Zanna bianca
27 Gennaio 2019Crivello di Eratostene
27 Gennaio 2019o un quartiere di essa tenendo presente le poesie di Saba e sottolineando l’esperienza personale
tema svolto di Miriam Gaudio
Apro la finestra della mia camera che dà sulla mia città, Cesano Boscone. Nelle strade deserte passa furtiva qualche gatta che, silenziosa scompare lasciando sola la via. L’aria della solitudine aleggia fino all’apertura della mia finestra, come un veleno senza antidoto, ma io ci sono abituata e la conosco bene; per fronteggiarla basta guardare il cielo, un cielo limpido e infinito dove mi perdo, per quanto? Minuti, ore, giornima gli alti grattacieli bloccano sempre la mia vista all’infinito: quei grigi mostri che hanno rubato la casa agli alberi e alla fresca erba verde per cui avevano dato il nome di Cesano Boscone a questa città, che ora rimane solo Cesano. Passa qualche persona e non ne riconosco una, in effetti, qui non conosco quasi nessuno, né mi interessa di conoscerne; la mia vera casa non è qui, ma nella mia scuola. Dopo tredici anni mi sento ancora estranea alle viette pavet che portano alla mia chiesa San Giovanni Battista, all’oratorio pieno di ragazzi che non conosco e che non emettono un suono al mio passaggio.
La mia città sembra avere quattro facce. Dinverno triste, vecchia, sporca; di primavera radiosa, profumata, dolce; destate occupata, assetata, l’unatica e d’autunno pensierosa, imbronciata e fastidiosa. Al cambiare dell’aspetto della città cambio anche io, come un cavallo che cambia direzione al comando del cocchiere: non ho più libertà. E cosa fare? Non posso scappare perché qui c’è la mia famiglia, non posso guardare in cielo perché me lo soffocano i palazzi, non posso far cambiare l’inverno in primavera quando voglio io. Posso solo sognare e disegnare le colline e scrivere delle campagne, posso correre in giardino e guardare i fiori, immaginandomi di essere nella foresta pluviale a saltare da una liana all’altra sperando che l’estate arrivi in fretta per andare al Creelone, il paesino di montagna dove ho la casa e il cuore.
Camminando per le vie un gruppo di ragazzi passa scherzando e tra una parolaccia e l’altra si divertono; gli uomini in giacca e cravatta parlano nellauricolare e, in una corsa frenetica, vanno dove hanno tanta paura di fare tardi; delle signore portano dei malati sulla carrozzella a vedere la lugubre città che espone con tanta disinvoltura i resti di una casa in macerie e che non può che offrirgli un triste, malinconico sorriso. Ma non è sempre così: Cesano si comporta diversamente ogni volta che la vedo. Una volta mi dona tristezza nellopaca nebbia, una volta mi dona sollievo al caldo chiaror del sole, una volta mi sorprende con vie ancora sconosciute e con persone che mi salutano con gli occhi senza sapere chi sono, una volta mi dona amicizia nella calura dell’oratorio feriale e una volta mi dona amore in un angolino del parco baciato dai petali degli alberi di pesco. Ti ringrazio per ogni momento dato, Cesano, anche se qualche volta ti odio tanto perché io sogno i prati, le colline e l’aria fresca che qua viene soffocata dalla noia di giornate uguali davanti alla mia finestra che guarda la città di pietra, anzi, dasfalto.