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27 Gennaio 2019Incontro con Andrea G. Pinketts
27 Gennaio 2019L’eroe romantico è un uomo fuori dalla società e dalle sue convenzioni a cui si contrappone fieramente, che sente intensamente le passioni e ha un senso vivissimo dell’avventura in cui trovano soddisfazione il suo desiderio di libertà e il suo sfrenato individualismo.
L’eroe romantico
L’eroe romantico è un uomo fuori dalla società e dalle sue convenzioni a cui si contrappone fieramente, che sente intensamente le passioni e ha un senso vivissimo dell’avventura in cui trovano soddisfazione il suo desiderio di libertà e il suo sfrenato individualismo.
La tematica dell’eroe incoercibile e ispirato sta al centro del movimento dello Sturm und Drang in Germania e percorre la vita nonché le opere di Lord Byron in Inghilterra e ha il suo riflesso in Italia con “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” di Foscolo; alla base dell’etica romantica sta la sentenza del filosofo spiritualista Jacobi: “se è impulso è dovere”. La vita umana è retta dall’ispirazione.
In ogni uomo, in ogni ambiente l’amore diventa sublime, essendo il sentimento più naturale e più immediato, l’ispirazione amorosa è quella a cui bisognava dare maggior spazio, essa era mossa da un sottile gioco di affinità elettive. Ma chi è che incarna l’etica romantica? L’eroe è quello che ritroviamo nei personaggi byroniani; suoi tratti sono la passione strabocchevole che lo spinge per mari e per terre insaziabilmente, la strana maledizione per qualche colpa oscura e il fascino che proprio da codesta tenebra promana.
Prototipi di eroi romantici si ritrovano anche nell’Ortis e nel Werther.
L’eroe romantico può essere il ribelle solitario che, orgoglioso della sua superiorità spirituale e della sua forza, sprezzante della mediocrità, si erge a sfidare ogni autorità, ogni legge, ogni convenzione, ogni limite, per affermare la sua libertà e la sua individualità d’eccezione (atteggiamento che viene definito titanismo); oppure può essere la vittima, colui che proprio dalla sua superiorità è reso diverso dall’umanità comune, e per questo è incompreso ed escluso, ma non esprime il suo disdegno in gesti clamoros di rivolta, bensì isterilisce la sua vita nei sogni senza mai riuscire a tradurli in azione, ed esprime il rifiuto con la solitudine, la malinconia, la contemplazione angosciosa della propria impotenza e della propria sconfitta, il vagheggiamento della morte, sino all’estremo gesto autodistruttivo del suicidio (vittimismo). Gli archetipi di queste due figure si possono trovare subito all’affacciarsi di una sensibilità romantica nella letteratura europea: il primo nel personaggio del Masnadiere di Schiller (1783), il secondo nel Werther di Goethe (1774).
Dai due atteggiamenti di base nasce una serie di figure mitiche, particolarmente care al gusto romantico. In primo luogo il nobile fuorilegge che, spinto dalla sua sete di infinita libertà e grandezza, calpesta le leggi umane e si erge a sfidare Dio stesso, compiendo terribili delitti, e per questo è destinato ad essere gravato dal peso di un’oscura maledizione.
Sul versante opposto, quello del vittimismo, si colloca la figura dell’esule, l’uomo senza radici, che un destino avverso o la malvagità degli uomini o un’inquietudine senza nome spingono a vagare senza sosta lontano dalla patria.
Sono tutte, sia le immaginarie che le reali, figure di uomini sradicati e fieri della loro alienazione il cui itinerario spirituale conduce ad una coscienza sempre più sdegnosa e amara dello sradicamento.
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