David Mugnai
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27 Gennaio 2019L’Italia Giolittiana, dalla tesina della tesina L’evoluzione nei primi anni del 900 nelle varie scienze di Nicola Fusco dell’ I.T.C.G. Masullo Theti
L’età giolittiana coincise con uno straordinario sviluppo della società civile: l’Italia era il Paese che stava rapidamente camminando sulla via della grande industrializzazione meccanica, con un movimento sindacale imponente, nella città, piccole e grandi che fossero, avevano fatto la loro comparsa le camere del lavoro, le sedi dei partiti, le casse rurali, le piccole banche che fornivano il credito alla piccola industria e alla piccola proprietà, le casse del risparmio, insomma la fisionomia del nostro paese stava rapidamente cambiando.
L’interprete della svolta liberale fu Giovanni Giolitti che saliva alla presidenza del consiglio il 3 novembre del 1903 e dominò la scena politica italiana fino alla 1^ guerra mondiale. Mirò ad unire sviluppo economico e libertà politica e a integrare la classe operaia nell’istituzione dello stato liberale. Promosse un accordo con i rappresentanti sindacali del movimento operaio e in questo fu appoggiato dal partito socialista, e così salì al Governo insieme a Zanardelli.
Ciò provocò il rafforzamento dei movimenti sindacali aumentarono gli scioperi e ebbero anche risultati favorevoli. Infatti l’Italia conobbe il primo grande sciopero generale. Questo sciopero preoccupò la borghesia e i moderati, che premettero su Giolitti per una prova di forza contro i lavoratori in sciopero. Ma Giolitti resistette alle pressioni, per risolvere questa crisi sciolse la camera e indusse nuove elezioni con uno slogan <<ne rivoluzione, ne reazione>>. I risultati della consultazione elettorale, svoltasi il 6 e il 13 novembre 1904, diedero ragione a Giolitti, infatti l’estrema sinistra formata da socialisti, repubblicani e radicali, scese da 107 seggi a 94. Per la prima volta i cattolici parteciparono alle elezioni politiche. La sua strategia comportava anche riforme sociali ed economiche infatti si tutelava il lavoro di donne e bambini, il riposo settimanale obbligatorio. Inoltre affidò il controllo delle ferrovie furono affidate al controllo dello stato e divenne obbligatoria l’istituzione elementare. Venne costituito il Commissariato per l’emigrazione. Ci fu la nazionalizzazione dell’assicurazione sulla vita assegnata allo stato attraverso lente INA. Nonostante tutto ciò il riformismo giolittiano non realizzò tutte le sue attese. Ci furono leggi speciali attraverso le quali vennero attuati i provvedimenti di Giolitti a favore del Mezzogiorno ma tali leggi aumentarono la corruzione. La questione meridionale peggiorò , poiché il progetto di Giolitti si fondava su un accordo fra industriali e operai del nord escludendo i ceti del sud. Il dominio politico di Giolitti si fondò su un compromesso tra forze e interessi e non sull’ampliamento dello stato per questo Giolitti fu accusato di neotrasformismo tra gli oppositori.
Fallì anche il progetto di Giolitti di rafforzare il governo con un accordo tra i socialisti. Filippo Turati riteneva che si doveva aggiungere con una nascita della borghesia industriale, alla nascita di una società di tipo socialista ma ciò fu contrastato dalla parte rivoluzionaria del suo partito. Turati rifiutò i salire al governo appoggiato Giolitti e volle intrattenere con lui solo un appoggio caso per caso. Questo appoggio finì con il modesto risultato delle riforme. Nel 1904 ci fu in congresso di Bologna, i riformisti passarono alla minoranza e fu programmato il 1^sciopero generale nazionale. Questo sciopero paralizzò tutto il paese ma fu affrontato con calma da Giolitti. Esso segnò la fine del sindacalismo rivoluzionario. Giolitti non poté stabilire più un accordo con il partito socialista e quindi puntò ai cattolici. Con la pubblicazione del enciclica di Leone XIII, l’estraneità dei cattolici alla vita politica si attenuò. Intanto il movimento cattolico si estese in tutto il paese, soprattutto nelle campagne con la nascita di casse rurali e leghe di banche. Esistevano all’interno del movimento diverse sentenze, la prima era quelli degli intransigenti (rifiuto dello stato liberale e di ogni modernità). Questa posizione fu prevalente nell’opera dei congressi un organizzazione nata per coordinare le attività dei cattolici, nelle scuole, nelle opere pie e nella società di mutuo soccorso. Una seconda tendenza era quella moderata che faceva capo a Filippo Meda, quest’ultimo era favorevole all’inserimento dei cattolici nello stato liberale. Una terza posizione era quella della Democrazia Cristiana movimento fondato dal sacerdote Romolo Murri. In questo programma si chiedevano l’introduzione della proporzionale nelle elezioni, il referendum ed il diritto di iniziativa popolare, un largo decentramento amministrativo, un efficace legislazione sociale, la riforma tributaria basata sulla giustizia, la tutela della libertà di stampa, di associazione, di riunione, l’allargamento del suffragio elettorale, il disarmo generale. Il sacerdote riteneva che per affermare il ruolo del Cristianesimo nella chiese della nuova società industriale fosse necessario creare un partito cattolico di massa. Murri si schierò a favore delle riforme social e appoggiò i lavoratori. Egli fu eletto nelle file della Sinistra (fu chiamato da Giolitti il Cappellano dell’Estrema) e ciò provocala scomunica da parte di Pio X successore di Leone XIII. I cattolici ritornavano alla politica e Giolitti valutava bene il peso politico di questi che potevano avere nella sua politica di compromesso. Nel 1905 Pio X chiarì che i cattolici potevano intervenire alle elezioni politiche in quei collegi dove potesse risultare eletto un loro candidato, o in un appoggio ai liberali moderati dove vi era un rischio di vittoria dell’estrema sinistra. Così un anno dopo risultavano eletti 16 candidati cattolici. L’alleanza elettorale con i cattolici divenne sempre più necessaria al sistema giolittiano quanto più esso perdeva la sua capacità di garantire l’equilibrio e la pace solidale. In campo imprenditoriale nacque la Confindustria, l’associazione di categoria e degli industriali. D’altra parte, nel Partito socialista il riformismo turatiano incontrava crescenti difficoltà nel tenere unito un partito in cui si fronteggiavano due ali estreme: da un lato la destra di Ivanoe Bonomi, dall’altro lato la corrente rivoluzionaria che emerse nel congresso di Reggio Emilia. Un fatto nuovo e importante di questi anni fu la diffusione, del Nazionalismo, fenomeno inizialmente di tipo letterario e culturale, limitato a una ristretta cerchia di intellettuali che però assunse un carattere politico e nel 1910 venne fondata l’Associazione nazionalista italiana. Tuttavia, nella formulazione che ne diede Enrico Corradini, il nazionalismo si mostrò capace di ottenere consensi crescenti, rivolgendosi alle masse con un’abile miscela di imperialismo e populismo. In questo clima maturò la decisione giolittiana i riprendere una politica coloniale aggressiva nel Nordafrica, con la guerra di Libia. Giolitti arrivò a questa decisione assecondando la pressione dell’opinione pubblica e dei maggiori
gruppi industriali e finanziari. Dopo la caduta di Crispi l’Italia si era avvicinata alla Gran Bretagna e alla Francia. Il governo italiano aveva accettato il dominio francese in Tunisia e Marocco, ottenendo in cambio il diritto” di puntare alla Libia. Infatti tra il 1911 e il 1912 l’esercito italiano occupò la Tripolitania, la Cirenaica, Rodi e le isole del Dodecaneso. Questa guerra comportò spese ingentissime ed ebbe oltre 3000 caduti. Infine con la scadenza della legislatura, ci fu un grande evento molto aspettato da Giolitti: le elezioni politiche.
Ci furono le prime elezioni a suffragio universale maschile, dove potavano votare tutti maschi maggiorenni non analfabeti e anche gli analfabeti che avessero compiuto i trent’anni o assolto il servizio militare. Per la chiesa, poi, si poneva il problema della partecipazione alle urne di ingenti masse cattoliche, soprattutto delle plebi rurali del Mezzogiorno. L’elettorato cattolico doveva quindi essere indirizzato, nacque da questa esigenza l’idea del PATTO GENTILONI, dal nome del presidente dell’Unione elettorale cattolica, conte Ottorino Gentiloni. Il patto consisteva in un elenco di sette punti programmatici che ogni candidato che desiderasse il voto dei cattolici doveva sottoscrivere. Tra i sette punti ricordiamo la difesa della libertà della scuola, dell’istruzione religiosa, dell’unità della famiglia, il riconoscimento giuridico delle organizzazioni economiche e sociali cattoliche, la riforma tributaria e giudiziaria. Il patto ebbe successo, ad usufruirne furono principalmente candidati moderati e giolittiani. Ma nonostante il successo, il clima che aveva caratterizzato l’Italia giolittiana era ormai tramontata. Giolitti non riusciva più a fronteggiare la situazione e la radicalizzazione della lotta politica, pressato a sinistra da un socialismo più deciso e meno aperto s possibili combinazioni di tipo riformista, a destra dalla vecchia opposizione conservatrice. Le elezioni del 1913 non fecero che confermarlo portando a Giolitti una maggiorana estremamente eterogenea e divisa tanto che nel marzo del 1914, egli dovette lasciare il posto ad un conservatore come Antonio Calandra, espressione del liberalismo di destra.
di Nicola Fusco
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