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27 Gennaio 2019Nomi dei composti inorganici
27 Gennaio 2019
Le grandi bonifiche intraprese in tempi storici, ma attuate, in particolare, tra la fine del XIX secolo e gli anni ’70, hanno consentito la messa a coltura di decine di migliaia di ettari precedentemente palustri o sortumosi. Le grandi estensioni di pascoli umidi e valli utilizzate per la pesca sono state così sostituite, negli ultimi due secoli, da aree agricole drenate grazie all’azione delle pompe idrovore. Soltanto poche migliaia di ettari nel ravennate sono stati prosciugati per colmata, convogliandovi le acque di piena dei fiumi appenninici, ricche di sedimenti, e favorendo il naturale processo di interrimento delle zone umide.
L’agricoltura è, oggi, la principale attività produttiva condotta nelle aree circostanti le zone umide e ne condiziona fortemente lo stato di conservazione, influenzando negativamente la qualità (eutrofizzazione da fertilizzanti e reflui zootecnici; inquinamento da pesticidi) e la quantità (utilizzo a scopo irrigo) delle acque. L’agricoltura influisce direttamente sulla conservazione degli habitat ripariali o palustri solamente nei casi in cui è praticata all’interno delle golene fluviali o nei terreni marginali delle zone umide. Le aree agricole sono fondamentalmente caratterizzate dalla cosiddetta “larga”, costituita da vasti appezzamenti a seminativo su terreni di recente bonifica a bassa giacitura; il substrato può essere, indifferentemente, a prevalenza sabbiosa o argillosa. Le colture dominanti sono grano, mais, sorgo, barbabietole, erba medica, girasole, soia, mentre verso l’entroterra, ove i terreni sono più torbosi, è diffusa anche la coltura del riso.. Sono presenti anche: aree con colture orticole specializzate, in particolare nei terreni sabbiosi, con presenza di strutture quali serre e reti di irrigazione; pioppeti, solitamente all’interno delle golene fluviali; piccoli appezzamenti a vigneto e frutteto, distribuiti nel tessuto agricolo dominato dalla “larga” a seminativo e concentrati in linee ad andamento nord-sud, parallele alla linea di costa e corrispondenti agli antichi cordoni dunosi. Altre colture arboree si ritrovano nelle vicinanze dei principali corsi d’acqua, con terreni più elevati e con suolo prevalentemente argilloso, quindi di bonifica più antica. Molti terreni a bassa giacitura e con affioramento invernale della falda, limitrofi alle zone umide, vengono tuttora mantenuti a coltura, pur risultando improduttivi, anche se recentemente alcune aree agricole scarsamente produttive sono state riallagate o rimboschite avvalendosi dell’incentivo offerto attraverso le politiche comunitarie per il ritiro dei seminativi. Negli ultimi anni sono state avviate, anche in attuazione delle politiche comunitarie e grazie all’impegno del Parco, attività di riconversione dell’agricoltura verso forme più sostenibili e verso produzioni biologiche.
Pesca
Le attività umane legate all’acquacoltura e alla pesca professionale nelle zone umide del Parco sono ammesse e favorite perché hanno una grande importanza economica e occupazionale e sono, in alcuni casi attività a forte valenza storica e tradizionale.
Nel comprensorio deltizio sono inserite diverse tipologie di acque: si dicono Valli i bacini interni di acque dolci, salmastre o salate, la cui comunicazione con acque esterne (fiume o mare) è artificialmente emessa attraverso chiuse e/o idrovore. In questo senso ne sono tipicissimi esempi le Valli di Comacchio, le Casse di espansione di Campotto e Valle Mandriole.
Le lagune sono i bacini di acque dolci, salmastre o salate, la cui comunicazione con il mare è data da un’ampia apertura che permetta il flusso e riflusso delle maree, come ad esempio la Scca di Goro. Vi sono poi le Valli interne in libera comunicazione con il mare: sono quei bacini che risentono dell’influsso delle maree attraverso i canali (Valle Fattibello, le Piall’asse della Baiona e del Piombone). La pesca dunque, intesa come ogni azione tesa alla cattura di specie ittiche, si differenzia per tipologia: la pesca professionale, e con essa la raccolta di molluschi, e la pesca sportiva. La pesca sportiva è un’attività normalmente concessa all’interno delle aree di parco e pre-parco, (ad esclusione di alcune zone e di particolari ambiti individuati nei quali le condizioni ambientali, la presenza di specie di particolare importanza conservazionistica o lo svolgimento di fasi delicate del ciclo biologico dei Pesci, inducano ad istituire divieti di pesca temporanei o permanenti).
Pesca lagunare
In tutto il delta la pesca nelle acque marittime interne si esercita essenzialmente con l’ausilio di attrezzi fissi quali bertovelli, reti da posta, tremagli, cogolli, e cioè nasse con attrezzi che vengono posizionati in particolari siti di transito dei pesce. Gli stessi attrezzi vengono utilizzati per la pesca nei tratti terminali del fiume in quanto ricco, per la presenza del cuneo salino, di numerose specie eurialine in particolare modo in alcuni periodi dell’anno (ferma delle anguille, ecc.). Con barche di piccole dimensioni il pescatore raccoglie quotidianamente il pesce catturato portandolo spesso ancora vivo sul mercato locale per la commercializzazione. Le catture hanno, come detto, andamento stagionale sia per le specie che per le quantità e qualità dei prodotti in quanto il dinamismo ecologico della laguna le condiziona considerevolmente. Tale attività di pesca è inoltre legata a situazioni ambientali estreme a cui la laguna è sottoposta in particolari periodi dell’anno. Le alte temperature estive, che possono superare i 32°C, e le fredde temperature invernali, anche inferiori a 0°C producono infatti effetti spesso devastanti sull’ambiente provocando la morte o la fuga verso il mare di tutte le specie ittiche presenti condizionando, oltre che l’attività di pesca, anche lo stesso ciclo biologico della fauna ittica. La conseguenza è che tale attività sia molto spesso sussidiaria ad altre attività , ittiche in quanto non garantisce sempre il reddito minimo. Nonostante tutto la pesca lagunare rimane una attività peculiare tradizionale, così come lo sono i suoi frutti, spesso ricercati proprio per le specifiche qualità organolettiche.
Pesca in Mare
La pesca in mare costituisce una delle varie attività del comparto. Le caratteristiche orografiche del delta non hanno consentito uno sviluppo massiccio della flotta di pesca ed in particolar modo del numero e delle caratteristiche tecniche (stazza e potenza) delle barche. Si sono così sviluppate due categorie di imbarcazioni da pesca di cui la prima e più numerosa è costituita da imbarcazioni medio – piccole, con stazza compresa tra le 2 ton. e le 4 ton, dotate di motore fuoribordo o entro bordo(di piccolo cavallaggio), che esercitano la piccola pesca costiera e cioè compresa entro le tre miglia. Tali barche sono dotate essenzialmente di licenza di pesca per attrezzi da posta e sono generalmente dotate di una o due persone di equipaggio. La pesca è prevalentemente stagionale e si esercita a poca distanza dalla costa con l’ausilio di reti da posta, nasse e tramagli e le specie prevalentemente catturate sono sogliole, passere, seppie e cefali, Le reti vengono calate la sera e salpate al mattino o nel primo pomeriggio, in relazione all’orario di apertura del mercato locale sul quale il pesce giunge spesso vivo. Anche tale attività fornisce un reddito prevalentemente integrativo in quanto le condizioni atmosferiche non consentono a queste piccole imbarcazioni di pescare per lo stesso numero di giorni delle barche più grosse e la pesca è essenzialmente stagionale.
La seconda tipologia di barche da pesca è rappresentata da circa 50 imbarcazioni che operano nella fascia costiera compresa tra le tre e le venti miglia la pesca a strascico; si tratta di barche con stazza di poco inferiore alle 10 tonnellate, potenza dell’apparato motore variabile dai 100 ai 250 hp e a fondo piatto per poter attraversare senza troppi problemi le secche prospicienti la foce dei rami del Po. La pesca si esercita abitualmente dalle prime ore del giorno al primo pomeriggio per poter conferire il pescato all’apertura del mercato locale.
Nel corso dei ’97 inoltre, 12 imbarcazioni aventi medesime caratteristiche hanno iniziato, autorizzate dal Ministero la pesca del pesce azzurro con sistema volante. Numerose imbarcazioni di piccolo tonnellaggio hanno poi la licenza per attrezzi al traino molluschi in quanto utilizzavano una gabbia metallica per la raccolta di mitili allo stato naturale lungo la fascia costiera e nelle lagune. Oggi tale tipo di attività è poco praticata e l’attrezzo si utilizza prevalentemente per la raccolta del novellame di molluschi da destinare ai vivai per l’allevamento.
Nel tratto di mare antistante il Delta del Po operano infine circa 15 imbarcazioni dotate di draga idraulica o turbosoffiante per la raccolta della Chamela Gallina o Lupino.
La pesca nelle Acque dolci
Sebbene rappresenti la tradizione probabilmente più antica tra i vari tipi di pesca oggi tale attività è sicuramente in fase di a declino in quanto i corsi d’acqua dolce che caratterizzano la Provincia di Rovigo (altre i 3.000 Km.) sono in condizioni ambientali di tale degrado da non consentire l’esercizio della pesca professionale con una sufficiente garanzia di reddito.
Permane comunque un nucleo di pescatori che tradizionalmente esercitano tale attività (circa 20) che operano nel Po e nei canali principali della bonifica. Ancora esercitata,alla foce dei vari rami del fiume, la pesca stagionale delle anguille (la ferma) e dei cefali.. Si tratta comunque, anche in questo caso, di attività accessorie alle altre attività di pesca.
Molluschicoltura
Tipico ambiente di acqua salmastra, il Delta padano è caratterizzato da una variabilità assai elevata dei principali caratteri chimico-fisici ed idrologici, come temperatura, salinità , concentrazione dell’ossigeno, ecc. che si verifica non solo nel tempo ma anche nello spazio.
Le specie presenti nelle acque lagunari, possiedono una caratteristica fondamentale tale che le accomuna,e consente loro di vivere, crescere, e, per alcune, riprodursi nonostante le particolari condizioni; si tratta di animali “eurialini”, in grado cioè di sopportare senza particolari problemi variazioni anche considerevoli di salinità .E’ infatti questo l’elemento caratterizzante, l’elemento che determina la selezione delle forme di vita lagunari.
Alcune specie svolgono il proprio ciclo biologico interamente, in laguna limitandosi a periodici spostamenti lungo la fascia costiera; altre specie sono presenti in laguna solo in alcuni periodi dell’anno in quanto, le condizioni ambientali risultano loro particolarmente favorevoli. Altre specie ancora trascorrono in laguna solo una parte del loro ciclo biologico in quanto la restante parte avviene nelle acque costiere antistanti. Per ciò che riguarda le indagini condotte per aumentare le conoscenze circa le forme di invertebrati presenti nelle lagune del Delta del Po ed in generale nelle lagune salmastre dell’Alto Adriatico, esse,eccezion fatta per la laguna di Venezia (Vatova, 1940-1949 e altri), risultano ancora insufficienti. In particolare gli unici studi di una certa importanza, relativi alla Sacca degli Scardovari risalgono al 1951, (Vatova e Faganelli), mentre nel 1976 una relativamente ampia indagine ecologica stata condotta dai ricercatori dell’Università di Ferrara e dall’ENEL con raccolte quantitative di zoobenthos e con lo studio dei principali caratteri chimico-fisici dell’acqua e del sedimento. Tra le specie stanziali abbiamo i molluschi lamellibranchi che, privi di capacità di spostamento, vivono nel terreno o attaccati a substrati solidi. Sono animali che nella laguna trovano abbondante nutrimento filtrando notevoli volumi di acqua trattenendone il particellato composto prevalentemente di microalghe e sostanza organica.La ricchezza delle acque consente di avere tempi di accrescimento dei molluschi estremamente rapidi conferendo interesse economico all’allevamento.
Il delicato equilibrio che regola la vita della laguna è però spesso posto in pericolo dal verificarsi di condizioni ambientali particolari legate alla concomitanza di un insieme di fattori che interagiscono spingendo l’ambiente a situazioni di collasso. In particolare le peculiari condizioni che si verificano nelle lagune nei mesi estivi possono produrre i caratteristici fenomeni di distrofia e anossia che sono lo stadio finale della degenerazione. Tale fenomeno è generato dalla elevata temperatura ambientale che provoca l’innalzamento della temperatura delle acque; in assenza di escursione di marea, si ha un aumento del metabolismo e del numero unitario delle cellule microfitoplancton e quindi dell’azione respiratoria. Nelle ore notturne, l’assorbimento dell’ossigeno aumenta notevolmente in relazione alla inversione respiratoria operata dalle forme vegetali (macro e micro fito-plancton) contribuendo alla riduzione del tenore, già basso in quanto legato alla scarsa solubilità dell’ossigeno nelle acque dovuta alle alte temperature. Nelle ore che precedono l’alba l’ossigeno raggiunge poi livelli minori con la possibilità di ridursi al punto di innescare fenomeni anossici che, partendo dal fondo, si espandono a macchia d’olio. Tale fenomeno dà luogo, assieme alla sopraggiunta moria degli organismi benthonici, ad una ulteriore riduzione del tenore di ossigeno per lo svilupparsi dei processi putrefattivi della sostanza organica presente nell’area. E’ spesso sufficiente una mareggiata o un temporale per ripristinare il livello di ossigeno nelle acque in quanto i bassi fondali consentono un rapido e totale rimescolamento delle acque e quindi una normalizzazione dell’ambiente.
E’ evidente, per quanto esposto, che l’idrodinamismo lagunare riveste fondamentale importanza nel mantenimento dei delicati equilibri fisici e biologici; la circolazione delle acque, e quindi il ricambio idrico tra la laguna e il mare, è l’elemento primario per il mantenimento dell’ambiente e delle sue risorse ed è legato al costante intervento e studio dell’uomo.