Funzioni e costrutti del dativo
28 Dicembre 2019Il proemio del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo di Galileo Galilei
28 Dicembre 2019Questa ode è un canto di orgoglio poetico e di celebrazione della propria immortalità artistica.
Analisi del Brano
Orazio inizia il brano evocando i luoghi a lui familiari, come il fiume Aufido e la regione della Daunia, una terra aspra e povera d’acqua. Questi riferimenti geografici sono simbolici: evocano le umili origini dell’autore e sottolineano il contrasto tra l’oscurità da cui proviene e la grandezza artistica che ha raggiunto.
- “Dìcar quà violèns òbstrepit Àufidus” (Si dirà che, forte, lungo il rumoroso Aufido): Orazio prevede che il suo nome sarà celebrato lungo il fiume Aufido, che scorre nella regione natale, la Lucania. Questo fiume rappresenta il legame dell’autore con la sua terra d’origine, la quale, nonostante la sua povertà e rusticità, ha dato i natali a un poeta di grande importanza.
- “èt qua pàuper aquàe Dàunus agrèstium règnavìt populòrum” (e dove Dauno, povero d’acque, regnò sui popoli agresti): La Daunia era una regione dell’Italia meridionale, governata secondo la mitologia da Dauno. Orazio usa questa immagine per enfatizzare l’asprezza e la semplicità del suo luogo d’origine, un ulteriore contrasto con il suo trionfo poetico.
- “ex hùmili pòtens prìnceps Àeoliùm càrmen ad Ìtalos dèduxìsse modòs” (io, potente da umili origini, fui il primo a portare il canto eolico a ritmi italiani): Qui Orazio sottolinea il proprio merito principale, ossia l’aver adattato la lirica eolica, cioè quella della tradizione greca di Alceo e Saffo, alla lingua e ai metri latini. Egli si definisce “potente da umili origini”, esprimendo la consapevolezza di essere riuscito, nonostante le sue origini modeste, a elevare la poesia latina al livello della grande lirica greca.
- “Sùme supèrbiam quàesitàm meritìs” (Assumi con orgoglio l’onore meritato): Orazio si rivolge a se stesso con tono imperativo, legittimando l’orgoglio che deriva dai meriti acquisiti attraverso il duro lavoro e il talento. Questo verso è una dichiarazione di autostima e di consapevolezza del valore della propria opera.
- “èt mihi Dèlphica làuro cìnge volèns, Mèlpomenè, comam” (e cingimi volentieri, o Melpomene, la chioma con l’alloro di Delfi): Infine, Orazio invoca Melpomene, la Musa della tragedia e della poesia lirica, chiedendole di incoronarlo con l’alloro di Delfi, simbolo di gloria e di consacrazione poetica. L’alloro, nella tradizione classica, era il segno distintivo del poeta consacrato e immortale.
Commento
L’ode riflette il senso di realizzazione e di immortalità che Orazio sente di aver raggiunto attraverso la sua poesia. Egli è consapevole di aver creato un “monumento” di parole che sopravviverà al tempo, più duraturo del bronzo, come afferma all’inizio dell’ode. L’orgoglio di Orazio non è solo personale, ma rappresenta anche una celebrazione della poesia latina, che grazie a lui è riuscita a raggiungere le vette della lirica greca.
Questo componimento può essere visto come un esempio di autorevolezza letteraria, in cui l’autore rivendica il suo posto nella storia della letteratura, non con arroganza, ma con la certezza di aver contribuito significativamente al patrimonio culturale romano. Il riferimento a Melpomene e alla corona d’alloro suggerisce che la gloria poetica è una sorta di investitura divina, un riconoscimento che trascende la semplice fama terrena.
In sintesi, questa parte dell’ode rappresenta il culmine della riflessione di Orazio sulla poesia e sulla memoria. È un testo che celebra la capacità dell’arte di sfidare l’oblio e di garantire all’autore una forma di eternità, indipendentemente dalle circostanze della vita mortale.
èt qua pàuper aquàe Dàunus agrèstium
règnavìt populòrum, ex hùmili pòtens
prìnceps Àeoliùm càrmen ad Ìtalos
dèduxìsse modòs. Sùme supèrbiam
quàesitàm meritìs èt mihi Dèlphica 15
làuro cìnge volèns, Mèlpomenè, comam.