pietà , e tanto la pregò, che in una sua capannetta la menò, e quivi tanto la lusingò che ella le disse come quivi arrivata fosse; per che, sentendola la buona femina essere ancor digiuna, suo pan duro e alcun pesce e acqua l’apparecchiò, e tanto la pregò ch’ella mangiò un poco.
La Gostanza appresso domandò chi fosse la buona femina che così latin parlava; a cui ella disse che da Trapani era e aveva nome Carapresa; e quivi serviva certi pescatori cristiani.
La giovane, udendo dire Carapresa, quantunque dolente fosse molto, e non sappiendo ella stessa che cagione a ciò la si movesse, in sé stessa prese buono agurio d’aver questo nome udito, e cominciò a sperar senza saper che e alquanto a cessare il disiderio della morte; e, senza manifestar chi si fosse né donde, pregò caramente la buona femina che per l’amor di Dio avesse misericordia della sua giovanezza e che alcuno consiglio le desse per lo quale ella potesse fuggire che villania fatta non le fosse.
Carapresa udendo costei, a guisa di buona femina, lei nella capannetta lasciata, prestamente raccolte le sue reti, a lei ritornò, e tutta nel suo mantello stesso chiusala, in Susa con seco la menò, e quivi pervenuta le disse:
– Gostanza, io ti menerò in casa d’una bonissima donna saracina, alla quale io fo molto spesso servigio di sue bisogne, ed ella è donna antica e misericordiosa; io le ti raccomanderò quanto io potrò il più, e certissima sono che ella ti riceverà volentieri e come figliuola ti tratterà, e tu, con lei stando, t’ingegnerai a tuo potere, servendola, d’acquistar la grazia sua insino a tanto che Iddio ti mandi miglior ventura -; e come ella disse così fece.
La donna, la qual vecchia era oramai, udita costei, guardò la giovane nel viso e cominciò a lagrimare, e presala le baciò la fronte, e poi per la mano nella sua casa ne la menò, nella quale ella con alquante altre femine dimorava senza alcuno uomo, e tutte di diverse cose lavoravano di lor mano, di seta, di palma, di cuoio diversi lavorii faccendo. De’quali la giovane in pochi dì apparò a fare alcuno, e con loro insieme cominciò a lavorare; e in tanta grazia e buono amore venne della buona donna e dell’altre, che fu maravigliosa cosa; e in poco spazio di tempo, mostrandogliele esse, il lor linguaggio apparò.
Dimorando adunque la giovane in Susa, essendo già stata a casa sua pianta per perduta e per morta, avvenne che, essendo re di Tunisi uno che si chiamava Mariabdela, un giovane di gran parentado e di molta potenza, il quale era in Granata, dicendo che a lui il reame di Tunisi apparteneva, fatta grandissima moltitudine di gente, sopra il re di Tunisi se ne venne per cacciarlo del regno.
Le quali cose venendo ad orecchie a Martuccio Gomito in prigione, il qual molto bene sapeva il barbaresco, e udendo che il re di Tunisi faceva grandissimo sforzo a sua difesa, disse ad un di quegli li quali lui è suoi compagni guardavano:
– Se io potessi parlare al re, e’mi dà il cuore che io gli darei un consiglio, per lo quale egli vincerebbe la guerra sua.
La guardia disse queste parole al suo signore, il quale al re il rapportò incontanente. Per la qual cosa il re comandò che Martuccio gli fosse menato, e domandato da lui che consiglio il suo fosse, gli rispose così:
– Signor mio, se io ho bene, in altro tempo che io in queste vostre contrade usato sono, riguardato alla maniera la qual tenete nelle vostre battaglie, mi pare che più con arcieri che con altro quelle facciate; e per ciò, ove si trovasse modo che agli arcieri del vostro avversario mancasse il saettamento è vostri n’avessero abbondevolmente, io avviso che la vostra battaglia si vincerebbe.
A cui il re disse:
– Senza dubbio, se cotesto si potesse fare, io mi crederrei esser vincitore.
Al quale Martuccio disse:
– Signor mio, dove voi vogliate, egli si potrà ben fare, e udite come. A voi convien far fare corde molto più sottili agli archi de’vostri arcieri, che quelle che per tutti comunalmente s’usano; e appresso far fare saettamento, le cocche del quale non sieno buone se non a queste corde sottili; e questo convien che sia sì segretamente fatto, che il vostro avversario nol sappia, per ciò che egli ci troverebbe modo. E la cagione per che io dico questo è questa. Poi che gli arcieri del vostro nimico avranno il suo saettamento saettato e i vostri il suo, sapete che di quello che i vostri saettato avranno converrà, durando la battaglia, che i vostri nimici ricolgano, e a’nostri converrà ricoglier del loro; ma gli avversari non potranno il saettamento saettato dà vostri adoperare, per le picciole cocche che non riceveranno le corde grosse, dove a’vostri avverrà il contrario del saettamento de’nimici, per ciò che la sottil corda riceverà ottimamente la saetta che avrà larga cocca; e così i vostri saranno di saettamento copiosi, dove gli altri n’avranno difetto.
Al re, il quale savio signore era, piacque il consiglio di Martuccio; e interamente seguitolo, per quello trovò la sua guerra aver vinta; laonde sommamente Martuccio venne nella sua grazia, e per conseguente in grande e ricco stato.
Corse la fama di queste cose per la contrada; e agli orecchi della Gostanza pervenne Martuccio Gomito esser vivo, il quale lungamente morto aveva creduto; per che l’amor di lui, già nel cuor di lei intiepidito, con subita fiamma si riaccese e divenne maggiore, e la morta speranza suscitò. Per la qual cosa alla buona donna con cui dimorava interamente ogni suo accidente aperse, e le disse sé disiderare d’andare a Tunisi, acciò che gli occhi saziasse di ciò che gli orecchi con le ricevute voci fatti gli avean disiderosi. La quale il suo disiderio le lodò molto, e come sua madre stata fosse, entrata in una barca, con lei insieme a Tunisi andò, dove con la Gostanza in casa d’una sua parente fu ricevuta onorevolmente.
Ed essendo con lei andata Carapresa, la mandò a sentire quello che di Martuccio trovar potesse; e trovato lui esser vivo e in grande stato, e rapportogliele, piacque alla gentil donna di volere essere colei che a Martuccio significasse quivi a lui esser venuta la sua Gostanza. E andatasene un dì là dove Martuccio era, gli disse:
– Martuccio, in casa mia è capitato un tuo servidore che vien da Lipari, e quivi ti vorrebbe segretamente parlare; e per ciò, per non fidarmene ad altri, sì come egli ha voluto, io medesima tel sono venuta a significare.
Martuccio la ringraziò, e appresso lei alla sua casa se n’andò.
Quando la giovane il vide, presso fu che di letizia non morì, e non potendosene tenere, subitamente con le braccia aperte gli corse al collo e abbracciollo, e per compassione de’passati infortuni e per la presente letizia, senza potere alcuna cosa dire, teneramente cominciò a lagrimare.
Martuccio, veggendo la giovane, alquanto maravigliandosi soprastette, e poi sospirando disse:
– O Gostanza mia, or se’tu viva? Egli è buon tempo che io intesi che tu perduta eri, né a casa nostra di te alcuna cosa si sapeva -; e questo detto, teneramente lagrimando l’abbracciò e baciò.
La Gostanza gli raccontò ogni suo accidente, e l’onore che ricevuto avea dalla gentil donna con la quale dimorata era. Martuccio, dopo molti ragionamenti da lei partitosi, al re suo signore n’andò e tutto gli raccontò, cioè i suoi casi e quegli della giovane, aggiugnendo che, con sua licenzia, intendeva secondo la nostra legge di sposarla.
Il re si maravigliò di queste cose; e fatta la giovane venire, e da lei udendo che così era come Martuccio aveva detto, disse:
– Adunque l’hai tu per marito molto ben guadagnato.
E fatti venire grandissimi e nobili doni, parte a lei ne diede e parte a Martuccio, dando loro licenzia di fare intra sé quello che più fosse a grado a ciascheduno.
Martuccio onorata molto la gentil donna con la quale la Gostanza dimorata era e ringraziatala di ciò che in servigio di lei aveva adoperato e donatile doni quali a lei si confaceano e accomandatala a Dio, non senza molte lagrime dalla Gostanza si partì. E appresso con licenzia del re sopra un legnetto montati, e con loro Carapresa, con prospero vento a Lipari ritornarono, dove fu sì grande la festa che dir non si potrebbe giammai.
Quivi Martuccio la sposò e grandi e belle nozze fece, e poi appresso con lei insieme in pace e in riposo lungamente goderono del loro amore.
-
Torna all’indice del Decamerone testo on-line