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27 Gennaio 2019Incontro con Andrea G. Pinketts
27 Gennaio 2019Si può essere eroici anche nel campo della ricerca scientifica. È il caso dell’eroe-scienziato Michael Faraday
La figura di Faraday:
“Sono sicuro di avere incontrato molte persone che sarebbero potute diventare buoni e validi cultori di scienza, e che si sono guadagnate una grande fama: ma la fama e il guadagno era ciò che essi stessi avevano sempre cercato di ottenere – la ricompensa della lode del mondo. Per questi tipi è sempre presente un’ombra di gelosia o di rimpianto e non riesco a immaginare come un uomo possa fare delle scoperte nutrendo sentimenti del genere” (disse Faraday).
Infaticabile …
“Non ho mai avuto uno studente o allievo sotto di me che mi aiutasse negli esperimenti, ma ho sempre preparato ed eseguito le esperienze con le mie mani, lavorando e pensando allo stesso tempo.”
Abile artigiano…
Mentre Faraday lavorava come apprendista in una libreria, si dedicava con passione alla costruzione di apparecchi scientifici.
Grande divulgatore…
Non fu solo un genio, ma anche uno dei grandi divulgatori scientifici e la “Lezione di Natale per bambini” del 1826 è custodita ancora oggi nella sede della “Royal Society” a Londra. Furono quasi una ventina le lezioni di questo tipo tenute da Faraday, e l’attuale banconota da 20 sterline lo mostra in una di queste occasioni. La sua lezione più famosa trattava della “Storia naturale di una candela”.
Grande scienziato…
Scientificamente parlando, Faraday fu un autodidatta. La sua formazione culturale poté così compiersi senza subire i pesanti condizionamenti di una rigida tradizione scientifica che nelle Scuole e nelle Accademie inglesi era cresciuta all’ombra di un ossequioso rispetto del credo newtoniano. Faraday elaborò un suo originalissimo metodo di ricerca nel quale, da una parte, viene bandito l’uso di ogni strumento matematico quale criterio rigoroso di deduzione, a partire da assunzioni generali, di leggi sottoponibili al controllo sperimentale, dall’altra, è l’attività di laboratorio, sorretta da un’eccezionale abilità nel riprodurre la moltitudine di situazioni concrete entro le quali può essere esaminato un dato fenomeno, a guidare direttamente la scelta tra le varie ipotesi teoriche che su di esso possono essere fatte.
La fisica di Faraday fu risolutamente antinewtoniana, nel senso che egli si rifiutò di aderire a quei programmi di ricerca che vedevano nella riduzione alle leggi della meccanica l’unica forma di spiegazione scientifica. In particolare, egli fu sempre fermamente convinto che i due pilastri del pensiero di Newton – il dualismo materia-forza e il concetto di azione a distanza – erano divenuti del tutto insufficienti, anzi costituissero dei veri e propri ostacoli alla comprensione di una realtà fisica arricchitasi di nuove determinazioni, grazie all’eccezionale sviluppo della fisica sperimentale attorno al 1800.
Faraday analizzò, nel 1821, l’azione scoperta da Oersted, che vedeva un “conflitto elettrico” agire attorno all’asse del filo. Servendosi di un apparato che consente di far ruotare in modo continuo sia un filo percorso da corrente attorno a un polo magnetico sia un polo attorno al filo, egli sostenne che il magnete e gli effetti magnetici vanno considerati indipendenti e mise a punto l’idea che lo spazio è solcato da linee di forza magnetiche curve.
A partire dalla scoperta del carattere non centrale, ma circolare, delle forze magnetiche attorno al filo, tutta la successiva ricerca di Faraday si concentrò nell’individuazione di un esperimento cruciale che mostrasse in termini ultimativi l’insostenibilità dell’idea che in natura operassero azioni istantanee a distanza. Ma, per poter affermare che l’azione tra corpi distanti si trasmette nel tempo tra una e l’altra del campo e che in ogni punto la direzione di quell’azione è indicata dalle linee di forza, non era sufficiente demolire la fisica amperiana alla luce dell’evidenza sperimentale, piuttosto occorreva dare una nuova base concettuale all’intera teoria. Quale doveva essere la struttura del mezzo perché esso divenisse la sede di un complesso sistema di forze la cui distribuzione dipendesse dai corpi presenti al suo interno? Era ancora difendibile un’immagine atomistica della materia una volta che gli atomi non fossero più identificabili con centri di forze newtoniane, in altre parole come era possibile conciliare la discretezza della materia con l’apparente continuità del campo?
Nel corso degli anni ’20, sviluppando una analogia con l’effetto di trasmissione dell’elettricità attraverso una soluzione elettrolitica, Faraday sostenne l’ipotesi della natura particellare del mezzo e considerò le linee di forza come entità immaginarie che rappresentavano la distribuzione delle particelle del mezzo per effetto della polarizzazione.
Tra il 1831 e il 1837 Faraday ottenne due importanti risultati sperimentali che fecero compiere alla teoria di campo una decisiva evoluzione. La scoperta dell’induzione elettromagnetica mostrava la convertibilità del magnetismo nell’elettricità, cioè esattamente l’effetto opposto a quello trovato da Oersted un decennio prima. E’ possibile produrre un flusso di corrente elettrica qualora si muova un conduttore all’interno del campo magnetico; la corrente prodotta dipenderà dalle linee di forza intercettate dal conduttore stesso. La seconda scoperta permetteva di affermare che, anche nel caso ben noto dell’induzione elettrostatica, le forze elettriche si trasmettono lungo linee curve.
Sul piano concettuale Faraday traeva da questi esperimenti due importanti conseguenze. Da una parte, si doveva supporre che il filo posto all’interno del campo magnetico si trovasse in uno stato speciale, che Faraday indicava come «stato elettrotonico», e che la corrente fosse nient’altro che il cambiamento di questo stato prodotto dalle forze magnetiche. Dall’altra, andava riformulata l’ipotesi atomistica della materia e abbandonata l’immagine di un mezzo che esplica la propria funzione attraverso la polarizzazione delle particelle in esso presenti. Solo così si evitava di riproporre a livello microscopico le azioni a distanza e si poteva superare il paradosso di assegnare al mezzo le proprietà di un isolante e di un conduttore a seconda che esso si venisse a trovare rispettivamente negli spazi intermolecolari di sostanze isolanti o conduttrici.
In una serie di memorie pubblicate tra il 1846 e il 1857, Faraday riuscì a elaborare la più generale e la più coerente formulazione della teoria di campo assegnando un’autonoma esistenza fisica alle linee di forza, concependo la materia come una forza diffusa su tutto lo spazio e tentando di ricomprendere all’interno della concezione delle linee di forza le stesse azioni gravitazionali. Anche se molti erano ancora gli interrogativi che Faraday lasciava in eredità alla ricerca futura, egli riuscì a portare a termine il suo progetto di eliminazione del dualismo materia-forza dalla scienza fisica. Particolarmente ricca di stimoli si sarebbe rivelata la posizione che Faraday assunse nei confronti del problema dell’etere al quale i fisici matematici erano ricorsi per spiegare la propagazione delle onde luminose attraverso lo spazio. Se la materia è continua in tutto lo spazio e se gli atomi vanno visti come punti geometrici da cui si diramano sistemi di forze, l’etere, così diceva Faraday, diveniva un inutile duplicato della materia. Fu proprio lo sviluppo di questa visione che permise a Maxwell di scoprire la natura elettromagnetica della luce.
L’opera di Faraday è raccolta nelle “Experimental researches in electricity” e nel “Diary” che costituiscono una delle testimonianze più vive del lavoro dello scienziato. Leggendo quelle pagine è possibile ancora oggi seguire Faraday nel suo laboratorio mentre interroga la natura e seguendo il filo dei suoi ragionamenti, in esse scrupolosamente annotati, si vedono allargarsi i confini della conoscenza con una meravigliosa sintesi di pensiero teorico e di attività pratica.
Il concetto di campo prima di Faraday:
Prima dell’intuizione di Faraday le linee che la limatura di ferro formava quando veniva posto in prossimità di una calamita erano considerate solamente una curiosità di scarsa importanza per lo studio dei fenomeni. Inoltre, fino a quel momento, era ancora rimasto irrisolto un grosso problema che teneva impegnate le menti più brillanti del tempo: l’azione a distanza.
Il diverbio si poteva affrontare da due diversi punti di vista: ammettere che un corpo potesse esercitare un’influenza in uno spazio in cui non si estendeva oppure cercare di rilevare un mezzo interposto ai corpi attraverso cui reazione si potesse trasmettere.
Attraverso lo studio delle linee di forza Faraday riuscì a dare un significato fisico allo spazio, che in questo modo assumeva caratteristiche e proprietà che potevano essere studiate e modificate. In poche parole definì il concetto di campo.
L’azione a distanza, pur avendo dato fino ad allora risultati notevoli, era tuttavia difficilmente accettabile dal punto di vista teorico, ammettere che due corpi distanti si potessero influenzare appariva agli scienziati una possibilità difficilmente credibile, che suonava ai loro orecchi come un fenomeno sovrannaturale, al pari della telepatia o di altre dottrine “magiche”. Lo stesso Newton, le cui teorie si basavano principalmente sull’azione a distanza, inorridiva davanti a una simile prospettiva:
“Che la gravità debba essere innata, inerente ed essenziale alla materia, cosicché ogni corpo agisce su ogni altro a distanza attraverso il vuoto senza la mediazione di niente attraverso cui e per il cui mezzo le loro azioni e forze possano venire trasmesse dall’uno all’altro, e per me un’assurdità così grande che io ritengo che nessuna persona che nelle questioni filosofiche sia dotata di una capace facoltà di pensare possa mai cascarci” (disse Newton).
Da allora il tentativo di capire cosa fosse realmente il vuoto fu una delle occupazioni principali dei teorici e degli scienziati, e grazie a Faraday questo problema venne abilmente risolto, in pratica lo spazio veniva a coincidere con le linee di forza e poteva quindi essere studiato matematicamente.
Per avvalorare la tesi secondo cui lo spazio interposto fra due corpi (calamite o cariche elettriche) abbia delle caratteristiche proprie e possa essere modificato, Faraday ricorse a diverse prove, fra cui:
· Le linee di forza possono essere curvate, e questo non si poteva spiegare attraverso l’azione a distanza, in particolare nel caso di linee attorno a un filo percorso da corrente
· I fenomeni elettromagnetici possono essere modificati da un mezzo interposto, e questo dimostra che l’interazione non è indipendente dallo spazio circostante.
· Per il fenomeno dell’induzione: si crea una corrente in una bobina quando viene mossa una fonte di campo magnetico. Ciò non si spiega con il solo movimento, ma devono cambiare le condizioni dello spazio attorno alla bobina.
In particolare quest’ultimo punto stava a cuore a Faraday che a questo riguardo scrisse:
“Ora tutti questi fatti e altri ancora provano l’esistenza di linee di forza fisiche sie esterne che interne al magnete… I fenomeni osservati con il filo mobile portano alla stessa conclusione. Non appena il filo si muove lungo le linee di forza una corrente elettrica lo percorre o tende a percorrerlo, mentre non c’è corrente quando il filo è ancora fermo… La semplice azione di moto non può aver prodotto questa corrente: ci deve essere stata una condizione attorno al magnete da esso alimentata, nel cui raggio d’azione si trova il filo: e questa condizione mostra la costituzione fisica delle linee di forza magnetica.”
Il campo secondo Faraday:
Si può osservare facilmente che è possibile descrivere una zona dello spazio attraverso delle linee. Attraverso l’osservazione delle linee che si formano ad esempio facendo passare una corrente elettrica attraverso un sistema costituito da olio di ricino e semolino oppure avvicinando una calamita a della limatura di ferro, Faraday concluse che quelle linee non erano solo un fenomeno casuale ma potevano rappresentare una proprietà fisica dello spazio.
Si dice “campo” quella zona dello spazio modificata dalla presenza di una fonte che possiede proprietà descrivibili secondo leggi fisiche. Faraday stabilì per il campo due leggi fondamentali:
· Le forze sono sempre tangenti alle linee del campo;
· La densità delle linee dì forza indica l’intensità della forza.
In questo modo le linee assumono un significato fisico.
Esperienze di Faraday sulle correnti indotte:
Dopo la scoperta di Oersted, nel 1821, che un filo percorso da corrente elettrica genera un campo magnetico agente con una coppia di forze su un ago magnetico, si moltiplicarono le ricerche per ottenere correnti elettriche a mezzo di un campo magnetico; i fisici che intrapresero questo lavoro si appellavano in sostanza a un principio di simmetria, spesso invocato nella ricerca scientifica anche se la sua validità non è da considerarsi di carattere generale.
Fu proprio nel 1831 che l’inglese Michael Faraday scoprì, dopo alcuni anni di ricerca, un fenomeno particolarmente interessante che doveva influire in modo determinante sullo sviluppo dell’elettricità e di riflesso sul nostro modo di vivere. Alla base del fenomeno scoperto da Faraday vi sono due esperienze:
Prima esperienza di Faraday: conduttore fermo, campo magnetico variabile
La figura 1 mostra uno schema del dispositivo di Faraday: un anello di ferro che passa attraverso due bobine A e B.
La bobina A è alimentata da una batteria ed è provvista di un interruttore, mentre la bobina B fa parte di un circuito in cui è inserito soltanto uno strumento rilevatore di correnti, particolarmente sensibile, in genere un milliamperometro o un galvanometro.
Chiudendo l’interruttore I, Faraday osservò che nella bobina B si aveva per un breve intervallo di tempo un passaggio di corrente; il fenomeno si ripeteva nell’istante in cui, aprendo l’interruttore I, s’interrompeva il passaggio della corrente in A. Egli inoltre osservò che il verso della corrente che circolava in B durante la chiusura del circuito A era opposto a quello della corrente che si generava nella stessa bobina, nell’istante in cui s’interrompeva il passaggio della corrente in A.
Lo stesso Faraday scoprì che la presenza del nucleo di ferro non era essenziale, ma serviva solo a intensificare l’effetto. La corrente prodotta in B è chiamata corrente indotta e la sua produzione è nota ora come fenomeno di induzione elettromagnetica.
E importante sottolineare che la corrente indotta generata nell’esperimento di Faraday ora descritto dura solo per un intervallo di tempo molto breve, quando si chiude o si apre il circuito A, mentre durante il tempo in cui il circuito A rimane chiuso, qualunque sia l’intensità di corrente che lo attraversa, non si genera in B corrente indotta.
Seconda esperienza di Faraday: conduttore fermo, magnete in moto
Dopo circa un mese e mezzo Faraday scoprì un altro caso di corrente indotta molto importante, perché servi a chiarire ancora meglio del primo le cause dell’induzione elettromagnetica.
Egli si accorse che, avvicinando una calamita a una bobina collegata a un milliamperometro, si produce una corrente indotta (fig. 2a) che attraversa la bobina nell’intervallo di tempo in cui il magnete è in movimento e s’interrompe quando la calamita è ferma.
Se la calamita è allontanata dalla bobina (fig. 2b) il verso della corrente indotta è l’opposto.
Si trova anche (fig. 3), agli effetti del verso della corrente indotta, che l’avvicinamento del polo Nord della calamita alla bobina equivale all’allontanamento del polo Sud e, viceversa, il verso della corrente indotta nella bobina quando si allontana il polo Nord coincide con quello della corrente che si produce quando si avvicina il polo Sud.
Inoltre gli effetti sono sempre gli stessi, sia che il solenoide resti fisso rispetto a un sistema di riferimento e il magnete si muova sia che il magnete rimanga fisso e il solenoide sia in moto. Per la produzione della corrente indotta è necessario solo che ci sia un moto relativo del magnete rispetto al solenoide.
Eseguendo gli esperimenti in laboratorio occorre usare uno strumento di misura a zero centrale, che possa rilevare correnti elettriche di entrambi i versi nel circuito indotto.
Interpretazioni delle esperienze di Faraday
Osserviamo che in entrambi gli esperimenti descritti il circuito indotto, quello cioè che subisce il fenomeno dell’induzione elettromagnetica, è immerso in un campo magnetico generato, nel primo esperimento, dalla bobina A alimentata da una batteria e, nel secondo, dal magnete. Questa sola circostanza non è però sufficiente; infatti, non si produce alcuna corrente indotta né nel primo caso, quando la bobina A è percorsa da corrente durante tutto il tempo in cui il circuito rimane chiuso, né nel secondo caso, quando magnete e solenoide sono fissi uno rispetto all’altro.
In entrambe le esperienze le correnti indotte si producono quando il campo magnetico sulla superficie delimitata dal circuito indotto varia nel tempo.
Nella prima esperienza, quando si chiude il circuito, la corrente nella bobina A varia da zero a un valore massimo, determinando una conseguente variazione del campo magnetico da essa prodotto; analogamente, quando si apre il circuito, il campo magnetico diminuisce dal valore massimo a zero.
Anche nella seconda esperienza, durante il movimento,relativo del magnete e del solenoide, il campo magnetico cambia valore sui punti della superficie delimitata da ciascuna spira.
Faraday attribuì la produzione di correnti indotte alla variazione delle linee di forza del campo magnetico.
Ad ulteriore conferma che, quando un campo magnetico varia, si genera una corrente indotta in un circuito chiuso immerso nel campo stesso, si può eseguire l’esperimento rappresentato in figura 4, in cui la bobina A è alimentata da una batteria in un circuito in cui è inserito anche un reostato e la bobina B è collegata a un milliamperometro. Spostando la posizione del cursore sul reostato, varia l’intensità di corrente che attraversa la bobina A e, di conseguenza, varia anche il campo magnetico di tale corrente. Il milliamperometro rivela una corrente indotta nella bobina B, che dura finché si muove il cursore.
Analisi quantitativa dell’induzione elettromagnetica. Legge di Faraday-Neumann
Osserviamo preliminarmente che, nei casi considerati di produzione di correnti indotte, si genera nella spira una forza elettromotrice indotta, uguale alla forza elettromotrice della batteria che dovremmo inserire nella spira per produrre, in assenza del fenomeno dell’induzione elettromagnetica, una corrente d’intensità uguale a quella della corrente indotta.
Per esempio, nella seconda esperienza di Faraday la f.e.m. indotta è uguale alla f.e.m. della batteria, che dovremmo inserire in serie con la spira per produrre in essa una corrente d’intensità uguale a quella prodotta dal moto del magnete.
Calcolo della forza elettromotrice indotta
Per il calcolo della f.e.m. ci riferiamo a un caso particolare, quello del trascinamento di una spira in campo magnetico. La stessa spira di figura 5 è ora rappresentata in figura 6 insieme a una sezione del campo magnetico uniforme prodotto dal magnete.
La corrente indotta nella spira in movimento ha il verso indicato in figura e cessa se fermiamo la spira.
Gli elettroni di conduzione che si trovano nel tratto AB della spira sono da questa trascinati con la sua stessa velocità v. Indicando con B il campo magnetico, su ciascun elettrone di carica -e agisce la forza di Lorentz:
F = -ev Î> B (a)
diretta da A a B e di modulo e vB.
Osserviamo che le analoghe forze, agenti sugli elettroni di conduzione dei due tratti BC e AD della spira, sono perpendicolari ai lati della spira e quindi non producono alcun movimento di elettroni.
Quelli, invece, del lato AB, sotto l’azione della forza espressa dalla (a), si muovono dal punto A al punto B; nella spira si origina perciò una corrente indotta avente verso opposto, cioè diretta da B ad A.
In altri termini le cose vanno come se la spira fosse ferma e in essa fosse inserita una batteria con il polo positivo in A e quello negativo in B.
La forza elettromotrice f della batteria, che è necessario inserire tra A e B affinché con la spira ferma si abbia una corrente avente la stessa intensità della corrente indotta nella spira in moto, si chiama forza elettromotrice indotta.
Poiché la f.e.m. di una pila è definita come rapporto tra il lavoro compiuto per spostare una carica elettrica da un polo all’altro e la carica stessa, la f.e.m. indotta è il rapporto tra il lavoro L (L = evBl) e la carica dell’elettrone.
Si ha cioè:
f = L/e = evBl/e = vBl (c)
Legge di Faraday-Neumann
Possiamo trovare l’espressione generale della f.e.m. indotta prendendo in esame il concetto di flusso dell’induzione magnetica B.
Premettiamo innanzi tutto che il flusso Φ(B) attraverso qualsiasi superficie avente per contorno una spira si definisce flusso concatenato con la spira.
Ricordando ora l’espressione del flusso:
Φ(B) = BScosα
si può osservare che si ha una variazione del flusso Φ(B) concatenato con la spira, durante l’intervallo di tempo in cui la spira è percorsa dalla corrente indotta. Infatti il flusso Φ(B) varia per variazione di B: nella prima e nella seconda esperienza di Faraday.
Come controesempio osserviamo che, nel caso del trascinamento di una spira completamente immersa in un campo magnetico, come quello di figura 7, non si produce corrente indotta e quindi neanche f.e.m., perché il flusso Φ(B) concatenato con la spira rimane costante, in quanto non variano né S né B né α.
Il risultato stabilito analizzando i casi particolari considerati di produzione di corrente indotta può essere generalizzato, come l’esperienza conferma.
Pertanto, possiamo affermare che, in qualunque circuito immerso in un campo magnetico, ogni volta che il flusso Φ(B) dell’induzione magnetica concatenato con il circuito varia nel tempo, si genera una forza elettromotrice indotta e perciò una corrente indotta.
Ciò premesso, per esprimere la f.e.m. indotta in funzione della variazione del flusso di induzione magnetica, ci riferiamo ancora alla spira di figura 6, osservando che il flusso del vettore B attraverso la superficie delimitata dalla spira, in un istante generico in cui il tratto BC di spira immerso nel campo magnetico è x, vale:
Φ = Bxl (f)
essendo ora la normale alla spira parallela al campo magnetico. Dopo un intervallo di tempo Δt il flusso diventa:
Φ’ = Bl (x – Δx) (g)
ove Δx = vΔt è lo spazio percorso dalla spira nel tempo Δt.
Il flusso ha perciò subito la variazione:
ΔΦ = Φ’- Φ = -Bl Δx (h)
Si tenga presente che la variazione di flusso è negativa in quanto, estraendo la spira dal campo magnetico, diminuisce la porzione di superficie delimitata dalla spira in cui il campo magnetico è diverso da zero.
Il rapporto tra la variazione di flusso nell’intervallo Δt di tempo e Δt risulta:
ΔΦ/Δt = -Bl (Δx/Δt) (i)
e, poiché Δx/Δt è la velocità v della spira, si ha:
ΔΦ/Δt = -Blv (l)
Segue pertanto che la f.e.m. data dalla (c), in termini di flusso, può essere espressa dalla seguente relazione fondamentale:
f = – (ΔΦ/Δt) (m)
La relazione precedente tra f.e.m. indotta nella spira e variazione del flusso del vettore B concatenato con la spira è l’espressione matematica della legge delle correnti indotte di Faraday e fu scoperta dallo scienziato tedesco Franz Neumann nel 1845; essa è perciò nota come legge di Faraday-Neumann.
Inoltre dalla legge di Faraday-Neumann segue che nell’esecuzione pratica degli esperimenti sulle correnti indotte, per avere correnti di maggiore intensità è opportuno utilizzare bobine, anziché singole spire; la variazione di flusso attraverso una bobina è infatti uguale a quella che si ha attraverso una singola spira della bobina moltiplicata per il numero delle spire. Per esempio introducendo una calamita, con la stessa velocità, in bobine con diversi numeri di spire, si trova sperimentalmente che l’intensità della corrente indotta è direttamente proporzionale al numero delle spire.
Legge di Lenz:
Osserviamo, inoltre, che il segno meno nella legge di FaradayNeumann determina il verso della corrente indotta, come è stabilito da una legge scoperta dallo scienziato russo E.C. Lenz nel 1834, nota perciò come legge di Lenz.
In base a questa legge il verso della corrente indotta è tale da opporsi a mezzo del campo magnetico da essa prodotto alla causa che ha determinato la corrente, cioè alla variazione del flusso Φ(B) concatenato con il circuito considerato.
In termini equivalenti, se, per esempio, la corrente indotta in un circuito è prodotta da un aumento del flusso Φ(B) concatenato, essa ha verso tale che il campo magnetico che genera si oppone all’aumento del flusso. Pertanto, il verso del campo magnetico generato dalla corrente indotta è opposto al verso del campo magnetico la cui variazione di flusso ha prodotto la corrente indotta.
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