Siena
27 Gennaio 2019Accoglienza
27 Gennaio 2019
Giovanni Boccaccio
Settima Giornata
Novella Settima
Lodovico discuopre a madonna Beatrice l’amore il quale egli le porta; la qual manda Egano suo marito in un giardino in forma di sé, e con Lodovico si giace; il quale poi levatosi, va e bastona Egano nel giardino.
Questo avvedimento di madonna Isabella da Pampinea raccontato fu da ciascun della brigata tenuto maraviglioso. Ma Filomena, alla quale il re imposto aveva che secondasse, disse.
Amorose donne, se io non ne sono ingannata, io ve ne credo uno non men bello raccontare, e prestamente.
Voi dovete sapere che in Parigi fu già un gentile uomo fiorentino, il quale per povertà divenuto era mercatante, ed eragli sì bene avvenuto della mercatantia, che egli ne era fatto ricchissimo, e avea della sua donna un figliuol senza più, il quale egli aveva nominato Lodovico. E perché egli alla nobiltà del padre e non alla mercatantia si traesse, non l’aveva il padre voluto mettere ad alcun fondaco, ma l’avea messo ad essere con altri gentili uomini al servigio del re di Francia, là dove egli assai di be’costumi e di buone cose aveva apprese.
E quivi dimorando, avvenne che certi cavalieri, li quali tornati erano dal Sepolcro, sopravvenendo ad un ragionamento di giovani, nel quale Lodovico era, e udendogli fra sé ragionare delle belle donne di Francia e d’Inghilterra e d’altre parti del mondo, cominciò l’un di loro a dir che per certo di quanto mondo egli aveva cerco e di quante donne vedute aveva mai, una simigliante alla moglie d’Egano de’Galluzzi di Bologna, madonna Beatrice chiamata, veduta non avea di bellezza; a che tutti i compagni suoi, che con lui insieme in Bologna l’avean veduta, s’accordarono.
Le quali cose ascoltando Lodovico, che d’alcuna ancora innamorato non s’era, s’accese in tanto disidero di doverla vedere, che ad altro non poteva tenere il suo pensiere; e del tutto disposto d’andare infino a Bologna a vederla, e quivi ancora dimorare, se ella gli piacesse, fece veduto al padre che al Sepolcro voleva andare; il che con grandissima malagevolezza ottenne.
Postosi adunque nome Anichino, a Bologna pervenne, e, come la fortuna volle, il dì seguente vide questa donna ad una festa, e troppo più bella gli parve assai che stimato non avea; per che, innamoratosi ardentissimamente di lei, propose di mai di Bologna non partirsi se egli il suo amore non acquistasse. E seco divisando che via dovesse a ciò tenere, ogn’altro modo lasciando stare, avvisò che, se divenir potesse famigliar del marito di lei, il qual molti ne teneva, per avventura gli potrebbe venir fatto quel che egli disiderava.
Venduti adunque i suoi cavalli, e la sua famiglia acconcia in guisa che stava bene, avendo lor comandato che sembiante facessero di non conoscerlo, essendosi accontato con l’oste suo, gli disse che volentier per servidore d’un signore da bene, se alcun ne potesse trovare, starebbe. Al quale l’oste disse:
– Tu se’dirittamente famiglio da dovere esser caro ad un gentile uomo di questa terra che ha nome Egano, il quale molti ne tiene, e tutti li vuole appariscenti come tu se’: io ne gli parlerò.
E come disse così fece; e avanti che da Egano si partisse, ebbe con lui acconcio Anichino; il che quanto più poté esser gli fu caro. E con Egano dimorando e avendo copia di vedere assai spesso la sua donna, tanto bene e sì a grado cominciò a servire Egano, che egli gli pose tanto amore, che senza lui niuna cosa sapeva fare; e non solamente di sé, ma di tutte le sue cose gli aveva commesso il governo.
Avvenne un giorno che, essendo andato Egano ad uccellare e Anichino rimaso a casa, madonna Beatrice, che dello amor di lui accorta non s’era ancora quantunque seco, lui e’suoi costumi guardando, più volte molto commendato l’avesse e piacessele, con lui si mise a giucare a’scacchi; e Anichino, che di piacerle disiderava, assai acconciamente faccendolo, si lasciava vincere, di che la donna faceva maravigliosa festa. Ed essendosi da vedergli giucare tutte le femine della donna partite, e soli giucando lasciatigli, Anichino gittò un grandissimo sospiro.
La donna guardatolo disse:
– Che avesti, Anichino? Duolti così che io ti vinco?
– Madonna, – rispose Anichino – troppo maggior cosa che questa non è fu cagion del mio sospiro.
Disse allora la donna:
– Deh dilmi per quanto ben tu mi vuogli.
Quando Anichino si sentì scongiurare – per quanto ben tu mi vuogli – a colei la quale egli sopra ogn’altra cosa amava, egli ne mandò fuori un troppo maggiore che non era stato il primo; per che la donna ancor da capo il ripregò che gli piacesse di dirle qual fosse la cagione de’suoi sospiri. Alla quale Anichino disse:
– Madonna, io temo forte che egli non vi sia noia, se io il vi dico; e appresso dubito che voi ad altra persona nol ridiciate.
A cui la donna disse:
– Per certo egli non mi sarà grave, e renditi sicuro di questo, che cosa che tu mi dica, se non quanto ti piaccia, io non dirò mai ad altrui.
Allora disse Anichino:
– Poi che voi mi promettete così, e io il vi dirò – ; e quasi colle lagrime in sugli occhi le disse chi egli era, quel che di lei aveva udito e dove e come di lei s’era innamorato e come venuto e perché per servidor del marito di lei postosi; e appresso umilemente, se esser potesse, la pregò che le dovesse piacere d’aver pietà di lui, e in questo suo segreto e sì fervente disidero di compiacergli; e che, dove questo far non volesse, che ella, lasciandolo star nella forma nella qual si stava, fosse contenta che egli l’amasse.
O singular dolcezza del sangue bolognese! Quanto se’tu stata sempre da commendare in così fatti casi! Mai né di lagrime né di sospir fosti vaga, e continuamente a’prieghi pieghevole e agli amorosi disideri arrendevol fosti. Se io avessi degne lode da commendarti, mai sazia non se ne vedrebbe la voce mia!
La gentil donna, parlando Anichino, il riguardava, e dando piena fede alle sue parole, con sì fatta forza ricevette per li prieghi di lui il suo amore nella mente, che essa altressì cominciò a sospirare, e dopo alcun sospiro rispose:
– Anichino mio dolce, sta di buon cuore; né doni né promesse né vagheggiare di gentile uomo né di signore né d’alcuno altro (ché sono stata e sono ancor vagheggiata da molti) mai potè muovere l’animo mio tanto che io alcuno n’amassi; ma tu m’hai fatta in così poco spazio, come le tue parole durate sono, troppo più tua divenir che io non son mia. Io giudico che tu ottimamente abbi il mio amor guadagnato, e per ciò io il ti dono, e sì ti prometto che io te ne farò godente avanti che questa notte che viene tutta trapassi. E acciò che questo abbia effetto, farai che in su la mezza notte tu venghi alla camera mia; io lascerò l’uscio aperto; tu sai da qual parte del letto io dormo; verrai là, e, se io dormissi, tanto mi tocca che io mi svegli, e io ti consolerò di così lungo disio come avuto hai; e acciò che tu questo creda, io ti voglio dare un bacio per arra – ; e gittatogli il braccio in collo, amorosamente il baciò, e Anichin lei.
Queste cose dette, Anichin, lasciata la donna, andò a fare alcune sue bisogne, aspettando con la maggior letizia del mondo che la notte sopravvenisse. Egano tornò da uccellare, e come cenato ebbe, essendo stanco, s’andò a dormire, e la donna appresso, e, come promesso avea, lasciò l’uscio della camera aperto.
Al quale, all’ora che detta gli era stata, Anichin venne, e pianamente entrato nella camera e l’uscio riserrato dentro, dal canto donde la donna dormiva se n’andò, e postale la mano in sul petto, lei non dormente trovò; la quale come sentì Anichino esser venuto, presa la sua mano con amendune le sue e tenendol forte, volgendosi per lo letto tanto fece che Egano che dormiva destò, al quale ella disse:
– Io non ti volli iersera dir cosa niuna, per ciò che tu mi parevi stanco; ma dimmi, se Dio ti salvi, Egano, quale hai tu per lo migliore famigliare e per lo più leale e per colui che più t’ami, di quegli che tu in casa hai?
Rispose Egano:
– Che è ciò, donna, di che tu mi domandi? Nol conosci tu? Io non ho, né ebbi mai alcuno, di cui io tanto mi fidassi o fidi o ami, quant’io mi fido e amo Anichino; ma perché me ne domandi tu?
Anichino, sentendo desto Egano e udendo di sé ragionare, aveva più volte a sé tirata la mano per andarsene, temendo forte non la donna il volesse ingannare; ma ella l’aveva sì tenuto e teneva, che egli non s’era potuto partire né poteva.
La donna rispose ad Egano e disse:
– Io il ti dirò. Io mi credeva che fosse ciò che tu di’e che egli più fede che alcuno altro ti portasse; ma me ha egli sgannata, per ciò che, quando tu andasti oggi ad uccellare, egli rimase qui, e quando tempo gli parve, non si vergognò di richiedermi che io dovessi, a’suoi piaceri acconsentirmi; e io, acciò che questa cosa non mi bisognasse con troppe pruove mostrarti e per farlati toccare e vedere, risposi che io era contenta e che stanotte, passata mezzanotte, io andrei nel giardino nostro e a piè del pino l’aspetterei. Ora io per me non intendo d’andarvi; ma, se tu vuogli la fedeltà del tuo famiglio cognoscere, tu puoi leggiermente, mettendoti indosso una delle guarnacche mie e in capo un velo, e andare laggiuso ad aspettare se egli vi verrà, ché son certa del sì.
Egano udendo questo disse:
– Per certo io il convengo vedere – ; e levatosi, come meglio seppe al buio, si mise una guarnacca della donna e un velo in capo, e andossen nel giardino e a piè d’un pino cominciò ad attendere Anichino.
La donna, come sentì lui levato e uscito della camera, così si levò e l’uscio di quella dentro serrò.
Anichino, il quale la maggior paura che avesse mai avuta avea, e che quanto potuto avea s’era sforzato d’uscire delle mani della donna e centomila volte lei e il suo amore e sé che fidato se n’era avea maladetto, sentendo ciò che alla fine aveva fatto, fu il più contento uomo che fosse mai; ed essendo la donna tornata nel letto, come ella volle, con lei si spogliò, e insieme presero piacere e gioia per un buono spazio di tempo.
Poi, non parendo alla donna che Anichino dovesse più stare, il fece levar suso e rivestire, e sì gli disse:
– Bocca mia dolce, tu prenderai un buon bastone e andra’tene al giardino, e faccendo sembianti d’avermi richiesta per tentarmi, come se io fossi dessa, dirai villania ad Egano e sonera’mel bene col bastone, per ciò che di questo ne seguirà maraviglioso diletto e piacere.
Anichino levatosi e nel giardino andatosene con un pezzo di saligastro in mano, come fu presso al pino e Egano il vide venire, così levatosi come con grandissima festa riceverlo volesse, gli si faceva incontro. Al quale Anichin disse:
– Ahi malvagia femina, dunque ci se’venuta, e hai creduto che io volessi o voglia al mio signor far questo fallo? Tu sii la mal venuta per le mille volte! – ; e alzato il bastone, lo incominciò a sonare.
Egano, udendo questo e veggendo il bastone, senza dir parola cominciò a fuggire, e Anichino appresso sempre dicendo:
– Via, che Dio vi metta in malanno, rea femina, ché io il dirò domatina ad Egano per certo.
Egano avendone avute parecchie delle buone, come più tosto poté, se ne tornò alla camera; il quale la donna domandò se Anichin fosse al giardin venuto. Egano disse:
– Così non fosse egli, per ciò che, credendo esso che io fossi te, m’ha con un bastone tutto rotto, e dettami la maggior villania che mai si dicesse a niuna cattiva femina; e per certo io mi maravigliava forte di lui che egli con animo di far cosa che mi fosse vergogna t’avesse quelle parole dette; ma, per ciò che così lieta e festante ti vede, ti volle provare.
Allora disse la donna:
– Lodato sia Iddio, che egli ha me provata con parole e te con fatti, e credo che egli possa dire che io comporti con più pazienzia le parole che tu i fatti non fai. Ma poi che tanta fede ti porta, si vuole aver caro e fargli onore.
Egano disse:
– Per certo tu di’il vero.
E, da questo prendendo argomento, era in oppinione d’avere la più leal donna e il più fedel servidore che mai avesse alcun gentile uomo. Per la qual cosa, come che poi più volte con Anichino ed egli e la donna ridesser di questo fatto, Anichino e la donna ebbero assai più agio, di quello per avventura che avuto non avrebbono, a far di quello che loro era diletto e piacere, mentre ad Anichin piacque di dimorar con Egano in Bologna.
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