Consiglio di Stato 4 giugno sul Concorso DS Lombardia – di Filippo Di Gregor…
9 Giugno 2013Concorso “Nuovi talenti per l’Europa”
12 Giugno 2013“Non si insegna quello che si sa o quello che si crede di sapere: si insegna e si può insegnare solo quello che si è ” ( Jean Jourès)
L’anno scolastico si è ormai concluso e come ogni anno si tirano le somme, risultati che non raramente “quadrano” perché le aspettative di un insegnante spesso sono inattese. Ma sappiamo come anche e forse soprattutto dalle situazioni negative si traggano insegnamenti utili per il futuro.
Sarà che l’insegnante per una strana mutazione genetica debba continuamente rivedere il proprio metodo di insegnamento soprattutto alla luce di situazioni molto particolari e di difficile gestione. Mi riferisco agli alunni cosiddetti “difficili” , quelli cioè che hanno un passato scolastico problematico non solo sul piano cognitivo ma comportamentale. Quasi sempre i due aspetti vanno di pari passo e i ragazzi con un bagaglio culturale carente ( su cui influisce soprattutto la condizione socio-familiare) sono quelli che manifestano insofferenza e forme di aggressività di vario tipo verso le regole scolastiche e all’interno del gruppo dei pari. Il bullismo e le sue manifestazioni costituiscono ormai un denominatore comune del disagio e proprio nella comunità scolastica questi fenomeni esplodono in modo irrazionale e incontrollato. Vorrei qui di seguito evidenziare alcuni punti salienti del percorso formativo di alcuni alunni e fare un’analisi il più possibile oggettiva dell’itinerario scolastico di ognuno, tutto questo perché “verba volant, scripta manent” e i resoconti burocratici richiedono una “spiegazione” per gli esiti di insuccesso . Gli alunni in questione, in misura diversa ma altrettanto incisiva sulle dinamiche relazionali, hanno manifestato comportamenti di evidente contrasto verso il dialogo educativo. Per ognuno di essi quindi ho messo in atto interventi mirati alla conoscenza e alla accoglienza delle singole esigenze e risorse. L’ascolto negato all’insegnante è soprattutto un segnale di malessere che va inquadrato nel contesto della storia personale e familiare dell’alunno. Prima del percorso didattico programmato è necessaria una conoscenza approfondita delle componenti che limitano e inferiscono negativamente sul processo cognitivo perché tutto ciò che ne consegue costituisce una sorta di scheletro per costruire la “casa” dentro la quale convivere e collaborare insieme. Analisi quindi dei bisogni e delle risorse, metodi e strumenti per quell’insegnamento individualizzato di cui sentiamo spesso parlare e che ci porta a valutare gli alunni singolarmente, ognuno con le proprie insicurezze ma anche potenzialità nascoste. Stimolare l’ascolto attivo negli alunni è un lavoro lento e difficile che presuppone risultati a lungo termine e spesso gli stessi non sono evidenti ed eclatanti perché durante l’anno scolastico si possono avere periodi di stasi e di rallentamento che non danno risultati immediati e apprezzabili. La valutazione non è una “misurazione” anche se adesso i voti ci portano a fare un salto indietro; i numeri nella loro essenza riescono ad essere più comprensibili ma tolgono all’insegnante la possibilità di dire qualcosa in più sugli aspetti della relazione educativa che sono altrettanto importanti. Le tecniche di rinforzo sono molto utili a guidare l’alunno durante il percorso didattico intrapreso ed esse contribuiscono in modo fondamentale alla valutazione formativa e informativa. Ricordiamo infatti che la scuola media, per le sue caratteristiche, ha funzione orientativa e formativa ed ha il compito di monitorare il percorso cognitivo di ogni alunno rilevando di volta in volta l’acquisizione delle conoscenze disciplinari sul substrato delle singole attitudini e capacità per la scelta della scuola futura. Nella scuola media l’aspetto formativo diventa un fattore determinante del percorso scolastico perché soprattutto in questa fascia di età i ragazzi risentono degli stimoli ambientali che possono produrre conseguenze negative sul processo di crescita e sulla sua evoluzione. La formazione diventa una specie di “modellamento” che smussa gli angoli e cerca di livellare quelle asperità che esplodono e di cui bisogna riconoscerne le cause e predisporre i rimedi.
Sembra una cosa scontata ma parlare con gli alunni è un modo per fare il punto della situazione, ripercorrere la strada della conoscenza insieme per evidenziarne i punti di forza e di debolezza, le risorse messe in atto e quelle da sfruttare ulteriormente facendo leva sempre sugli obiettivi comuni e condivisi. Ed è proprio la condivisione lo strumento per rendere accettabile sia un esito positivo che negativo, un risultato indesiderato che può far nascere la riflessione e la maturazione che sono doti da sviluppare per la crescita personale e consapevole. Almeno è questo ciò che mi auguro e spero, con tutto il cuore.
Laura Alberico