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27 Gennaio 2019Due osservazioni sul cosiddetto Medioevo di Roberto Persico
All’approssimarsi dell’Anno Mille”. Comincia così la cronaca di un cronista monastico dei primi dell’XI secolo, che poco dopo – al contrario di quello che alcuni hanno affermato – non parla affatto dei terrori” dell’Anno Mille, ma invece della comparsa in tutta la cristianità di un bianco mantello di chiese”. Il monaco ricorda cioè la fiducia di una cristianità che ha appena trovato le risorse materiali e spirituali per un incipiente sviluppo che dell’Europa cristiana farà un universo in espansione. Eppure su quest’errore – l’esplosione nel Medioevo di una paura della fine del mondo – continuano a fondarsi oggi media in caccia del sensazionale, spiriti ossessionati dall’idea del declino dell’Occidente e parte di un’opinione pubblica occidentale disorientata, per evocare l’appressarsi di nuove sventure apocalittiche e suscitare terrori dell’Anno Mille”.
Uno degli aspetti più avvilenti della crisi psicologica della nostra società in trasformazione è lo scatenarsi dell’irrazionale coltivato dalle sette, il fascino dell’astrologia, l’attrazione del satanico, il garbo pubblicitario delle cartomanti, dei veggenti e delle veggenti. Ne abbiamo avuto un esempio recente in occasione dell’eclisse solare della scorsa estate, nonostante l’affannarsi degli astronomi e degli scienziati. Dobbiamo saper resistere a questo spirito pseudostorico, creatore di illusioni pericolose. Abbiamo bisogno di conservare la tradizione della ragione, una delle più feconde conquiste della storia europea, costruita senza soste e passo dopo passo a partire dalla filosofia antica, dalla scolastica medievale, dallo spinto dell’Illuminismo, dalle metafore scientifiche del XIX e del XX secolo.
Nel corso della storia niente può far credere a periodi catastrofici in coincidenza con il volgere dei secoli. I calendari sono invenzioni – utili ma artificiali – degli uomini e le date di tali calendari non corrispondono a niente di oggettivo. E se è vero che il medioevo ha conosciuto accessi di febbre millenaristica, questo millenarismo non ha niente a che vedere con gli Anni Mille o Duemila. Il millenarismo, che si fonda sull’Apocalisse di Giovanni, è infatti un’attesa dei tempi ultimi dell’umanità che prevede una fase catastrofica contraddistinta dallo scatenarsi dell’Anticristo e seguita da un lunghissimo periodo (questo il significato di Millennium) di felicità sulla terra, di un regno terreno dei santi. Nel caso di questo “Sabbato di mille anni” – durante il quale Satana sarebbe rimasto legato” – si era di fronte a un’interpretazione particolare di un testo che sia pure con difficoltà era stato infine accettato nel Nuovo Testamento, in quanto si pensava che ne fosse autore l’evangelista Giovanni: l’Apocalisse. Un suo passo (Ap. XX, 4-6) allude infatti a un regno sulla terra – una volta ritornato il Cristo – dei santi resuscitati in una prima resurrezione. I Padri della Chiesa condannarono ogni interpretazione letterale di questo Millennium. Fu soprattutto Agostino a insegnare che la credenza in un regno futuro era ridicola perché già ora la Chiesa è il regno di Cristo”: egli affermò che l’espressione mille anni” non andava intesa alla lettera e che il richiamo doveva essere invece interpretato in modo puramente spirituale”. San Gerolamo, da parte sua, aveva detto: I santi non avranno nessun regno su questa terra, ma solo un regno celeste: deve quindi cessare la favola dei mille anni”. La condanna non impedì che molti chierici – soprattutto monaci – riprendessero in termini più o meno eretici l’interpretazione millenaristica di una futura Gerusalemme terrestre e convincessero dei discepoli più o meno numerosi a seconda delle epoche. Ortodossi e non ortodossi ritenevano comunque che l’episodio del o degli Anticristi precedesse in un caso l’instaurarsi del Millennium o, nell’altro, l’avvento della Resurrezione e del Giudizio universale. Così la lettura” dell’Apocalisse consentiva utilizzazioni politiche e, nel caso del millenarismo, più o meno rivoluzionarie”. Il millenarista più famoso e influente del Medioevo fu un cistercense italiano, Gioacchino da Fiore, che nel 1179 fondò in Calabria, sulla Sila, l’abbazia di San Giovanni in Fiore, oggi sede del Centro internazionale di Studi gioachimiti, dove si elaborano importanti pubblicazioni delle opere di Gioacchino e si tengono convegni. Fra il 1188 e il 1192 Gioacchino scrisse in latino un’Introduzione all’Apocalisse che riscosse subito un immenso successo, durato sino alla fine del Cinquecento. Quest’opera fece nascere un gran numero di gioachimiti che furono per la maggior parte considerati eretici e condannati dalla Chiesa. A partire dal XIII secolo essa ispirò, specie in alcuni ambienti francescani, un’interpretazione millenaristica di san Francesco d’Assisi e persino dell’imperatore Federico II. Oggi – sull’onda di tempi difficili che gettano il turbamento negli animi, specie in certe sette – rinascono movimenti millenaristici peraltro quasi sempre fondati su interpretazioni false e stravaganti che confondono il Millennium del libro dell’Apocalisse con l’Anno Mille. I discepoli di Gioacchino da Fiore avevano fissato come data dell’evento il 1260, anno contraddistinto da manifestazioni di una devozione bizzarra, fra cui il movimento dei Disciplinati, in lunghe processioni di flagellanti. Il 1260 arrivò e non accadde nulla. Alcuni socialisti e comunisti dell’Ottocento credettero in una grande sera” che doveva segnare l’avvento di una società priva di classi. E Orwell ha simboleggiato con il 1984 l’inizio di un’era dominata da sistemi che combinavano scienza e fascismo. Ma il 1984 è passato senza che fortunatamente, le profezie di Orwell si siano realizzate…
Oltre che di terrori dell’Anno Mille” alcuni oggi parlano di ritorno del medioevo”, di un nuovo medioevo”. Già il filosofo russo Nikolaj Berdjaev, fondendo misticismo religioso e marxismo, aveva scritto nel 1924 un libro intitolato Un nuovo medioevo. Quest’idea si fonda essenzialmente su due gravi errori. Il primo è la credenza nel ritorno più o meno regolare di periodi dalle caratteristiche simili. Tutta la storia fissata dagli storici professionali smentisce quest’idea, frutto delle fantasticherie degli pseudofilosofi. Già il greco Eraclito diceva: Non potrai bagnarti due volte nelle acque dello stesso fiume”. Non c’è eterno ritorno, la storia non ricomincia. Il passato illumina l’avvenire sì; ma l’avvenire è ogni volta diverso. La storia è unica, anche se gli storici vi notano una certa razionalità che deve essere studiata società per società, periodo per periodo, attribuendo al caso quel che al caso compete. Il secondo errore – per certi versi più grave in quanto diffuso a livello comune – sta nel fatto che quest’idea di un nuovo medioevo si fonda su una falsa idea che da decenni è combattuta da tutti i medievisti: il ritorno dell’immagine nera del medioevo, età di tenebre, professata dagli uomini del Rinascimento e dell’illuminismo.
Insieme ai lettori di Storia e Dossier ho spesso avuto modo di deplorare il fatto che l’immagine di un Medioevo nero e triste forgiata nel periodo che va dal Rinascimento all’Illuminismo abbia lasciato tracce profonde nella mentalità di oggi. E questo nonostante che siano sempre più numerosi i medievisti che esplorano come pionieri strade non battute, alla scoperta di un Medioevo più autentico, più vivo e più completo. Un Medioevo sempre più lontano tanto dalla leggenda nera evocata dagli umanisti del Rinascimento e dagli uomini del secolo dei Lumi” quanto dal Medioevo dorato” immaginato dal Romanticismo e dai cattolici nell’Ottocento. Un Medioevo in cui si affrontano e convivono la violenza e l’aspirazione alla pace, si mescolano fede e ragione. Un Medioevo che invece di avere il senso del progresso come lo intendiamo noi ha quello della crescita e della creazione, tanto negli ambiti della vita materiale (tecnologica, economica, quotidiana) quanto nella vita spirituale (intellettuale, religiosa, artistica). Un Medioevo che ha saputo porre interesse tanto nella vita privata” che nella vita contemplativa”.
L’uomo medievale insomma è sempre meno disincarnato, emerge giorno dopo giorno con i suoi interessi per la propria corporeità, con la diversità delle sue idee e delle sue concezioni, con tutta la ricchezza della sua sensibilità.
Un esempio per tutti. Si pensa spesso che il Medioevo abbia ignorato il gioco. Nulla di più falso. L’uomo del Medioevo amava molto il gioco. Certo ignorava quei giochi che potremmo definire in senso proprio sportivi” (usando un anacronismo); quei giochi cioè capaci di dar vita a veri e propri concorsi come erano stati praticati nell’Antichità e che le Olimpiadi moderne hanno risuscitato. Ma cerano giochi che furoreggiavano in ambienti sociali molto diversi fra loro: i tornei che certo non attiravano soltanto i nobili e che costituivano delle vere e proprie imprese economiche; giochi cortesi come la quintana”, destinata al pubblico cittadino, simile a quelle che alcune città italiane organizzano ancora oggi; giochi di palla coni piedi, antenati del nostro calcio, come è stato ricreato a Firenze, o con le mani, come la soule, che ricordano la pelota basca. E nelle campagne i periodici incontri di lotta fra i contadini più robusti facevano accorrere la gente di un villaggio, o di più villaggi della stessa regione.
Un’eclissi di molti secoli, dalla fine dell’impero romano al XIX secolo, ha oscurato lo sport organizzato come lo conosciamo oggi. Lo stadio, così come il teatro o il circo, scomparve dalle città e dai villaggi occidentali (anche se – bisogna ricordarlo – tutte le genti dell’impero bizantino continuavano a praticare le corse dei cavalli e dei carri). Ma dei giochi fisici, sostitutivi degli sport, si tenevano. E attiravano un pubblico numeroso. Soprattutto, però, il gioco dominava nella società medievale sotto altre forme. Il gioco aristocratico degli scacchi, introdotto in Occidente dall’Oriente verso il secolo XI, appassionava i nobili. E nel Basso Medioevo si diffuse in maniera straordinaria la moda dei giochi d’azzardo, prima di tutto i dadi, largamente testimoniata nella letteratura e nell’arte. Teologi e predicatori come san Bernardino da Siena si scatenarono invano contro quella passione: sospinte dalla Chiesa, le città – in Italia per esempio – dovettero accontentarsi di controllare il gioco e cercare di limitano. E un Medioevo senza giochi non può essere un Medioevo autentico. Le immagini del passato che si sono formate dal Trecento (il Petrarca è il primo a parlare di Medioevo) all’Illuminismo sono sempre vive nell’immaginario europeo e nei luoghi comuni che esso continua a diffondere. L’Antichità (nonostante la lontananza) e il Rinascimento sono visti come periodi brillanti, addirittura felici, mentre il Medioevo resta l’età di tenebre e barbarie di cui parlano con disprezzo umanisti, classicisti, uomini dei Lumi. Voi direte che, da medievista, difendo la mia parrocchia. Niente affatto. Sono altrettanto ostile sia alla leggenda dorata del Medioevo, sia alla leggenda nera: sono tutte e due ugualmente false da un punto di vista storico. Io non contrapporrei un’epoca di fede fervente (che sarebbe stata generale) a un epoca di perdita dei valori spirituali, perché i due pregiudizi non corrispondono alla verità storica. E’ vero, il Medioevo è stato un mondo di violenze, brutalità, difficoltà materiali e fisiologiche alle quali abbiamo avuto la fortuna (o l’hanno avuta quanti ne sono socialmente in grado) di sfuggire. Ma che dire dell’Antichità, o anche del Rinascimento con la sua crudeltà, le sue epidemie e le sue schiere di poveri e di vagabondi, le sue guerre di religione e il suo espansionismo conquistatore a prezzo del genocidio indiano? Non faccio certo qui il processo al Rinascimento, ma chiedo due cose.
In primo luogo che il nostro secolo, quello delle due guerre mondiali, del fascismo, del nazismo, dello stalinismo, del gulag e della shoah, rispetti il Medioevo che non è mai arrivato a tanto. E poi che dalle opere degli storici seri che scrivono anche per il grande pubblico si impari come il Medioevo abbia tentato di arginare la guerra e la miseria. E abbia inventato la città moderna, un equilibrio purtroppo fragile tra fede e ragione, l’università (perdonate un universitario), la grande filosofia scolastica – quella di Abelardo, Bonaventura, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino – che ben figura tra la filosofia della Grecia antica e quella del Rinascimento, il telaio, la diffusione del mulino e le sue applicazioni industriali, oltre a quell’arte che finalmente non viene più considerata barbarica. Un Medioevo che, attraverso la cristianità, ha prefigurato l’Europa che non siamo ancora riusciti a fare. Un Medioevo violento, crudele, drammatico (ma talora anche dolce), ma non triste. E’ questo Medioevo che mi fa tornare alla mente i versi di Paul Verlaine: Cest vers le Moyen Age énorme et délicat / quil faudrait que mon coeur en panne naviguât.
Jacques Le Goff, Il Giornale,
Di episodi di rispetto tra nemici anche sul campo di battaglia sono piene le cronache delle guerre medievali: non bisogna mai dimenticare che ad essi si alternano momenti forse più frequenti e altrettanto documentati di violenza, ma ciò non ne diminuisce il valore. Del Saladino ad esempio si racconta come fosse pronto a riconoscere il valore dell’avversario, disposto ad ammirarlo, sincero addirittura nel dolersi delle sue sfortune e nel cercare di sovvenirlo. Eccezionali virtù d’un principe del quali sono note la generosità e l’attitudine alla tolleranza? In fondo, no. Grandi e dunque non comuni doti morali, certo, spesso magnificate e ampliate dalla poesia e dalla propaganda, senza dubbio, eppure meno rare di quel che si possa crede re.
Un bel campionario di gesti ed episodi del genere si trova nella recente biografia di Rodrigo Diaz de Vivar, il noto eroe della Spagna cristiana dellXl secolo in lotta contro l’Islam chiamato il Cid Campeador. A lui ha dedicato un bel libro, ora tradotto in italiano col titolo El Cid (Nerea Editore), il professor Richard Fletcher dell’Università di York. Che Rodrigo Diaz avesse continui e stretti rapporti con gli arabo-musulmani. lo dice il suo stesso titolo onorifico di Cid, cristianizzazione della parola araba sayyid, «signore». Ma il Fletcher sottolinea nella sua biografia i frequenti episodi d’amicizia fra lui e i capi musulmani della penisola iberica e, soprattutto, la sua condizione di combattente mercenario al servizio delle potenze islamiche contro i cristiani; momenti e situazioni che la tradizione epica cristiana affidata alle Mocedades del Cid, aveva in qualche modo dissimulato sotto la forma del racconto di episodi di inimicizia e di rivalità del grande condottiero nei confronti di alcuni principi cristiani come lo stesso re di Castiglia Alfonso VI.
Nella sua classica biografia del Diaz de Vivar uno dei più illustri studiosi della prima metà del nostro secolo, Ranier Menendez Poidal, aveva autorevolmente legittimato, nel nome della storia e della filologia, l’immagine eroica d’un Cid paladino senza macchia dell’onore cristiano. nemico leale ma acerrimo dei musulmani, modello della Spagna cristiana che aveva il fulcro della sua identità nella lotta indomita e continua contro l’infedele. Un’immagine ch’era stata ereditata dalla cultura falangista. la quale del Cid e di Isabella la Cattolica aveva fatto le immagini purissime della coscienza nazionale e religiosa ispanica. Franco aveva distrutto la Falange, ma aveva inglobato la sua Weltanschauung nell’etica formale del suo stato autoritario. Lo studio El Cid histórico di Gonzalo Martinez Diez (Pianeta), aveva corroborato quest’immagine.
Ma i tempi sono cambiati. Ormai in Spagna sta da tempo maturando un tipo di coscienza nazionale nuova, che considera il passato islamico parte delle radici identitarie al pari di quello cristiano: e in questo senso una differente visione dell’eroe nazionale viene gradita e accettata.
I1 fatto è che la biografia del Fletcher ha fatto scalpore ed è finita anche sulla grande stampa come esempio di una tesi ardita o addirittura di una straordinaria scoperta, quando non di un fatto inaudito. Un cristiano medievale, un cavaliere. che lotta al fianco dei mori e magari per giunta contro i correligionari! Lo stupore dinanzi a un fatto come questo dipende unicamente dalle cognizioni scarse e stereotipe che si hanno sulla situazione militare, politica e culturale del Medioevo; e sulla persistente, convenzionale e ridicola idea che purtroppo ancora prevale a livello massmediale e che presenta le crociate come guerre di religione.
I casi come quello del Cid sono una regola diffusa. In Spagna come in Siria o in Palestina, proprio nell’età classica delle cosiddette crociate, vale a dire fra XI e XIII secolo, casi di cristiani che combattevano in alleanza coi musulmani contro altri cristiani, o addirittura schieramenti trasversali” islamo-cristiani contrapposti ad altri schieramenti islamo-cristiani erano molto comuni. I crociati di Terrasanta, e addirittura gli Ordini cavallereschi, si servivano di milizie «turcopole» ch’erano fatte di turchi e probabilmente di musulmani. Insomma, i «saraceni di Lucera» di Federico II non erano affatto un’empia trovata dell’imperatore scomunicato. Le milizie mercenarie cristiane fungevano di frequente da guardia del corpo dei sultani islamici dell’Asia settentrionale. E non si trattava per nulla – attenzione! – di rinnegati, di gente che avesse cambiato religione. Al contrario tenevano al loro culto e ne esigevano il libero esercizio.
Cose del genere erano già avvenute nei secoli IX-X, anche in Italia meridionale, dove longobardi e bizantini non avevano esitato ad allearsi con corsari e incursori musulmani. I pellegrini-guerrieri della cosiddetta prima crociata, appena giunti fra Anatolia e Siria, si adattarono alla situazione e ad esempio si intrufolarono nulle lotte tra i due emiri di Mosul e di Damasco favorendo ora questo, ora quello. Più tardi, i re crociati di Gerusalemme avrebbero partecipato nella seconda metà dei XII secolo alle lotte civili nel Sultanato d’Egitto prendendo parte per questa o quella frazione. La situazione si ripresentò nella prima metà del XIII secolo quando Siria ed Egitto furono divise tra i discendenti dei Saladino, rivali tra loro: anche in quel caso i feudatari cristiani scelsero l’uno o l’altro dei contendenti, creando un’ingarbugliata situazione di alleanze trasversali molto infide che ricordano da vicino i giochi sleali delle leghe e dei tradimenti tra città e nobili del contado nell’Italia comunale. Nel 1227, il sultano di Damasco morendo affidò il suo regno e i destini dei suoi piccoli figli ed eredi a un suo mercenario, un cavaliere spagnolo ex templare, che li difese con valore e fedeltà anche dai correligionari cristiani. Quando sulla scena della Terrasanta verso il 1260 arrivarono i mongoli, le forze crociate si divisero fra chi appoggiava questi ultimi e chi invece preferiva favorire la resistenza musulmana alla loro penetrazione.
E’ noto che in pieno XII secolo l’emiro musulmano di Shaizar, Usama ibn-Munquidin, quando andava a Gerusalemme si recava presso i suoi amici templari e lì poteva pregare secondo il rito musulmano. Da questo punto di vista, l’episodio della visita di francesco d’Assisi al sultano non ha nulla di straordinario, pur nell’eccezionalità dei due protagonisti. Siamo nell’ambito di rapporti di ordinaria tensione ma non sempre necessariamente ostili, che davano spesso luogo a momenti ede pisodi di amicizia.
Ma questa realtà storica, ben nota agli specialisti, oggi a molti dà fastidio. Vi sono i fondamentalisti religioso dell’uno e dell’altro campo che per opposte ragioni amerebbero restare fedeli a una visione storica caratterizzata dallo scontro eterno e frontale di cristianità e islam. E ci sono i fondamentalisti laici, quelli convinti che la storia passata della cristianità sia una serie infinita di errori e di orrori della quale i cattolici dovrebbero passare il loro tempo a chiedere all’infinito perdono. Essi amano immaginare la cristianità medievale come una società dedita al macello continuo e indiscriminato dei saraceni. Purtroppo per entrambe queste categorie di maniaci la storia vera è ben altra. Ma, purtroppo per noi, queste due categorie hanno fin troppi spazi e strumenti massmediali in quantità a disposizione della loro fabbrica di menzogne e di luoghi comuni e possono continuare impunemente a spargere ignoranza e pregiudizi.
Franco Cardini, Islam e cristiani amici sul campo di battaglia, Avvenire, 4/11/9